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MANUALE DI PSICODRAMMA Vol. 1, di Jacob Levi Moreno

Introduzione di Ottavio Rosati: Moreno e gli Action Methods

1 

 11. Fare il gioco del paziente 

E’ possibile che una parte dei lettori italiani di Moreno abbia fatto esperienza diretta solo di quel tipo di analisi di gruppo chiamata 'psicodramma analitico'. Perciò è opportuno ricordare le ragioni per cui lo psicodramma, pur rendendo possibili nel passato e nel futuro decine di sincretismi in proprio onore, si pose creativamente come alternativa alla psicoanalisi. La scelta della parola 'dramma' per lavorare sulla psiche indica che siamo alle prese con la trasformazione attiva delle dinamiche piuttosto che con la loro 'analisi' attraverso l'interpretazione verbale. Lo scopo della rappresentazione psicodrammatica è di esprimere concretamente I vissuti del protagonista dando loro un'evidenza plastica e tridimensionale che permette sondaggi sui possibili futuri oltre che sul passato. Soprattutto nel caso dei pazienti psicotici o con un senso di realtà gravemente compromesso, Moreno utilizza il palcoscenico per realizzare il loro mondo, conoscerlo e percorrerlo. Lo scopo è di raccogliere le leggi del sistema delirante anziché interpretarlo o analizzarlo subito. Il mondo del paziente viene messo in scena e portato alla sua massima esasperazione per poi interpolarvi delle nuove pause e piegarlo gradatamente. Alla fine l’isolamento del paziente si trova imbrigliato in nuove formule senza che nel rapporto col regista e i suoi attori si siano prodotte tensioni o fratture. La strategia utilizzata da Moreno nel caso di William o della povera paziente in stato catatonico che ritrovo la parola solo quando nella messa in scena dell'inferno volle salvare il figlio da un diavolo psicodrammatico, diventa chiara contrapponendola a un caso clinico teatrale che ne rappresenta la contro faccia. 
Si capisce che la storia è di Pirandello la cui intelligenza tragica della condizione umana è imparentata a quella terapeutica di Moreno, un po' come in certi vasi greci il dio Thanatos lo è al benefico fratello Hypnos. Si tratta dell’ Enrico IV, una commedia che più volte è stata definita erroneamente ‘psicodrammatica' a causa di alcune superficiali analogie relative ai temi della follia, dei teatro e della terapia attraverso i colpi di scena. Il protagonista di Enrico IV, di cui Pirandello tace il vero nome, è un doppio moderno del monarca medioevale passato alla storia per la sua rivalità col papa e l'episodio di Canossa. Si tratta di un nobiluomo degli Anni Venti che si è identificato nel personaggio in seguito a una caduta da cavallo ordita ai suoi danni da un rivale in amore, durante un ballo in maschera. Il giovane è rimasto incagliato nel costume imperiale che indossava e da alIora vive nella sua villa umbra dentro la messa in scena permanente del suo delirio. Qui la sua ricchezza gli permette di rappresentare, anzi di essere, Enrico IV in mezzo a una corte fedele di figuranti, comparse e interpreti al suo servizio: tutti in costume, tutti complici del gioco, alcuni addirittura affezionati all'uomo e alla sua maschera. In un vero psicodramma questi 'Io ausiliari' parlerebbero anche di se stessi, farebbero anche i loro giochi, condividerebbero con il protagonista emozioni, vissuti o commenti. Nel caso dell'Enrico IV invece la situazione e i ruoli sono bloccati. Si gioca per un solo protagonista e, a differenza che nello psicodramma. 'Enrico' è anche regista dispotico della sua stessa messa in scena. L'unico nome attraverso il quale lo conosciamo è quello del suo personaggio. 
Com'é noto, la commedia prende l'avvio dall'arrivo in villa della marchesa Matilde Spina, la donna che anni prima 'Enrico' amava, accompagnata dal suo amante, Belcredi (responsabile del famoso incidente), dalla figlia Frida, che ha l'età di sua madre al tempo dei ballo in maschera, e da un medicoo alienista, il dottor Dionisio Genoni. Tutti sono convinti che sia ora di tirar fuori il matto dal suo delirio scenico e sono decisi a farlo  a ogni costo. Enrico costringe i visitatori a piegarsi alle regole del gioco storico e a parlargli attraverso personaggi storici in costume cui si rivolge con doppi sensi, allusioni e ambiguità inquietanti. Poi un colpo di scena. Verso il tramonto, nella penombra protetta della sala del trono, alla luce delle lampade a olio, il grande alienato si confessa a Lolo, Franco, Momo e Fino, i quattro ragazzi che fedelmente recitano per lui il ruolo di consiglieri segreti: da anni si è svegliato dal trauma e ormai gestisce lucidamente tutta la messa in scena. A loro 'Enrico' spiega la ragione di questo teatro a soggetto fisso: la sua fuga nel ruolo, più che a una caduta da cavallo, è dovuta alla caduta da uno sguardo. L'amarezza lucida e rassegnata che Pirandello dà alla confessione rimanda a tutta una psicologia del teatro: la finzione difensiva è, in fin dei conti meno alienante, meno deludente (dunque più rispettosa della verità) del fallimento empatico nella vita reale con gli altri. Pirandello evoca la stessa istanza protagonista dell' Invito ad un incontro* di Moreno: lo sguardo. Solo che nel caso di 'Enrico' l'idea di un contatto 'occhi negli occhi' compare all'interno di una perfezione minacciosa. Ecco che il gioco di molo di Enrico IV si configura come la catastrofe narcisistica dello psicodramma, come l'antipsicodramma:

Guai se vi affondaste come me a considerare questa cosa orribile, che fa davvero impazzire: che siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi -- come io guardavo un giorno certi occhi -- potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedere e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell'altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca...

