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LA SUBLIMAZIONE: POSSIBILE ALTERNATIVA TRA INIBIZIONE E ACTING OUT di Elena B. Croce

1. - L'esperienza estetica in una prospettiva psicodrammatica

L'esperienza di un Club di psicodramma basato sul teatro, presentata da Gennie Lemoine al Primo Congresso Internazionale della S.E.P.T. (Marsiglia, maggio 1975) ha spinto alcuni di noi ad approfondire il problema dei rapporti tra teatro e psicodramma.

Gennie Lemoine parla di una possibilità di liberazione attraverso l'identificazione ai ruoli precostituiti, più o meno ingrati o magari crudeli, che si incontrano nelle opere teatrali. Sostanzialmente, lei dice, noi abbiamo bisogno di Fedra, di Amleto, di Edipo, ma anche di personaggi inventati oggi, per conoscerei come madri, come padri, come figli, come amanti. Nell'improvvisazione psicodrammatica che segue all'identificazione con questi personaggi limite, ciascuno può ritrovare il taglio o il momento particolare della sua storia attraverso il quale il personaggio della scena può inserirsi nella struttura immaginaria del paziente come un cuneo che apra una via all'emergere delle istanze più profonde.
Infatti l'identificazione ad un ruolo precostituito, quando si tratti di un'opera di poesia vera e propria, forza l'attore o l'analizzante a far "saltare" il personaggio di copertura che è abituato ad indossare nella vita quotidiana. Questo è il vantaggio ad attingere al grande teatro esistente: i grandi autori ci scuotono e ci mettono in crisi, forzano le nostre difese, ci obbligano a ridurre lo scarto tra il desiderio e il rischio di essere scissi in profondità, più efficacemente che non le "invenzioni" personali quasi sempre sature di narcisismo. Questa crisi salutare evidentemente non si verifica quando si tratti di opere di evasione (opere che possono definirsi di "artigianato" nel migliore dei casi, o "fumetti" nel peggiore). Le opere di evasione infatti continuano ed incrementano l'azione delle istituzioni sociali più o meno borghesi, che mirano a mantenerci in una condizione illusoria di sicurezza narcisizzante dalla quale ogni reale apertura sull'Altra scena" è abilmente evitata.
Un'attenta analisi di queste considerazioni mi ha spinto ad un lungo lavoro di riflessione e di confronto con altre esperienze e con spunti teorici diversi che dura tuttora. Con Ottavio Rosati ho anche cercato di riprendere alcuni aspetti del modello psicodrammatico del Club di Gennie Lemoine in un gruppo di psicodramma, composto soprattutto di attori, registi, autori teatrali, artisti. Ad essi è stata prospettata la possibilità di esprimersi anche attraverso l'improvvisazione su ruoli precostituiti, attinti da opere del teatro classico che, data la composizione del gruppo, erano a tutti più o meno familiari.
Nel corso di questa esperienza abbiamo così avuto modo di interrogarci più da vicino e più concretamente su alcune questioni relative ai rapporti tra l'arte e la psicoanalisi.
È certo che l'esperienza della psicoanalisi è radicalmente separata da quella artistica trattandosi di una praxis e non di una poiesis: non si aggiunge nulla di nuovo alla natura, non si produce alcun oggetto materiale più o meno finito che diventi il supporto di una nuova struttura generatrice di itinerari inediti per le emozioni e i desideri...
Ma l'elaborazione di un'esperienza estetica però può dare frutti che hanno a che vedere con la riduzione o la sostituzione dei sintomi o con la scomparsa di certe inibizioni (come già aveva ipotizzato Freud) e alla cui comprensione le prospettive analitiche possono dare un contributo non trascurabile.

 


