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ANTICHE AMICIZIE un'intervista a Fernanda Pivano di Rossana Chierico Moretti

 
Scheda dell'intervista presso la biblioteca Pivano

 

 

2001: Lorenzo Perpignani, Teto, Ottavio Rosati, Fernanda Pivano al Fontanone del Gianicolo
durante le riprese di Generazioni d'Amore - Foto Stefano Cavalli - C. Plays

Fernanda Pivano ha iniziato la sua attività sotto la guida  di Cesare Pavese curando "Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters. Figura leggendaria della cultura italiana. Grande conoscitrice della letteratura e della vita culturale americana, ne ha favorito l’introduzione e la diffusione in Italia in articoli, introduzioni, saggi, libri. Ha tradotto i più grandi scrittori americani da Hemingway e Scott Fitzgerald, quando ancora i vocabolari italiano-inglese erano proibiti dal fascismo, fino a Bukowsky e i nuovi autori della No-Generation.

 

Lei si è diplomata nel 1940  al Conservatorio di Torino in pianoforte e so che il Suo musicista preferito è Mozart, ma ama anche Beethoven. 

Non è Mozart ma è Bach. Suonavo con grande gioia. È suonando il pianoforte che ho conosciuto le mie estasi.

E suona qualche volta? 

Le circostanze mi hanno costretto a smettere di suonare, e questo è uno dei più grandi dolori della mia vita.

Lei ha detto più volte di non sopportare la violenza, e di non credere nelle guerre….

Sì, l’ho detto, continuo a dirlo e penso che continuerò anche a ripeterlo. La violenza provoca sempre violenza: lo scrittore Jack Kerouac ha detto che quelli che gli sputavano addosso rischiavano di ricevere lo sputo come un boomerang. Per quello che riguarda le guerre, non credo né a quelle giuste, né a quelle  sbagliate, né sante e insomma non credo  in nessun genere di guerra. Penso che il mondo sia già afflitto da tali disastri naturali come le alluvioni, i terremoti, le carestie, le malattie incurabili o l’Aids, che non sia proprio il caso di produrre volontariamente altre calamità. Inoltre mi pare che sarebbe ora che i governi usassero i miliardi che impiegano nella costruzione di armi sempre più efferate, per curare le calamità che abbiamo detto. Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perché ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue.

Quando e dove è iniziata la Sua amicizia con Ottavio Rosati?

Ottavio Rosati mi è stato presentato nel 1973 per un’intervista, dall’editore che è rimasto il più caro della mia lunga serie: alludo a Raimondo Biffi, editore dell’Arcana che mi ha commissionato due libri rimasti nel mio cuore: 'C’era una volta un beat' e 'Beat Hippie Yippie'. Rosati che era molto giovane allora, palesemente molto più maturo della sua età, mi ha impressionato per la sua insolita genialità e mi ha intrigata con la sua conoscenza della psicoanalisi che io invece non conoscevo affatto. Ancora adesso si diverte a canzonarmi perché quando l’ho conosciuto usavo il termine freudiano di “Super io” sbagliandone il significato. Praticamente Ottavio Rosati mi ha insegnato il pochissimo che so della psicoanalisi, naturalmente da amico.

Da un gioco psicoanalitico tra Lei e Rosati che la porta a rovistare nella Sua infanzia e nei Suoi incredibili e straordinari ricordi, è nato un bellissimo e commovente ritratto cinematografico: “Generazioni d’amore”.

Non ne sono sorpresa. La nostra lunga amicizia gli ha permesso di conoscermi bene, anche perché, da quando l’ho incontrato, so con quanta passione svolge la sua attività di regista. Sia in ambito clinico con i suoi psicodrammi, sia nella divulgazione della psicoanalisi, sia in campo puramente creativo.

Le Sue emozioni nel vedere per la prima volta “Generazioni d’amore?”

Credo sia sempre emozionante vedere la propria vita raccontata da altri, tanto più quando è raccontata da amici. Per esempio solo Rosati poteva avere l’idea di circondarmi dei pappagalli di via Lungara, la mia kasbah, o di inserire nel film una scena storica di Gregory Corso mentre legge davanti a una riunione anti-nucleare il suo storico poema BOMB.

E perché i pappagalli? 

Il perché me lo rivelò alla fine del film ridendo come un bambino: Sono uno bianco, uno verde e uno rosso, quello che mi hai tegalato tu. Disse. I colori della bandiera italiana. L'unico modo di metterla era in forma di pappagallo. Con la bandiera vera diventava un film fascista.

Molto divertente.

Lui è fatto così.

E la sequanza di Corso invece?

Quella scena viene da un film sul Naropa Institute in Colorado girato da Costanzo Allione nel 1978: "Fried Shoes Coocked Diamonds". E Allione, che è una persona generosa, ha concesso a Rosati di inserirla nel film quando fu montato a Cinecittà.

E Lei, signora Pivano, faceva parte del film di Allione?

Allione mi aveva chiamata per intervistare Ginsberg, Burroughs, Leary e il Rimpoche Trumpa… Ottavio, che era ancora un ragazzo, faceva anche lui parte della troupe dei tecnici, se ben ricordo, come assistente delle luci. Anche se poi era sempre a cavallo per le colline e i boschi di Boulder perché Alberto Grifi, che era il direttore della fotografia, le luci se le faceva da solo.

Che cosa La diverte e che cosa La fa arrabbiare di Rosati?

Di Ottavio mi diverte molto il suo humor che spesso è irresistibile sia quando gioca a canzonarmi, sia quando gioca a canzonare gli altri.
Quello che di lui mi fa arrabbiare non riguarda nessuno.


1958: Pivano ha 41 anni - Rosati 8 anni

 

                                        

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