Le due concezioni dello sguardo e dell'incontro sono così antitetiche da chiarirsi l'una con l'altra. Il disagio è lo stesso: la solitudine degli esseri umani. Il teatro di Pirandello ce ne fornisce però solo una diagnosi, mentre lo psicodramma ne propone la terapia. Da Pirandello tuttavia possiamo ricavare anche la descrizione sapiente di molti ingranaggi del gioco teatrale a soggetto e del loro rapporto col sistema di cui fanno parte. Si tratta di descrizioni preziose per la confezione degli interventi terapeutici da parte dello psicodrammatista. Ebbene, se la messa in scena di 'Enrico' è poco raccomandabile, l'intervento, pure teatrale, con cui nella commedia l’ alienista pretende di risolverla risulterà addirittura iatrogeno. Il dottor Genoni infatti azzarda uno shock affidato all'interpretazione della giovane figlia della contessa Spina. Indossando il costume di Matilde di Toscana, portato anni prima al ballo in maschera da sua madre, Frida farà uscire vivo dalla sua cornice il ritratto che nella 'sala del trono' sta accanto a quello di Enrico IV. Dovrà insomma andare incontro al padrone di casa come in una distorsione temporale o una scultura vivente, per svegliarlo dalla sua follia. L'espediente fallisce nel giro di pochi attimi. Dopo un momento di sconcerto 'Enrico' reagisce passando a fil di spada il suo antico rivale Belcredi. Poi nel momento in cui questo (con perfetto rovesciamento dei ruoli) cade a terra accusandolo di non essere pazzo, annuncia a tutti che si chiuderà "ora si... per forza.. e per sempre" nella sua pazzia di cui reclama gli speciali diritti. Delle due messe in scena dunque la meno terapeutica, anzi la più dannosa, è quella del medico. La morale di Pirandello è pienamente confermata dall'esperienza clinica di tipo psicodrammatico ma pure di orientamento sistemico-relazionale. Condizione del funzionamento del nuovo gioco e della manovra terapeutica è la rilevazione della mappa sociometrica del protagonista, lo studio del sistema di cui fa parte. Come regista troppo frettoloso il medico di Enrico IV è destinato a fallire. Il suo coup de théatre è ben lontano da un coup de psychiatrie. 
La commedia di Pirandello mostra pure tutta l'importanza del contesto in cui realizzare i giochi: un vero psicodramma reclama un suo preciso spazio di svolgimento, come lo reclama il vero teatro. La messa in scena nella realtà quotidiana è diversa dal teatro. Ma è pure diversa dallo psicodramma. L'intervento selvaggio del dottor Genoni fallisce anche perché pretende di aver luogo su un palcoscenico di un paziente che non chiede aiuto, convinto di bastare a se stesso, nel soggiorno della sua villa, anzi nella sala del trono di un re dove il gruppo (anzi i due sottogruppi) sono e non sono 'in situ'. 
Meglio avrebbe fatto il dottore a rendere Enrico spettatore e a intervenire sugli ospiti. Solo che qui i tipici imbrogli delle psicoterapie commissionate da terzi si complicano col problema mostruoso di una comunità terapeutica in maschera fondata e finanziata dall'unico paziente. Più che il dramma di 'Enrico IV' è in questione il suo teatro: la villa umbra che contiene il castello. È questa villa, di sicuro circondata da colline incantevoli, a rendere il castello terribilmente reale. Pirandello sa che la situazione di Enrico IV non è quella del povero Ciampa de Il berretto a sonagli né quella paradossale di Rosario Chiarchiaro de La patente, tant'è vero che tocca scrivere il suo nome tra virgolette. Alla regalità del suo ruolo corrisponde la realtà dello spazio teatrale di cui è padrone. Mentre 'Enrico IV' gioca in casa, Ciampa e Chiarchiaro giocano in trasferta sapendo che ii loro spazio di poveri cristi, ben lungi dall'essere terapeutico, può ai massimo riservare qualche vantaggio. La condizione della loro 'vittoria', si sa, è di esasperare paradossalmente l'arbitrio e il sopruso degli altri fino alle estreme loro conseguenze, esplicitandone la logica. Occorre ricordare ancora una volta i limiti e il senso dell'accostamento tra Pirandello e Moreno. La teatralità speciale descritta da Pirandello, sia in teatro che nelle novelle, denuncia le quotidiane usurpazioni di senso e potere tra esseri umani. A queste gravi fratture empatiche sembra possibile reagire con paradossi e forzature estreme da antieroe che la psicoanalisi chiamerebbe 'passaggi all'atto, come la minaccia di Ciampa di far saltare la sua 'corda pazza' ammenoché Beatrice non vada in clinica o la pretesa di Chiarchiaro di ricevere dal giudice una vera patente bollata di jettarore. La teatralità speciale di Moreno invece mira a curare l'alienazione nell'incontro psicodrammatico con l'acting-out e, se possibile, con i reali personaggi dell'atomo sociale del paziente. Il vero psicodramma può dunque aver luogo solo per consenso sociale dei partecipanti e solo sul palcoscenico del magister ludi, del regista terapeutico. Lo caratterizzano le insegne di Ippocrate ed Esculapio vicine al tempio di Apollo. E’ solo un caso che il disastroso e irruento dottor Genoni di Enrico IV sia invece descritto "con una bella faccia svergognata rubiconda da satiro" e che il suo nome sia 'Dionisio'? Fatto sta che il palcoscenico di Moreno, pur essendo aperto a Dioniso, in ultima istanza consegna la catarsi all'integrazione. Il paziente vi entra per portare in scena il suo dramma. Deve dunque sapere di recarsi in uno di quei luoghi speciali che fanno da camera stagna tra il mondo della sofferenza e quello della possibilità. Non fosse altro che per questa convinzione, è Apollo 'therapeutes' la divinità sovraintendente di questo teatro.