2. - II caso di Paloma: tra la coazione a volare-rubare e l'inibizione

"Vorrei diventare di pietra" dice sospirando una giovane paziente che mi piace chiamare qui col nome di Paloma (corrispondente in lingua spagnola a Colomba) a causa dei suoi frequentissimi sogni imperniati sul tema del volo. Scelgo questo nome anche perché, nonostante l'umanità si ostini a considerare questo volatile come il simbolo più indiscusso della pace (non riuscendo a liberarsi dal prepotente effetto di alone della biblica storia del ramoscello di ulivo), gli etologi ci assicurano che si tratta di un animale dotato di una pervicace aggressività: non a caso questa ragazza, sensibile e tormentata da continui rimorsi, è riuscita ad approdare ad una condizione di relativa pacificazione delle sue istanze distruttive (e, soprattutto, violentemente autodistruttive) solo dopo un lungo e delicato lavoro psicoanalitico e psicodrammatico.
Paloma è cresciuta in una famiglia in cui, a suo dire, ogni manifestazione di desiderio veniva considerata come una spinta pericolosissima. Successivamente, Paloma si è trovata coinvolta in una situazione matrimoniale che comportava pesanti limitazioni, immaginarie o meno.
Ogni tentativo o fantasia di liberarsi da queste pesanti "galere" le faceva presentire con imminenza insopportabile il rischio di ritrovarsi fuori, in balia di acque tempestose. Angosce, allucinazioni, timori di spersonalizzazione, che la ragazza sentiva di non poter controllare, hanno impedito per anni lo sviluppo e il successo di ogni iniziativa personale per quanto riguarda l'indipendenza economica, la vita culturale e politica e, soprattutto, l'espressione artistica. Paloma infatti è un'artista molto dotata.
Una madre depressa, sfiorita precocemente utilizzando i compiti materni e familiari come alibi-impedimento a qualsiasi possibilità di affermazione personale (e che forse ha provato invidia per il possibile diverso destino della figlia), sembra aver costituito la principale premessa perché Paloma considerasse ogni spinta a vivere, come una infrazione ad una legge non scritta ma ferrea, cioè come un furto.
Si sa d'altronde quanto peso abbiano le proibizioni e gli ostacoli nell'incremento dell'intensità di un desiderio. Proprio perché nel caso di Paloma non ci sono stati divieti verbali espliciti è stato più difficile per lei disidentificarsi da questa immagine materna infelice e abbandonarla a se stessa, al suo fallimento esistenziale.
In questa famiglia problematica non manca, d'altra parte, un padre estroso e creatore dal quale Paloma è affascinata. Ma questo incantesimo non è senza rimorsi in quanto i tratti positivi di questo personaggio appaiono intrecciati ad una sua violenza prevaricatrice e a un suo "egoismo".
Identificarsi con questo padre significherebbe parteggiare con il personaggio vincente e non assolto della coppia, e farsi così complice di chi confina nella desolazione il personaggio materno perdente, santificato dalla rinuncia e dalla sofferenza.


Con questi precedenti anche la vita sessuale e sentimentale risultano gravate da pesanti ipoteche. Da una parte Paloma, come molte ragazze moderne, teme l'abbandono, il pericolo della passività, di perdere se stessa diventando un oggetto dei desideri maschili. Dall'altra, a livello più profondo, teme il suo desiderio impregnato di oralità, di impadronirsi per sempre del pene che la penetra, di rubarlo e incorporarlo, mutilando senza rimedio il suo partner.
Una più libera disponibilità delle possibilità erotiche del suo giovane seno le fa poi temere crudeli rappresaglie: timori ipocondriaci del cancro, sogni di animali che mordono così crudelmente le sue tenere carni da staccarne brandelli, sogni di volare in cui è condannata a trascinare con sé nell'aria, attaccati ai capezzoli, con più o meno piacere, robusti personaggi che con le loro zanne e il loro peso mettono in pericolo la sua integrità...
È un fatto che queste fantasie distruttive e autodistruttive risultano caratterizzate da una virulenza che impedisce di distinguere sufficientemente il piano immaginario dalla realtà. Anche perché si trovano a dominare incontrastate in un atteggiamento verso il mondo in cui l'"Altra scena" non può essere vista come tale, non può cioè essere considerata sufficientemente nella sua alterità, rispetto a ciò di cui si è consapevoli come "bersaglio" del proprio ego.
Non c'è quindi da meravigliarsi se questa tenera colomba incatenata sogni quasi tutte le notti di sciogliersi come per magia e di volare. Di volare basso tra le case, gli alberi e le persone con un volo musicale, una danza; di volare alto in modo vertiginoso come un condor o di sfiorare pianeti e stelle come un'astronave, o magari, di starnazzare tra un cespuglio e l'altro come un papero. Del resto, se non è lei a volare nei suoi sogni, lo fanno volatili di ogni tipo: uccelli, zanzare, api, farfalle, creature fantastiche dotate in qualche modo di ali (gnomi, fate, madonne, santi, draghi).
Tale onìrica orgia di scorribande aeree sembra sia stata stigmatizzata dal precedente analista della ragazza in termini di evasione, come dovuta all'incapacità di aderire alle dure leggi della realtà. Naturalmente questo giudizio negativo non è servito ad arrestare o a modificare la fioritura dei sogni suddetti né a incidere sulle difficoltà di Paloma; pare piuttosto che la durezza dell'interpretazione abbia contribuito in modo notevole all'interruzione di questo primo rapporto analitico.
Ciò non toglie che quando Paloma entra nel gruppo di psicodramma ella accenni a questi voli notturni con una certa vergogna come se si trattasse di una debolezza puerile. Lei stessa sottolinea la coincidenza, nel termine francese vol, dei significati di "volo" e "furto" riconoscendo così la sua possibilità di appropriarsi di qualcosa anche con la violenza.
C'è da chiedersi a questo punto che cosa vuole o deve rubare
Paloma per poter uscire dall'inibizione che le impedisce di creare e
di godere? .
Ma torniamo al "voto" sospirato in gruppo ("Vorrei diventare di pietra") che apre la breve sequenza del processo terapeutico sulla quale abbiamo scelto di fermarci. Questa sequenza sembra adatta sia all'elaborazione di alcune considerazioni sul significato dell'identificazione a ruoli teatrali precostituiti che alla puntualizzazione di alcuni tratti specifici tanto dell'acting out che della sublimazione.


