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Metti una vita in scena di Giuliano Capecelatro

Articolo pubblicato sul Paginone de "Il Quotidiano" - venerdì 21 dicembre 1979

 

Cosa è e a cosa serve lo psicodramma

Metti una vita in scena

Cos’è? Una rappresentazione. Dunque, teatro? Si e no. Non è certo teatro se ci si riferisce al senso che segna le origini del teatro, quella dell’ “osservare”: questo, appunto, significa il verbo greco theaomai, radice del nostro teatro. Ed a questa funzione si collega il concetto di ”catarsi”, che ritroviamo nell’Estetica di Aristotele osservando quel che accade sulle scene, lo spettatore raggiungerebbe una sorta di purificazione dalle passioni che lo assediano.

Eppure lo psicodramma ha una stretta, innegabile parentela con il teatro, con le sue tecniche, con i suoi misteri. Innanzitutto sul piano della struttura: uno psicodramma è una messa in scena, un’azione drammatica, il cui tema e svolgimento vengono improvvisati sul momento; e questo ricorda molto da vicino la Commedia dell’Arte. In secondo luogo, proprio per le sue origini. Moreno, psichiatra, amava il teatro, in questo campo operava con passione e fantasia innovatrice. Dal suo Living newspaper, giornale vivente in cui gli attori sceneggiavano le notizie del giorno, e principalmente dallo stegreiftheater, teatro improvvisato, sarebbe poi nato, sia pure casualmente (ma quanto? E quante scoperte dell’uomo sono tenute al battesimo dal caso?) lo psicodramma.

Ma cosa avviene con lo psicodramma? Una persona, l’analizzando, che ha difficoltà di ordine psichico, nel corso della seduta viene invitata dallo psicodrammatista a mettere in scena, reinterpretandola, una situazione difficile della sua vita quotidiana: tecnicamente, questa è la “messa in situazione”. Il canovaccio verrà via via precisato nel corso dell’azione, e la scena sarà allargata e trasformata con una serie di nuovi elementi, discostandosi anche, secondo il tracciato che sarà suggerito all’inconscio, dalla situazione reale che ha fornito lo spunto.

E’ a questo punto che ritorna il concetto di “catarsi”, che anche qui si vede assegnato un ruolo centrale. Ma il meccanismo viene rovesciato. Non è più lo spettatore, come voleva Aristotele, ma l’attore ad essere investito dal processo. Può addirittura avvenire che il protagonista scoppi a piangere, veda alterare la propria voce e perfino, nel corso delle sedute, la propria fisionomia. Quello che è certo è che, per questa via, ottiene una presa di coscienza, giungendo alle radici delle difficoltà che quotidianamente lo affliggono.

Dunque, non lo spettacolo, ma la terapia e la comunicazione, al pubblico che nella versione classica inventata da Moreno è comunque presente, sono le funzioni cardine dello psicodramma. Altro concetto fondamentale dello psicodramma, infatti, è quello di tèlè, una corrente di profonda, intima simpatia che viene ad instaurarsi tra i membri del gruppo; anticipazione dell’empatia teorizzata da Carl Rogers.

Alla base di questo processo c’è la “teoria dei ruoli”, che Moreno considera indispensabile per conoscere la personalità e le relazioni individuali. Un individuo può interpretare, più o meno coscientemente, ruoli diversi, alcuni impostili dalla società, altri nati come reazione e risposta ai ruoli interpretati dagli altri. Si crea un meccanismo, un’automaticità con cui questi ruoli, appresi in una determinata situazione, vengono interiorizzati e ripetuti. Ed è a questo punto che Moreno introduce la nozione di ‘spontaneità ‘, che dovrebbe essere il risultato dell’effetto liberatorio della ‘catarsi’, e che aprirebbe le porte alla creatività dell’individuo. Essenziale è il concetto di ”qui e ora”, che indica la facoltà dell’individuo di esprimere le proprie sensazioni allo stato nascente li dove si trova, nello stesso istante e nello stesso momento in cui le prova.