 

2. Che Grande Magia?

Prescindendo dal carattere interpersonale della messa in scena e della matrice sociale su cui Moreno insiste continuamente, lo psicodramma potrebbe essere considerato, come l'immaginazione attiva di Jung e il rêve éveillé dirigé di Desoille, lo strumento di produzione di un sogno lucido, cioè pilotato.* Vale la pena di riflettere su questa proposta visto che oggi in tutto il mondo la ricerca sul sogno lucido attraversa una fase di grande vitalità grazie alle scoperte sui due emisferi cerebrali di Sperry e Cazzaniga successive alle invenzioni di Freud e Moreno. Keith Hearne, che all'università di Hull in Inghilterra lavora su questo tema dal 1977, ha rispolverato l'osservazione di Aristotele che "a volte sogniamo sapendo di sognare" e in America La Berge ha dichiarato che la ricerca contemporanea sui sogni pilotati potrebbe trasformare l'attività onirica in "un magico teatro di tutte le possibilità". Va perciò sottolineato come Moreno sin dagli Anni Venti non solo abbia indicato le complesse implicazioni di questo teatro ma anche i suoi limiti. Infatti, collegando il teatro intrapersonale a quello interpersonale, Moreno ci consente di capire come la 'magia' del teatro privato di cui parla La Berge sia contemporaneamente 'la grande magia' delle miserie e dei legami tra uomini descritta da Eduardo De Filippo nella sua commedia del 1948. Che si tratti di sogno lucido o ipnotico la parentela dello psicodramma col sogno è evidente sin dalla celebre risposta che il giovane Moreno diede a Freud quando si senti chiedere cosa facesse: Comincio da dove Lei finisce professore. Lei insegna alla gente a capire i suoi sogni, io cerco di dare alle persone il coraggio di sognare ancora. Questa dimensione onirica e salvifica del gioco teatrale è stata continuamente ribadita in varie formule, da Lewis Mumford per cui "lo psicodramma è l'essenza del sogno" fino agli psicoanalisti di gruppo francesi per cui "il gruppo è un sogno". Del resto questa tecnica di trasformazione attiva presuppone che, anche tacendola, il terapeuta elabori una serie continua di interpretazioni del dramma del paziente come fondamento della regia terapeutica del gioco. Ci troviamo perciò di fronte a una tecnica due volte più complessa e del tutto peculiare rispetto a quella del setting dialogico o analitico. In questa ottica va compresa l'importanza assunta nello psicodramma da quegli elementi della comunicazione che sono banditi dal setting analitico classico: lo sguardo, l'azione, l'intesa. Vediamoli uno dopo l'altro.

 

3. Tra nudismo e travestimento

Innanzitutto, per quel che riguarda lo sguardo, è evidente che Freud, forse disgustato dalla teatralità universitaria di Charcot, fonda la tecnica analitica su una mortificazione puritana del punto di vista sensoriale e visivo e sull'estrema riservatezza dei lavoro: nessuno all'infuori della coppia medico-paziente assiste alle sedute di analisi. La confessione di Freud, in seguito assunta a dogma, è nota: "Io non posso starmene con un paziente che mi fissa in viso per otto ore al giorno (o più)...". 
Moreno inventa un campo espressivo polarmente opposto: il palcoscenico del teatro di psicodramma, aperto allo sguardo del gruppo e suscettibile di trasformazioni e adattamenti scenici, luminosi, coreografici. All'eccellenza delle orecchie aperte Moreno giustappone quella degli occhi spalancati. La gamma dei piaceri, dei vizi e delle virtù possibili in psicodramma va dal nudismo al trucco e al travestimento. Moreno è il primo a scherzare volentieri sulla sua tendenza alla paranoia e all'esibizionismo, al punto che viene spontaneo contrapporre la sua paranoia calda ad altre più serie e di genere freddo. Per primo scopre le carte della nevrosi infantile: da bambino giocava a Dio nelle cantine (tendenza al trucco) o si calava giù dalla finestra per la strada senza vestiti (tendenza al nudismo). "Volevo vedere come avrebbe reagito la gente, ma pure sorprenderla, scuoterla". Su questa prodezza infantile ogni interpretazione è superflua. Pur di restare a Vienna e non seguire la famiglia nel trasferimento in Germania, all'età di undici anni Moreno si guadagnava la vita come precettore, completamente autonomo dal punto di vista economico anche se evidentemente interessato allo sguardo degli altri. In fatto di sguardi la psicoanalisi freudiana è addirittura il luogo in cui il paziente sul suo lettino deve perdere di vista lìanalista dietro di lui, e dove, a rigore, l'analista può fare a meno di osservare il suo paziente. Egli si limita ad ascoltarne le parole per rispondergli con altre parole: testo contro testo. Certo, lo psicoanalista si affretterà a definire l’inconscio come scena e il sogno come teatro. Tuttavia la tecnica e l'ideologia di Freud (cui prima la Klein disobbedisce con una specie di suo teatrino della crudeltà che non sarebbe dispiaciuto ad Artaud) pretendono di cogliere e comprendere questo teatro in termini solo verbali, cioè di narrazione e recensione. La sinestesia naturaliter teatrale di ogni scena vissuta o sognata viene dunque sfrondata drasticamente in analisi delle componenti al di là del testo: il suono, il movimento, il contatto, l'immagine. Alla scena viva l'analizzato deve sostituire la narrazione e alla narrazione l'analista rispondere col commento. Insomma nell'epoca in cui si cominciavano a ricavare film dai libri, la psicoanalisi incominciava a ricavare libri dai sogni: dove c'è l'Es ci sarà l'Io. Era un sopruso, però i sogni sarebbero stati vendicati dal cinema e dal teatro che, a loro volta, avrebbero reso un pessimo servizio ai libri della psicoanalisi. 
A differenza di quello psicoanalitico il teatro di psicodramma non snatura il teatro del sogno. Il palcoscenico di Moreno infatti è uno spazio altamente espressivo del protagonista davanti al suo pubblico ed è contemporaneamente il contesto di autorivelazione delle sue fantasie inconsce. Esistono dimensioni psichiche irraggiungibili a parole che solo l'azione o la comunicazione analogica o la rappresentazione ludica riescono a cogliere. Perciò, se è vero che per il protagonista sul palco la situazione è esibizionistica, è pur vero che essa diventa per lui anche sanamente voyeuristica: mostrandosi al pubblico, il soggetto si rivela a se stesso.