"Vorrei diventare di pietra" dice dunque Paloma, con un sospiro. Siamo in una situazione di particolare tensione emotiva, per ragioni su cui non sarebbe utile soffermarci qui. L'affermazione colpisce un po' tutti i presenti e non solo come diversivo dalle tensioni attuali. È un fatto che qualche seduta prima Paloma ha parlato (per poi giocarlo) di un suo sogno-incubo antico, e anch'esso ricorrente nell'adolescenza, in cui, come costretta a salire una scala, si trovava ad aprire una porticina misteriosa dietro la quale un'enorme statua di Kouro greco con un sorriso eginetico la fissava gettandola nel terrore. È forse importante notare che, per sostenere nel gioco psicodrammatico il ruolo della statua, era stata scelta una persona di sesso femminile.
È impossibile non rilevare l'incongruenza del desiderio di diventare di pietra da parte di una persona che solo qualche giorno prima ha affermato di essere stata terrorizzata per anni da un incubo in forma di statua.
"Potresti fare il Convitato di pietra nel Don Giovanni", suggerisce qualcuno ironicamente. Paloma afferra l'occasione - è il caso di dirlo -"al volo" prendendo alla lettera la battuta scherzosa. Tra le diverse opere su questo soggetto si decide di scegliere il Don Giovanni di Da Ponte-Mozart che è la più nota a tutti. Secondo le modalità usuali nello psicodramma analitico si allestisce la rappresentazione che, in base alla rievocazione di Paloma, sembra fondere in sé le ultime brevissime icastiche scene del drammatico convito. Paloma si riserva naturalmente la parte del Convitato e assegna la parte di Don Giovanni al giovane che nel gruppo ha sempre rappresentato per lei il prototipo del maschilismo. Basta questa rapida scelta perché Paloma assuma un'aria solenne, i suoi movimenti si facciano più lenti e gravi, lo sguardo diventi lontano, un po' astratto, come se fosse veramente una pesante scultura prerinascimentale o arcaica. Una o più voci dal gruppo suggeriscono: "Non hai scelto Donna Elvira... non hai scelto Leporello". Ma lei non sembra udire: è già nel gioco. Nel suo gioco, perché nella scena di Da Ponte questi personaggi ci sono, eccome.
Il giovane cui è stato assegnato il ruolo di Don Giovanni entra in scena cantando con bella voce tenorile un brano di Mozart. Paloma sembra non aver udito e appena possibile afferra per mano il suo sfortunato ospite. Il gesto, correttamente, è appena accennato, come è di regola nello psicodramma. Ma invece delle poche parole minacciose che, secondo il testo, la statua dovrebbe pronunciare, dalla bocca di Paloma escono dei queruli rimproveri molto simili a richieste di giustificazione e più ancora a lamentose domande sulle motivazioni di Don Giovanni e sui suoi sentimenti.
A questo punto il partner sembra lasciarsi indurre dallo stato d'animo di Paloma e le risponde nello stesso tono. Ne nasce una situazione pervasa di affettuosa melanconia, quasi una meditazione filosofica a due che non accenna a voler terminare.
Dopo qualche minuto qualcuno dal pubblico comincia a gridare: "Ma quando te lo porti all'inferno?" Si decide di invertire i ruoli, ma anche in questo caso, alle minacce della statua (che è ora il partner) Paloma-Don Giovanni risponde parlando in tono dimesso e patetico di sé, dei suoi errori fatali, del fatto "di non essere mai stato compreso", ecc. Insomma si riproduce praticamente la scena di prima e ancora una volta sembra impossibile arrivare al tragico epilogo. "Sembra lo stesso personaggio in tutti e due i ruoli" viene osservato molto opportunamente dal gruppo.


Gli interventi degli analisti e del gruppo mirano soprattutto ad evidenziare come un personaggio inumano (la statua del Convitato nell'improvvisazione-elaborazione di Paloma), si trasformi in un personaggio quasi troppo umano nella sua fragilità. E l'eroe protervo, vessillifero ormai da qualche secolo della trasgressione per la trasgressione, anziché contrapporsi diventa una specie di copia conforme. Il gioco insomma evidenzia una situazione simile ad una specie di limbo lamentoso da cui sembra impossibile uscire. L'illusione è di essere esonerati da qualsiasi scelta o taglio. Queste sottolineature inducono Paloma a riconoscere il suo atteggiamento sia rispetto a quel personaggio "volage" per eccellenza che è Don Giovanni, sia rispetto a quella concrezione delle istanze super-egoiche e inibitorie che è il Convitato di pietra.
Nella seduta successiva Paloma ricorda per la prima volta che la madre ha una bellissima voce e che provava un grande piacere a cantare in parrocchia in occasione delle cerimonie religiose. È la prima volta che a questa immagine catturante, vampiresca e piuttosto squallida viene spontaneamente riconosciuto un attributo che si riferisce al piacere e alla creatività. Sembra che Paloma, avendo goduto inaspettatamente e involontariamente della voce del suo partner maschile, nell'ambito di quell'eterotopia che è il gioco, possa decontestualizzare questo tratto e riconoscerlo nell'immagine materna, già oggetto di identificazioni massicce nella sua storia. Il riconoscimento di un tratto distaccato dall'immagine globale e abituale segna una svolta che può significare un modo più libero e personale di investire energie.
Effettivamente, che volino, si dice anche delle parole e delle note, si dice del suono che si leva, del canto che s'innalza nell'aria magari sotto le volte di una cattedrale o nel cielo. D'altra parte l'irruzione del canto in questo contesto è stata inattesa e imprevedibile. Pertanto il piacere che ne nasce non può essere, in un primo momento, che a meta passiva: il piacere di chi subisce la seduzione e riconosce di dipendere, se non dal desiderio, almeno dal piacere dell'Altro.
Così questa inaspettata irruzione del canto, nel gioco psicodrammatico può suggerire una possibilità di sublimazione più valida che non il raffigurarsi in sogno di essere, o di avere, un fallo capace di un'erezione. E il suggerimento questa volta risulta efficace proprio perché nasce nel gioco, fuori della vita quotidiana, lontano dai personaggi reali che costituiscono i supporti biologici e sociali della costellazione edipica della paziente e trova nel gruppo un sostegno libidico e, nello stesso tempo, una garanzia di limitazione nello sguardo e nell'ascolto degli altri pazienti.
Dopo qualche seduta, stranamente (ma forse non troppo), per la prima volta si impone all'attenzione di Paloma e all'analisi e al discorso del gruppo, un fatto inconcepibile in relazione alla figura di madre fino a quel momento presentata. Il fatto cioè che questa donna inibita e misera è stata in grado di vivere una romantica appassionata storia d'amore al di fuori del matrimonio.
Ma quello che è ancora più significativo è che dopo questo gioco Paloma sembra decisamente più libera nelle sue scelte e nelle sue attività, oltre che nello scorrere della sua vita sentimentale. Particolarmente importanti sembrano a questo proposito due sogni in cui il tema del volo e dell'angoscia orale risultano chiaramente modificati. Nel primo sogno la nonna di Paloma tira fuori


dal forno un fagiano cucinato e pronto per essere mangiato. Paloma prova dispiacere all'idea che un così bell'uccello debba essere distrutto. Allora il giovane marito della nonna (che in realtà non esiste ed è un personaggio puramente onirico) rimette il fagiano nel forno. Questa volta però si tratta del forno che Paloma utilizza per la ceramica e il fagiano ne esce brillante e colorato, oggetto destinato non più al consumo orale ma alla gioia degli occhi.
Si può ragionevolmente pensare che la nonna e il suo giovane marito siano un'allusione alla coppia dei terapeuti che animano lo psicodramma, composta da un giovane che si può collocare all'incirca nella generazione alla quale appartengono la maggior parte dei pazienti e di una donna avanti negli anni. Ma quello che è più notevole è che a quest'ultima (nonna, cioè madre della madre) Paloma, qualche giorno prima, aveva chiesto indicazioni per indirizzare sua madre (che ne aveva manifestato il desiderio) a un analista che ne curasse la depressione. Strana coincidenza. Di fatto il personaggio materno sembra aver cambiato discorso proprio ora che Paloma è in grado di riconoscergli quegli attributi vitali, che per lungo tempo erano stati considerati monopolio dell'immagine paterna. Iniziando ormai a prendere contatto con i propri desideri, Paloma sembra poter fare a meno delle difese offerte dall'identificazione globale con un personaggio depresso e fallimentare.
Forse ancora più suggestivo e più direttamente centrato sui problemi della paziente è il secondo sogno. Paloma è affacciata al balcone e riceve la visita di un magico uccello con le ali formate dalle pagine di un libro di poesia. Lei sa che può staccarne alcune e tenerle (forse si tratta del testo di una poesia di Neruda sulla creatività) perché all'uccello rimarrà comunque un sufficiente numero di piume-pagine per volare indietro fino ad una fantastica casa editrice, dove potrà essere rifornito di altre pagine per tornare da lei.
A questo punto può essere importante sapere che Paloma, superando le proprie angosce, ha accettato serenamente di svolgere in una casa editrice un lavoro interessante che comporta possibilità, rischi, avventure intellettuali.
Non si può non riconoscere nel volo dell'uccello che va e viene, portando ogni volta una poesia e l'occasione di un nuovo gioco, anche il segno di un mutato rapporto con la figura maschile, più libero da timori legati all'oralità: per godere non è necessario possedere o distruggere.
Da quel momento in poi il tema del volo sembra sparire completamente dai sogni di Paloma.