 

4. Il corpo magazzino della memoria 

La seconda istanza tipica dello psicodramma rispetto all'analisi è quella dell'azione, strettamente allacciata a quella dell'esibizione e dell'espressione. Sarebbe difficile immaginare uno strumento che più del lettino riesca a limitare i movimenti del paziente. La posizione obliqua, coi piedi staccati da terra, è innaturale e inadatta all'azione. Anche dal punto di vista dell'espressione motoria il lettino è decisamente l'anti-teatro. L'immobilità cui esso costringe, in qualche caso può anche favorire la regressione terapeutica cara allo psicoanalista ma in altri la impedisce, come mostrano, le impressionanti catarsi psicodrammatiche del paziente che attraverso l'acting raggiunge stati mentali alterati, giochi terapeutici altrimenti impensabili. Mettendo in campo l'azione e il movimento oltre che l'espressione paralinguistica e scenica, lo psicodramma esce dalla strettoia analitica e ritorna alla matrice terapeutica del teatro di Esculapio. La resistenza del mondo analitico e dei codici dell'emisfero sinistro a questa vera e propria rivoluzione sta nel mezzo lapsus con cui alcuni terapeuti parlano incongruamente di una 'seduta' anziché di una 'sessione' di psicodramma. Sarebbe altrettanto logico parlare di una 'passeggiata' a letto o di una 'sdraiata' in bicicletta. Invitato ad agire sul palcoscenico, il corpo umano si rivela il magazzino teatrale della memoria. 
Dalle quinte dell'espressione atona e alienata entra in scena il repertorio dei personaggi incontrati o rivestiti negli anni. Come in Sei personaggi in cerca d'autore alcuni di loro si presentano spontaneamente, altri fanno difficoltà ad arrivare, come nel caso di Madama Pace. E, poiché la consapevolezza intellettuale della loro esistenza non basta per farli andare in scena, occorre far ricorso, oltre che alle parole, all'azione rituale. Qualche volta è necessario architettare associazioni più vincolate che libere, quasi speciali esche sensoriali. Basta pensare all'importanza che in Sei personaggi in cerca d'autore hanno la busta cilestrina richiesta dalla figliastra o i cappellini sistemati dal padre nel porte manteau per evocare la presenza di quella tailleuse à dame che, sola pur far rappresentare ancora la scena dell’incontro con la figliastra nell'atelier. Si tratta insomma di far scattare la molla giusta della combinazione anziché forzarne il meccanismo; l'arte dello psicodramma è anche in questo genere di azioni. Quando il personaggio esce dal corpo - magazzino della memoria - il protagonista recita dentro il fantasma ma se ne libera. I personaggi si fanno vivi nella voce del loro autore, nelle trasformazioni del suo movimento. Solo dopo averli messi finalmente in circolazione si riaprono i giochi per poter smuovere la storia dal punto in cui si era incagliata.

 

5. Lo psicodramma come opera aperta

La terza istanza differenziale rispetto alla psicoanalisi è quella dell'intesa fra partecipanti del gruppo al di là del transfert del paziente e dell'interpretazione privilegiata dell'analista. Una delle più sottili analogie tra Moreno e Milton Erickson è la possibilità da parte del terapeuta di rivolgersi al paziente per un confronto e una condivisione (sharing) di esperienze personali. Da una parte il tele (che Moreno distingue dal transfert come molla della terapia) può ricordare la dialettica transfert/controtransfert teorizzata da Jung in termini alchemici. Dall'altra può corrispondere alla tecnica ericksoniana di guidare il percorso associativo del paziente raccontando episodi della propria vita. A questo parallelismo nella concezione del rapporto terapeutico corrisponde poi il parallelismo tra la concezione moreniana della spontaneità, come fonte di nuove risposte e soluzioni, e la concezione ericksoniana della mente inconscia come fonte di alternative alla mente cosciente e alle sue limitazioni.

In psicodramma il rischio che il soggetto sprofondi nella messa in scena di un universo solipsistico e delirante è evitato, oltre che dall' intervento del regista, dalla presenza degli spettatori. I membri del gruppo fanno da eco al gioco rappresentato e restituiscono al protagonista il suo dramma cosi come è riflesso nella loro storia e nel loro sguardo.