3. - Inibizione, acting-out, sublimazione

Nei sogni di Paloma, prima di arrivare a questa improvvisazione in un certo senso risolutiva, si era verificato un passaggio tra il tema del volare e l'incubo della pesante statua di pietra arcaica il cui solo sguardo paralizzava per il terrore. Un passaggio dunque tra il massimo della libertà e della potenza motoria (in grado di superare tutti gli ostacoli senza la limitazione di leggi di gravita) e


la più assoluta immobilità (senza le normali possibilità di movimento di ogni essere vivente e nemmeno il moto lieve del respiro o i segni del metabolismo). Questo secondo tema dell'immobilità è in realtà il più antico anche se solo in un secondo tempo si presenta in terapia, dando retrospettivamente al motivo del volo il significato di una formazione reattiva onirica.
Se davvero il sogno è la rappresentazione di un desiderio realizzato, il passaggio tra questi due motivi estremi manifesta, nelle due serie di sogni ricorrenti, l'impasse in cui Paloma è prigioniera. Ma Paloma non lo sa, fino a quando il lavoro nel gruppo la porta a ricordare il motivo più antico e la mette di fronte ad una violenta contraddizione interna rispetto alla quale lei non è che una bambina spaventata, sprovveduta e indifesa.
Si tratta infatti di due tendenze contradditorie, più che contrarie, ciascuna delle quali tende per un certo periodo a mettere l'altra in afanisi. Non sembra infatti che vi sia la possibilità di trovare un termine medio né un rapporto veramente dialettico.
Questa contrapposizione fa pensare ai due estremi tra i quali si definisce in genere la cosiddetta resistenza dell'Es: l'eccessiva mobilità della libido, che non può ancorarsi ad alcuna rappresentazione nella sua irresistibile tendenza alla scarica, e l'esagerata viscosità della libido stessa che impedisce il passaggio da un investimento oggettuale ad un altro.
Si tratta di un tipo di resistenza per cui, come è noto, questa estrema mobilità della libido o la sua esagerata viscosità impediscono che qualcosa dell'esperienza possa risultare "trascritto nel luogo dell'Altro".
Infatti, sebbene i legami tra i sogni di Paloma e la sua problematica esistenziale (caratterizzata da una notevole inibizione del piacere sessuale e un'inibizione della creatività), fossero abbastanza ovvi da suggerire interpretazioni e sottolineature anche in un periodo abbastanza precoce del trattamento, questi interventi non parvero spostare le prospettive degli investimenti di Paloma, quasi che, in realtà, un effetto di significante non fosse possibile.
In altre parole è come se, non potendo accettare la caduta di un resto da ciò che veniva detto, Paloma temesse di ritrovarsi, non tanto messa in questione da un discorso, quanto schiacciata contro qualche cosa di reale.
È ciò che accade inevitabilmente se non si verifica uno scarto abbastanza sensibile tra la percezione attuale, suggerita dalle immagini delle interpretazioni, e il ricordo di traumi più o meno inconsci o di un desiderio non inibito troppo forte. In altri termini è come se ci fosse un pericolo di cortocircuito del discorso in un "troppo di senso". È come se l'unica alternativa fosse o la fuga in un agire "insensato" (acting-out o passaggio all'atto) o la scissione del discorso tra i contenuti degli interventi analitici (accettabili su un piano unicamente intellettuale) e gli investimenti libidici (che la resistenza conserva immutati).
Sembra infatti che si riproduca in questo punto del rapporto terapeutico un'inibizione analoga a quella che mantiene bloccati sia il piacere sessuale che la capacità di creare.
Non v'è dubbio che anche l'esperienza creativa e il piacere sessuale potevano significare per Paloma il pericolo di essere schiacciata contro un reale travolgente, non simbolizzabile, non suscettibile di essere delimitato dal significante.


È come se l'esperienza erotica e quella creativa rendessero imminente il rischio di cadere nell'acting-out o nel passaggio all'atto. È come se qualcosa di troppo violento nel desiderio o nel bisogno potesse impedire il legame dell'energia a livello simbolico.
Acting out e inibizione sono appunto due facce dello stesso problema, intessuto di narcisismo, se si tiene conto del bisogno disperato di impedire la caduta dell'oggetto a. L'acting out infatti contiene una spinta compulsiva che costringe il soggetto a riprodurre un'esperienza globale, invece di scegliere un tratto che può diventare rappresentativo del tutto, trasformandosi in segno significante, in una inevitabile diacronia che implica una frammentazione del vissuto nel tempo.
Proprio nell'imminenza della castrazione simbolica, che dovrebbe verificarsi in occasione della caduta dell'oggetto a, il soggetto sembra spesso costretto a brandire, attraverso il passaggio all'atto o all'acting out, una forma di castrazione immaginaria o addirittura di mutilazione reale (incidenti, malattie... ecc.) che funzioni da surrogato alla castrazione simbolica stessa. L'inibizione risulta pertanto l'unica alternativa a questa impasse se non c'è possibilità di sublimazione.
A questo punto è evidente che, sia pretendendo di riprodurre integralmente un'esperienza globale, sia tentando di rimpiazzare la castrazione simbolica con una mutilazione reale, il soggetto tende a riportare nel discorso il resto che l'articolazione del significante avrebbe dovuto lasciar cadere. Egli si trova cosi a colmare tutte, o quasi, le lacune costitutive del linguaggio umano. In tal modo il discorso non è più tale, ma soltanto un'eco del ronzio o del fracasso interiore, con l'annullamento, in pratica, di ogni differenza o distanza tra l'io e l'altro speculare.
La sublimazione, invece, ci sembra sostanzialmente un passaggio e un'apertura a un altro discorso, discorso dell'Altro, in relazione all'Altra scena.
Sono molto illuminanti a questo proposito le considerazioni di Winnicott in Gioco e realtà sulle differenze tra la fantasticheria evasiva (che starebbe alla base di acting out e passaggio all'atto) e l'esperienza onirica che; come l'esperienza di investimento nella realtà, Winnicott pone alla base della creatività. A tali considerazioni possono essere confrontate quelle, successive, di Gennie Lemoine nell'articolo già citato.
In realtà i sogni di Paloma, anche quando accompagnano la sua situazione di massima inibizione, costituiscono una spinta a denunciare una situazione insostenibile e a segnare il momento della sua disponibilità a cambiare la qualità degli investimenti. Soprattutto per il fatto che vengono raccontati e giocati.
Un altro aspetto di questo caso che a prima vista può risultare paradossale è il fatto che per Paloma i disturbi relativi alla sfera sessuale sembrano manifestarsi di pari passo con le difficoltà di sublimazione. La cosa risulta assai meno paradossale se riflettiamo sul fatto che, probabilmente, ad essere sublimate (soprattutto in un processo di creazione artistica) sono le pulsioni parziali più primitive collegate con i fantasmi più antichi del corpo fatto a pezzi. Tali pulsioni pregenitali, infatti, tendono a consumare l'oggetto e a distruggerlo, senza che l'articolazione significante possa in alcun modo intervenire e rendere possibile


un'altra modalità di fruizione. Pertanto si può dire che la soddisfazione della sublimazione è una soddisfazione sostitutiva, libera dal senso di colpa legato all'espressione diretta delle pulsioni che implica la consumazione diretta e, in molti casi, la distruzione della materia, sostituendola con una trasformazione della materia stessa che promuove la nascita di nuove strutture.
Dunque, sia che si tratti dell'esperienza di una creazione personale diretta, che di un'esperienza di fruizione dell'opera di un altro artista, l'opera d'arte costituisce l'oggetto buono introiettabile e, al tempo stesso paradossale, perché goduto e in un certo senso degustato, rimane comunque dinanzi a noi intatto e disponibile.
Non c'è da meravigliarsi allora se il fatto di riuscire a sublimare una parte delle più primitive pulsioni parziali, offrendo loro un destino meno distruttivo, possa in qualche modo facilitare l'attività sessuale genitale.
Ma se l'attività sublimatoria offre tutti questi vantaggi, ci libera dal senso di colpa e facilita la fruizione del piacere sessuale, perché risulta così difficile accedervi in casi come quello di Paloma?
In realtà essa è spesso una conquista che si può raggiungere solo passando attraverso una "porta stretta", una via costellata di pericoli.

4. - Identificazione ad un padre ideale portatore di un pene-opera d'arte

In realtà tutto l'andamento del processo della creazione è, ad ogni istante, insidiato dal pericolo che ogni cosa sia sommersa dalla violenza dei propri moti pulsionali e delle istanze superegoiche, finché non c'è una garanzia che offra protezione sufficiente contro la propria tendenza, quasi irresistibile, a distruggere ogni struttura che si viene abbozzando. Distruggerla o per eccesso di senso critico o per timore della responsabilità di aver aggiunto qualche cosa alla natura, esponendo questo qualche cosa alla distruzione e alla morte anche da parte di agenti aggressivi esterni.
D'altra parte ogni atto di creazione di una nuova struttura da parte dell'uomo implica una fase preventiva di destrutturazione dello "status quo", nel corso della quale sono sempre possibili eccessi incontrollabili che posono provare il fallimento definitivo e la morte.
Inoltre, se non si tratta dell'affascinante ma labile creazione del motto di spirito, la formazione di una struttura nuova con un grado di organizzazione più elevato o evoluto da qualsiasi punto di vista, assorbe necessariamente una notevole quota di energia in tensione. Tutto ciò ha come imbarazzante conseguenza (se si pensa al concetto freudiano di risparmio di energia) che ogni creazione avviene, in gran parte, sotto il regime del "dispiacere".
Non c'è dunque da meravigliarsi se i processi sublimatori relativi alla creazione artistica (quelli che qui ci interessano più direttamente) non si realizzino facilmente e gratuitamente e richiedano anzi diverse condizioni che non sempre si verificano in modo propizio.