In questo senso il famoso invito a un incontro di Moreno va inteso come la proposta di un riscontro al tempo stesso empatico e problematizzante, più che come un ingenuo e sentimentale augurio di reciprocità fusionale. Nella metafora dello scambio degli occhi, cioè dei punti di vista, andrebbe colta, più che un rimando all'identificazione dell' Io con il Tu, la proposta di far circolare il senso del dramma. Il dramma che è stato rappresentato e osservato si può costituire come tale solo grazie alla testimonianza del suo pubblico. Il dramma giocato con gli spettatori e davanti agli spettatori è un'opera aperta, e riaperta, grazie alla pluralità dei suoi riflessi, dei punti di vista espressi nelle condivisioni finali, lo sharing. 
Arrivati al momento dello sharing, che prende ii posto di quello che a teatro sono gli applausi, il rapporto osservato/osservatore si ribalta. Accettando la condivisione dei vissuti omologabili al suo gioco, il protagonista scopre se stesso mentre scopre gli altri. Egli osserva le diverse scene dalle quali è stata osservata la sua scena: i palchi sono in realtà altri teatrini. Per l'epistemologia drammatica il gioco esiste, più che in sé e per sé, di volta in volta: cioè nei vari sistemi che lo accolgono. Una parte di questa concezione è riflessa nell'apologo pirandelliano di Così è (se vi pare) dove la verità della signora Frola e del signor Ponza si comprendono a turno. Ma per altri versi il rimando è all'assioma di Gregory Bateson per cui non si può non comunicare.

 

6. Psicodramma e terapia della famiglia

Nel gruppo intorno al dramma anche la mediocrità o la freddezza della condivisione, a giochi fatti, parlano chiaro e costituiscono senso. Perfino la fuga nel commento intellettualizzato con pretese pseudo-analitiche o il silenzio stesso rimettono sempre in moto il gioco, e, invece di bloccare l'intervento, ne orientano la direzione come avviene nella psicoterapia sistemicorelazionale. Un'ultima considerazione sulla matrice interpersonale dello psicodramma è che Moreno fu il primo a introdurre nella storia della psichiatria un cambiamento rivoluzionario spostando la terapia dell'individuo verso l'intervento sul suo sistema sociale. Era il 1914.

È evidente che la tecnica dello psicodramma si differenzia da quella della terapia sistemica, altrimenti detta 'della famiglia', tuttavia già nel 1937 Moreno sostiene che, rispetto al trattamento psicoanalitico del singolo paziente, il suo procedimento "può essere definito come una forma di trattamento situazionale, il terapeuta si sposta da un individuo all'altro, incontra ognuno nella sua cruciale situazione di vita finché non viene esaminato l'intero problema interpersonale. Poi procede a portare insieme nei conflitto i partecipanti stessi. Ciò non ha luogo sul palcoscenico, ma nella vita stessa".

Egli scrive nella prefazione alla terza edizione di Psychodrama: "Fu necessario avere uno spazio nel quale la vita della famiglia potesse essere vissuta nello stesso modo in cui aveva luogo nella realtà come pure simbolicamente".

Per esempio, nel trattamento di un triangolo matrimoniale descritto in questo primo volume, l'incontro tra i tre membri in un primo momento avviene attraverso Moreno che in qualità di Io ausiliario (della moglie e poi del marito) li incontra uno dopo l'altro per poi collegare i loro messaggi.*

In tutta l'opera di Moreno l'oscillazione tra l'intervento sui veri protagonisti dell'atomo sociale del paziente e la loro rappresentazione, tramite gli attori che ne interpretano il ruolo, fa in modo che lo psicodramma si adegui di volta in volta alle circostanze e alle possibilità dell'intervento.

Occorre molta attenzione per cogliere l'ambiguità e la ricchezza di una frase come questa: "Il palcoscenico non è inteso in senso teatrale, è una piattaforma sociale, gli attori non sono attori ma persone reali e non 'recitano' ma rappresentano se stessi. Le trame non sono 'commedie' ma i loro problemi più autentici. Dopo le sessioni preliminari, i sostituti delle persone, gli Io ausiliari, sono spesso rimpiazzati dai personaggi reali. Con loro il tangibile contesto reale del problema rientra in scena in tutte le sue funzioni.

La funzione di realtà perde la sua autonomia e diventa una parte della funzione psicodrammatica nel senso più lato della parola",

A conti fatti occorre dedicare tutto uno studio al rapporto tra psicodramma e psicoterapia relazionale. Basta pensare a come le varie correnti della psicoterapia della famiglia abbiano, più o meno consapevolmente, mutuato le loro tecniche visive, attualizzanti, circolari, rituali o mimiche dallo psicodramma o le abbiano riscoperte senza saperlo.

Un esempio elementare è quello delle 'sculture fenomenologiche e mitiche' nel lavoro di Callié* sulla coppia, corrispondente alla tecnica della 'fotografia psicodrammatica'.

Anche Mara Selvini Palazzoli nel corso della sua ricerca è arrivata ad auspicare per le famiglie che presentano un membro psicotico strumenti in grado di sollecitare informazioni a livello analogico: "... il gioco si disvela quando una famiglia è spinta a fare assai più di quanto è spinta a dire" .**

 

7. La catarsi di integrazione

La situazione psicodrammatica, più che a quella analitica, è assimilabile a quella dell'ipnoterapia. Anche Milton Erickson tralasciava del tutto l'interpretazione di un sogno ma faceva sognare ancora, e in modi diversi, il sogno portato dal paziente. In un occasione dichiarò: no, non ho interpretato il sogno;  è stato il paziente a spiegarlo a me; io glielo ho fatto proseguire...

L’interpretazione dei sogni di Freud è diversa da quella di Moreno come l'interpretazione di una commedia data da un critico teatrale lo è da quella data da un regista. Un eccesso di commenti e osservazioni analitiche nel corso della sessione rischia di paralizzarla e di trasformarla in una seduta. In questi casi rientra dalla finestra l'opaca tirannide dell’intervento verbale che lo psicodramma vuol far uscire dalla porta che conduce al palcoscenico.

Moreno non ha inventato lo psicodramma come un contesto per dare adito a interpretazioni di giochi dove l'espressione del partecipante si libera solo per metà. Utilizzare lo psicodramma con stile riduttivo e stabilire la sistematica riduzione dei giochi alle griglie concettuali che fanno da letto di Procuste è certamente possibile. Ma allo stesso modo in cui lo sarebbe utilizzare un rubinetto dell'acqua come maniglia di una porta.

La catarsi di integrazione di cui parla Moreno come pure il suo discorso sull'armonizzazione della mano destra e sinistra possono essere considerati un'intuizione della futura scoperta di Sperty circa l'accordo tra i due emisferi cerebrali o la predominanza di uno di loro.

Del resto la teoria psicodrammatica di una lotta per l’equilibrio tra i due percorsi della realtà e della fantasia, in un primo momento fusi ma destinati a separarsi nel corso dello sviluppo del bambino, pare il corrispettivo ontogenetico della teoria di Julian Jaynes su un antico crollo della mente bicamerale. Tanto più se si considera il carattere bicamerale - in parte rituale e immaginate, in parte riflessivo e dialogico - dello psicodramma come rito terapeutico.

Ma se davvero lo psicodramma è un sogno, cosa dire di quel doppio sogno che è lo psicodramma di un sogno? La regia di Moreno prevede di cominciare riscaldando il protagonista con la descrizione dell'ambiente e delle circostanze in cui il sogno è stato fatto. Si arriva finalmente al momento in cui il protagonista sdraiato sul letto di scena chiude gli occhi per poi riaprirli sul sogno sul palco. Nessun setting, meglio di questo, aderisce alla teoria per cui davvero il sogno è la scena dell'inconscio e illustra la definizione di Enzo Forcella per cui le palpebre sono un sipario tra due mondi, che si chiude su una scena per schiudersi su un'altra.

Anche qui la procedura psicodrammatica fa pensare a una tecnica ericksoniana, quella di far entrare in trance un soggetto evocando le precedenti occasioni in cui è stato ipnotizzato. Ho notato che Zerka Moreno, dirigendo l'acting out di una scena lontana nel tempo, propone quasi sempre al suo protagonista di ricordare le luci, i suoni e i profumi dell'ambiente. Può anche invitarlo a rammentare se le superfici intorno a lui erano ruvide o morbide al tatto fino a fargli accarezzare una superficie della stessa natura trovata sul palcoscenico.

Insieme al 'gioco della sabbia' junghiano di Dora Kalf, lo psicodramma è l'unica terapia che faccia ricorso all'estroversione della sensazione dando dignità attuale allo spazio dei ricordi. Non a caso, parlando della funzione terapeutica del regista di psicodramma, Moreno usa il tanto discusso termine ericksoniano di manipulation e definisce 'ipnotizzato' il protagonista spontaneo nel gioco.

 

8. J. L. Moreno, ipnotista

Certo, una concezione dello psicodramma come terapia naturaliter ipnotica può trovare più conferme nel confronto clinico delle due tecniche che in dichiarazioni programmatiche di Moreno e Milton Erickson, i quali furono troppo assorbiti dalla loro opera per poter conoscere l'uno il lavoro dell'altro.

Va innanzitutto detto che la concezione dello psicodramma come 'ipnoteatro' tout court deve fare i conti, tra l'altro, con il punto di vista di Moreno che, da una parte, mira a restringere il campo dell'ipnosi e, dall'altra, ad allargare quello dello psicodramma. Egli infatti formulò lo speciale termine di 'ipnodramma' per definire la sessione in cui il protagonista agisce in stato di trance, di trance medio/profonda cioè, la sola che secondo Moreno connoterebbe una situazione come ipnotica.

D'altra parte è sua convinzione che il soggetto, svegliandosi dalla trance, interpreti il ruolo, talvolta in lui latente, che l'ipnotista gli ha suggerito di assumere al suo risveglio. È insomma evidente che questa è ancora la tradizionale concezione direttiva, se non addirittura autoritaria, dell'ipnosi che Milton Erickson respinse sempre come riduttiva e limitante.

In effetti solo nell'ottica ericksoniana diventa possibile pensare allo psicodramma come a un gioco ipnotico. Questa ottica infatti ridimensiona l'importanza della trance classicamente intesa e tradizionalmente indotta, e insegna a riconoscere quelle alterazioni di coscienza più sottili sfumate che danno comunque la possibilità di accesso all'emisfero destro, non dominante attraverso il gioco, la metafora, la suggestione indiretta.

Fatta questa premessa, l'invito di Moreno a un'integrazione consapevole e sistematica dei principi psicodrammatici nell'ipnoterapia può essere raccolto per lo meno in tre direzioni. Innanzitutto lavorando nel modo da lui proposto; in secondo luogo riflettendo su come di fatto questa integrazione abbia già avuto luogo anche se in modo più sporadico che sistematico; in terzo luogo rovesciando i termini dell'invito ad un incontro tra psicodramma e ipnosi, integrando cioè i principi della nuova ipnoterapia nello psicodramma.

Per trovare conferma all'idea che lo psicodramma, in condizione di warming-up del protagonista, procede come una vera e propria ipnoterapia mi sono rivolto tanto a Lewis Yablonsky, il sociologo che fu il più intimo amico di Moreno, che a Ernest Rossi, lo psicoanalista junghiano che divenne il più intimo collaboratore di Erickson.