Uno di questi momenti privilegiati sembra quello del trauma, momento di rottura in cui il soggetto è costretto a riorganizzare l'energia in modo nuovo per poter sopravvivere, riconoscendo l'inevitabilità della perdita e accettando di trame le conseguenze. Si tratta evidentemente di un cambiamento che riguarda il livello, la direzione, l'oggetto in cui è investita l'energia, e non di un cambiamento che concerne la natura dell'energia stessa. Ma è chiaro che non tutte le situazioni traumatiche possono dare origine a un processo creativo.
A questo proposito si può ipotizzare, come fa Laplanche (1980), che le cose sarebbero facilitate se il soggetto potesse disporre di un supporto materiale sul quale "appoggiare" l'attività sublimatoria. Nello stesso modo cioè in cui le pulsioni sessuali trovano all'origine il loro appoggio - e cioè una modalità di funzionamento - sulle cosiddette "attività finalizzate all'autoconservazione", come per esempio la suzione.
Ma dove potrà trovare il suo "appoggio" l'attività sublimatoria? Sembra molto difficile pensare che possa trovarlo nei processi adattativi e volti all'autoconservazione, proprio a causa della consumazione diretta e a causa della distruzione del supporto materiale implicato generalmente da questi processi.
Il problema è ovviamente tra i più ardui e non è possibile affrontarlo qui nella sua complessità. Ci contenteremo di prendere brevemente in considerazione quanto dice Mendel circa la necessità che le pulsioni parziali trovino un loro destino meno distruttivo proprio attraverso l'assimilazione dell'esperienza creativa di un'opera da parte di un altro artista la cui figura faccia da supporto identificatorio nel corso del processo di sublimazione. Freud (1913) aveva già osservato che nell'esperienza di godimento dell'opera d'arte il fruitore si trova a ripercorrere dentro di sé, in modo più o meno completo, le diverse tappe del processo creativo che l'autore ha attraversato all'epoca in cui l'opera è stata creata. Mendel riprende questa ipotesi freudiana per allacciarvi anche una funzione abbastanza precisa nella formazione del futuro artista. Secondo Mendel, infatti, il futuro artista sarebbe portato nell'adolescenza a prendere per ideale, al posto del proprio padre reale, un personaggio attinto fuori della stirpe, la cui opera possa assumere la funzione di pene anale e fallico, la funzione cioè di qualche cosa che può essere perduto o acquistato senza che il soggetto sia annientato (Mendel, 1964). Questo maestro spirituale è un personaggio paterno differenziato rispetto alla primitiva imago parentale combinata, in relazione alla quale sono possibili processi di "fusione" o meglio di parassitaggio, piuttosto che identificazione vera e propria. Esso vale in quanto portatore di quel tratto isolabile che rende possibile un'identificazione parziale di secondo tipo (la sua opera, appunto), che costituisce la garanzia che la parte può rappresentare il tutto senza che il tutto risulti mutilato o snaturato.
Così sembra di capire meglio quanto afferma Laplanche (1980), che nella sublimazione si verifica, invece del primato genitale, una specie di primato dell'opera creata. Primato che in qualche modo prepara il primato genitale stesso con le possibilità (proprie di questo livello di organizzazione libidica) di riconoscimento dell'alterità dell'oggetto e della sua capacità di desiderare.


Le pulsioni parziali possono trovare un modello di funzionamento che può suggerire una meta sostitutiva attraverso tale identificazione ad un autore. Identificazione in cui si succedono gli ipotetici processi della creazione originaria rievocati poi in modo preciso e irresistibile dall'opera stessa.

5. - Psicodramma e teatro

In psicodramma può dunque aver luogo l'elaborazione dell'esperienza estetica di un autore. L'improvvisazione si espone allo sguardo altrui e allo stimolo da parte di elementi inattesi come avviene in ogni esperienza di gruppo. La tendenza alla sublimazione trova così un "appoggio" attraverso processi sublimatori che coinvolgono diversamente dai ricordi della propria vicenda quotidiana.
La strutturazione delle difese nella vita quotidiana, come dice Gennie Lemoine, rischia di cullarci in una forma di rassicurazione a buon mercato, di cui la cultura che ci circonda è complice, fino a renderci ottusi e incapaci di vita. Ma l'arte, come l'amore o il crimine, costituisce la "peste" che da luogo ad una specie di liquidazione universale delle nostre illusioni, distrugge il sistema delle identificazioni basate su quelli che Moreno chiamava "i ruoli in conserva" fino a spezzare anche un linguaggio diventato ormai convenzionale.
Le illusioni narcisistiche di assolutezza saltano e Paloma si ritrova inevitabilmente a fare i conti con la propria fragilità, partendo dalla fierezza, dallo stoicismo, e dal senso dell'avventura (di cui da prova Don Giovanni, il personaggio volage per eccellenza) o dal rigore, dall'inerzia assoluta (di cui, all'opposto, da prova la statua).
Così la fierezza, la capacità di godere, lo stoicismo, il senso dell'avventura di Don Giovanni si stemperano nel lamento infantile, nella rivendicazione patetica e impotente. Da parte sua la crudeltà del blocco paralizzante superegoico, che trova una rappresentazione nella statua del Convitato (e nella statua che aveva tormentato gli incubi adolescenziali della paziente), si scioglie in un materiale fluido analogo a quello in cui si stempera il suo contrario.
Questa è dunque una specie di omogeneizzazione dei contradditori, più che una vera e propria mediazione dialettica.
È proprio questo che la resistenza evidenzia rilanciando il processo analitico, rimettendolo in gioco. Nella creazione inattesa del gioco si evidenzia come (di fronte a quel precedente della scena primaria che è l'imago parentale combinata) Paloma sia sommersa dal terrore di staccarsi per scegliere uno o più tratti (lasciando cadere il resto) che possono avviarla a vivere una vita propria.
L'identificazione al padre reale, creatore ma prepotente e colpevole di abbandonare la madre nella sua desolazione, è per Paloma troppo pericolosa e non ha potuto essere sufficientemente realizzata. Paloma infatti rifiuta di staccare la figura paterna dall’imago