Entrambi hanno confermato l'idea con grande vivacità e facendo subito ricorso a degli aneddoti. Nel corso della nostra conversazione Rossi riandò con la memoria agli inizi degli anni Settanta. al tempo in cui, prima di scoprire Erickson. scriveva il suo libro sui sogni e lo sviluppo della personalità.

A Los Angeles, dove proprio con Yablonsky fece psicodramma alla State University, Rossi frequentava la scuola di teatro di Lee Strasberg grazie al quale inserì nel libro sui sogni la teoria di Anton Cechov per cui l'attore impersonando i ruoli a teatro finisce per creare la sua stessa personalità.

Yablonsky da parte sua confessò che il carattere ipnotico dello psicodramma gli divenne del tutto evidente il giorno che chiese a un gruppo di ipnotisti, davanti ai quali aveva diretto una sessione piuttosto impegnativa, se trovavano qualche rapporto tra il loro lavoro e il suo. Si sentì rispondere che non capivano come potesse porre questa domanda sul serio, giacché ciò che gli avevano visto realizzare era pura ipnoterapia. I lettori abituati all'idea che nessun sistema terapeutico in particolare detenga la chiave della verità sulla personalità umana potranno portare avanti per proprio conto l'indagine sulle intersezioni inconsapevoli dei sistemi terapeutici o sulla possibilità di leggere l'uno attraverso le griglie dell'altro.

Poiché Moreno per primo realizzò e trascrisse psicodrammi dedicati a Shakespeare e a Sigmund Freud si è autorizzati a proseguire il gioco.

Il caso, per certi aspetti mitico, di Barbara, l'attrice di aspetto angelico • carattere infernale, a partire dal quale il Living Newspaper si trasformò in psicodramma, può essere reinterpretato spiegandolo, oltre che con la catarsi, con la prescrizione paradossale. Quando Moreno chiese a Barbara di passare dal ruolo di eroina romantica a quelli di donna brutale e aggressiva le prescrisse la sua stessa aggressività, quella che in privato riservava al marito.

Le prescrizioni paradossali, da Erickson fino alla Scuola di Milano di Mala Selvini Palazzoli, consistono nell'ordinare al paziente il suo abituale comportamento sintomatico ma con un particolare in più. Nel caso di Barbara questo particolare in più fu il palcoscenico che, spostando le scenate da casa a teatro, le trasformava in scene.

 

9. Milton H. Erickson, psicodrammatista

A prescindere dall'induzione di trance Erickson propone spesso al paziente di fare qualcosa pensando che il cambiamento di stato arriverà tramite il cambiamento di azione.

In questo è possibile scorgere un'analogia col pragmatismo di Moreno e la sua concezione di regia terapeutica. Solo che per Moreno spetta al palcoscenico e al gioco psicodrammatico stabilire la dimensione alterata di coscienza che Erickson ottiene con l'induzione ipnotica. La dimensione attiva è comunque evidente, a partire dai primi casi (in collaborazione con lo psicoanalista Kubie) dove Erickson realizza l'acting-out sotto ipnosi di fantasie sessuali o di gravidanza isterica, fino alla sua celebre invenzione delle tecniche di pantomima per indurre la trance: tecniche extra-verbali, analogiche, dunque basate sull'acting, sulla recitazione.

Estremamente teatrale (Erickson stesso lo definisce 'farsesco') è il caso del vecchio falegname che per un'irriducibile paralisi al braccio rischiava di perdere il diritto alla pensione. Per lui Erickson inventò (o forse riscoprì) una tecnica vagamente settecentesca da malato immaginario recitando con un collega che gli faceva da spalla una falsa diagnosi di 'sindrome da inerzia'.

Qui Erickson, finto psichiatra, è davvero autore, regista e attore di una messa in scena terapeutica. Ma più ancora che in questo caso, dove a recitare è il terapeuta e non il paziente, il ricorso a un role playing in linea con la tecnica di Moreno è evidente nel celebre caso di Harvey 'the sad sack'.*

Per dare a un ragazzo gravemente depresso e sul punto di suicidarsi, la fiducia in se stesso e la capacità di farsi valere, Erickson fece ricorso durante l'induzione alla tecnica del doppio. Harvey, dopo aver letto la frase: "Oggi è una bella giornata” scritta in bella calligrafia da un suo doppio, al comando di Erickson riusciva a scriverla altrettanto bene, per la prima volta in vita sua. Ne ricavò un'autostima e una gioia di vivere che in seguito avrebbero modificato sostanzialmente il suo comportamento nella vita di tutti i giorni.

Il lavoro di Erickson che più ha un carattere psicodrammatico per il ricorso alla distorsione temporale, al role-playing, e alla surplus reality è il suo ultimo caso, L'uomo di Febbraio. Il passato infelice della paziente venne ristrutturato interpolando nuove scene nella sua traccia inconscia. Si tratta del corrispettivo psichico di un intervento di chirurgia plastica perfettamente riuscito. L'operazione avvenne in trance attraverso uno scambio di battute non tra paziente e terapeuta ma tra due dramatis personae: l'lo della paziente da bambina e il personaggio di amico di famiglia, ideato e interpretato da Erickson stesso: l'uomo di febbraio.

Il caso ha una grande importanza non solo nella storia dell'ipnoterapia ma per tutta la psichiatria dinamica. La strategia di Erickson può anche essere considerata come la soluzione dei complessi problemi posti da quella 'analisi attiva’ che per tutta la vita rappresentò la chimera e la croce di Sandor Ferenczi.

Con il caso dell'Uomo di febbraio Erickson dà una soluzione al tentativo di Ferenczi di spostare verso l'efficacia terapeutica e riparativa le ambizioni prevalentemente conoscitive della psicoanalisi freudiana, e realizza un vero e proprio psicodramma à deux.

 

10. Giochi puliti e giochi al quarzo

L'idealismo di Moreno, nato all'inizio del secolo dalla religiosità ortodossa di Bucarest, si alimentò, e a sua volta lo nutrì, del pragmatismo ottimista degli Stati Uniti d'America. È precisamente di quell'America laboriosa e sentimentale, anti-segregazionista e pre-tecnologica illustrata da Norman Rockwell a partire dalle prime copertine negli Anni Venti per il Saturday Evening Post, piene di bambini con cuccioli in corsa, di vecchietti assopiti nella pesca sotto i divieti di pesca, di coppie alla O'Henry coi vestiti nuovi o vecchissimi, per arrivare alla leggendaria serie dei Boy Scout Poster Calendar e la loro fede nell’ avvenire e nei giochi puliti, fino alle grandi tavole ispirate e psicodrammatiche delle Four Freedoms con rispettive catarsi: of Speech, of Worship, from Want, from Fear.

La tensione sociale ottimistica di Moreno trova nella pittura magistrale e istrionca di Ruckwell la sua perfetta illustrazione. Innanzitutto perché i suoi personaggi a olio sorgono per lo più come doppi di Io ausiliari in fotografia. Poi per il piacere con cui offrono agli occhi del pubblico la loro scena precisandola nello spazio e nel tempo e nelle loro relazioni di empatia reciproca, dunque di tele. Poi essendo in definitiva 'teatrali e 'terapeutici’ grazie a un realismo apparentemente esasperato che, a ben vedere, è una sintesi astuta di analisi e surplus reality.

Tra le raccomandazioni che fanno di Moreno uno degli ultimi sorridenti moralisti della speranza sta lo sconcertante invito a "ridimensionate l'uso scriteriato delle bambole e dei pupazzi". La bontà polemica di Moreno supera quella di chi difende i diritti degli animali e delle piante, perché si batte addirittura in difesa dei giocattoli. In tutta serietà Moreno denuncia nell'eccesso di maltrattamento agli orsacchiotti di pezza e nella loro impossibilità a rispondere, un attacco ai principi della democrazia americana.

La sua proposta, agli antipodi di quella di Gordon Craig, che vide nella Super Marionetta l'attore ideale, è di far ricorso a Io ausiliari umani che facciano la parte dei pupazzi e rispondano ai bambini. Insomma, come la Klein nel suo teatrino della crudeltà intende dare cose alle parole, Moreno intende dare parole alle cose.

La proposta di doppiare il doppio per antonomasia, cioè il giocattolo, non ha certo lo scopo di complicare i giochi come nel meta-teatro di Pirandello o in una litografia di Escher. Moreno intende semplicemente far ritrovare ai bambini la sensibilità degli esseri umani dietro i giocattoli, compagni dei loro giochi.

Il riferimento semmai è al Pirandello accessibile e quasi sentimentale di Diana e la Tuda dove alla fine lo scultore capisce di dover porre la modella davanti alla statua. È per ragioni etico-religiose e non filosofiche che Moreno raccomanda di rimettere l'uomo al posto dell'oggetto. L'esistenzialismo di Moreno non è quello di Sartre per cui l'inferno sono gli altri, ma quello di Buber per cui l'Altro è Dio.

Certo, negli anni successivi alla morte di Moreno i bambini, prima in America e poi in Europa, avrebbero giocato sempre più con pupazzi e robot anaffettivi e insensibili man mano che sarebbe aumentare la possibilità di distruzione definitiva del pianeta. Cosi il teatrino elettronico dei video games, assai diverso da quelli della Klein e di Moreno, ha portato alle estreme conseguenze il processo di desensibilizzazione oltre che “l’attacco ai principi della democrazia". In questi giochi-robot che nessun Io ausiliario potrebbe doppiare, l’attenzione non è più rivolta al rapporto con l'oggetto ma alla bravura del bambino a combattere l'oggetto. Solo la lotta per la distruzione è prevista nel teatrino dei robot. Mentre le vecchie bambole e i vecchi pupazzi difesi da Moreno consentono anche un uso distruttivo, il video game prevede solo questo.

Per giocare al fort-da basta un rocchetto di filo ed essere nipotini di Freud.

Per trasformare una stanza in un teatro occorre l'entusiasmo del piccolo Wilhelm Meister che, trascinato dall’impresa dell'allestimento scenico, si ricorda solo quando il pubblico è arrivato e i lumi sono accesi, delle parti da rappresentare con le marionette di Tancredi e Clorinda. Ma per distruggere le astronavi nemiche a cristalli liquidi basta premere un bottone di plastica al momento giusto.

Anche tenendo presenti le regie della Klein, qui siamo di fronte a una novità. Se è sintomatico o crudele strappare gli occhi a un pelouche, far saltare in aria il robot nemico è semplicemente canonico. Si fa perché è canonico farlo e a differenza delle vecchie pistole ad aria compressa tanto discusse negli anni Cinquanta, i nuovi giocattoli robot non sono strumenti di guerra ma compagni della guerra. Se doppiati da un Io ausiliario non si lamenterebbero affatto.

Così, in definitiva, l'ammonimento di Moreno a sostituire bambole e pupazzi con attori in carne ed ossa nel suo candore è davvero disarmante. A furia di 'conservare' il mondo, i bambini cresciuti senza inversione di ruoli rischiano di perderle per sempre.

 

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