parentale combinata, dal destino della madre e quindi dal destino proprio. Poiché è Paloma, in quella eteropia che è il setting terapeutico, l'unica bambina desolata che diventa oggetto di analisi, nella sua incapacità di chiedere il suo piacere in prima persona, anche contro qualcuno... padre o madre che sia, indipendentemente dall'imago parentale che fantasticamente la ingloba.
Sembra d'altra parte che anche un'identificazione con la madre reale sia troppo pericolosa perché significherebbe in definitiva la capacità di godere di un piacere illecito, in qualche modo rubato. Questo, al di là della "copertura" in cui si esprime la coazione a identificarsi con una selezione di tratti depressivi. Tratti che hanno avuto finalità di espiazione o di prevenzione nella costruzione di un'imago materna abbastanza negativa e repulsiva da funzionare come deterrente.
In fondo questa situazione depressiva (e nutrita di inibizioni per timore di assomigliare alla madre sprovvista di tutto) non è che una copertura di un desiderio analogo a quello che sta alla base del desiderio di identificarsi al padre e di trovare nell'immagine femminile un "appoggio" alle proprie esigenze vitali e creative.
In realtà Paloma può permettersi, ad un certo momento, di riconoscere che il padre reale non ha potuto togliere tutto alla madre. Alla madre è rimasto il canto e la possibilità di vivere una storia d'amore al di fuori del matrimonio, la capacità cioè di sfuggire al padre reale e di contrapporglisi. Quindi il padre reale non è onnipotente, non occupa tutto lo spazio dei desideri possibili.
Questo riconoscimento però può avvenire solo dopo che Paloma è riuscita a identificarsi alla figliazione - opera di un padre ideale trovato al di fuori della stirpe e della costellazione edipica. L'autore del Don Giovanni (1) infatti rende possibile per Paloma, assumere il ruolo del vessillifero della trasgressione subito dopo quello del suo massiccio e melanconico "contrario ". Si tratta di un processo radicalmente diverso da quello che accade nei sogni, anche se nutrito e preparato dai sogni stessi. Il desiderio di Paloma e i suoi conflitti vengono ora esposti alle reazioni e agli stimoli dei partecipanti al gruppo, con una disponibilità all'avventura e con rischi che comportano conseguenze ben diverse da quelle implicate dall'attività onirica.
Si scioglie così l'incantesimo inibitorio. Così si abbandona una situazione che poteva trovare scampo solo nella magia del volo onirico, piacere che unicamente i maschi sembrano potersi garantire attraverso l'erezione del pene: il volo sarebbe nel caso di Paloma, una specie di erezione rubata. Così si passa ad una situazione più umana e meno fallica. La giovane donna può articolare infine il proprio discorso anche in relazione ad un conflitto più profondo rispetto al quale l'impossibilità iniziale di scegliere tra padre e madre ha soprattutto un valore di schermo.

 


(1) Ovviamente non ha alcuna importanza in questo contesto, costituito dal framménto del processo terapeutico qui considerato, il fatto che in realtà gli autori siano due (Da Ponte e Mozart) in quanto qui funzionano congiuntamente come un'unica istanza paterna ideale.
Freud S. (1905), Personaggi psicopatici sulla scena, traduzione italiana in "Opere", Boringhieri, vol. IV, Torino, 1973,
Freud S. (1913), Il Mosé di Michelangelo, traduzione italiana in "Opere" Boringhieri, voi. VII, Torino, 1977.
Mendel G. (1964), La sublimazione artistica, traduzione italiana "Saggi sulla creatività", ed. "Il pensiero scientifico", 1977.
Laplanche J. (1980), La sublimazione in  " Problématiques "  P.U.F., Parigi  1980.
Lemoine G. (1975), Il teatro e lo psicodramma, traduzione italiana in "Atti dello Psicodramma", n. I, 1975.
Winnicott D. R. (1971), Gioco e realtà, traduzione italiana, ed. Armando, Roma, 1974.


SUMMARY

Sublimation Versus Acting Out and Inhibition
The Author describes the analytical psychodramatic treatment of a young artist who is seriously inhibited in her creativity and in her social and erotic life. The cause of her "imprisonment" appears to be a very primitive Oedipal complex.
Making references to Freud, Laplanche, Winnicott and G. Lemoine, the Author explains how the patient reaches an identification with Da Ponte's and Mozart's Don Juan. Through identification in the opera and improvisation on the theme, the patient can detach herself from her real parents by joining a dynasty of creators.

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