Dal tronco dello psicodramma classico moreniano si sono sviluppati, in prosieguo di tempo, diversi rami, cioè forme diverse di intervento psicoterapeutico. Uno dei più interessanti è lo psicodramma psicoanalitico, sorto in Europa negli anni ‘40 come tecnica di analisi dell’infanzia. Questo, che può essere individuale o di gruppo, differisce per diversi aspetti, tecnici non meno che teorici, dalla formulazione di Moreno. Soprattutto laddove obietta che lo psicodramma classico lascia immutata la struttura profonda del partecipante. Questa forma mira a fare esprimere teatralmente con tutto il corpo, e non solo con la narrazione, le situazioni conflittuali. Si batte la strada di un’espressione più ricca ed efficace dell’inconscio; si fa perno non sulla realtà, ma sull’immaginario del paziente; infine, è esclusa la presenza di pubblico e la funzione di commento corale che Moreno proponeva al gruppo al termine delle scene rappresentate.

Se questo è, forse, lo sviluppo più interessante, vanno anche ricordate altre forme: innanzitutto, lo psicodramma triadico, elaborato dalla Schutzenberger attraverso la combinazione dello psicodramma, la dinamica di gruppo e la psicoanalisi di gruppo; il socio dramma, in cui il soggetto è il gruppo; l’etno dramma che verte sui conflitti etnici; la psicomusica, la psicodanza, l’ipnodramma.

Qualche parola a parte meritano il gioco di ruolo (roleplaying) e la tetroterapia. Il primo, guardato sempre con un certo sospetto, si propone finalità didattiche, di rieducazione, di adattamento alla realtà; le finalità formative, di apprendimento e di perfezionamento delle relazioni umane prevalgono su ogni altra. Il secondo ha origini illustri e suggestive; risale, infatti, alle esperienze filodrammatiche che il marchese Desade organizzava nel manicomio criminale di Charenton, agli inizi del secolo XIX. Qui il paziente deve interpretare un particolare personaggio teatrale o anche assumere quelle funzioni (regista, scenografo) peculiari del teatro.

La graduale elaborazione dello spettacolo dovrebbe liberare la creatività e le capacità espressive dei partecipanti.

 

Il “Chi è” italiano

Nonostante molte applicazioni selvagge dello psicodramma, in Italia non è ancora possibile fare esperienze di psicodramma classico con uno psicodrammatista, qualifica, questa, che resta riservata agli allievi formatisi al Beacon Institute di Moreno.

Per lo più i gruppi italiani di analisti, che lavorano invece con lo psicodramma analitico, sono formati alla SEPT (Société d’Etudes du Psychodrame Thérapeutique) di Parigi, diretta da Gennie e Paul Lemoine. Tutti hanno parallelamente avuto una formazione psicoanalitica.

La sede italiana della SEPT fa capo all’ospedale psichiatrico di Pesaro dove da molti anni Giorgio Tonelli, Gianni Roseo e Giovanni Bagnaresi utilizzano questa tecnica per la terapia della psicosi oltre che in gruppi di pazienti non ospedalizzati.

A Roma lo psicodramma è stato introdotto da Elena B. Croce e Luisa Mele, attive tra l’altro presso la clinica neuropsichiatrica della città e presso il tribunale per i minorenni. Nella stessa città, Ottavio Rosati svolge attività clinica e di ricerca teorica, curando per l’editore Ubaldini una serie di pubblicazioni sullo psicodramma.

A Milano Augusto Ermentini, Mirella Novelli, Donata Carbone ed Elisabeth Crespi Reghizzi svolgono attività psicodrammatica anche con bambini. Altri gruppi sono tenuti a Torino da Giulio Gasca, Santuzza Papa e Giancarlo Durelli, a Cagliari, presso l’ospedale psichiatrico, da Pasquale Barone. In puglia a Bari e Lecce, operano da anni Renzo Catalano, Marisa Davy e Donata Micati Zecca.

A questa prima generazione di psicodrammatisti si vengono affiancando nuovi operatori che svolgono attualmente il loro training in gruppi di formazione che si tengono a Roma, Torino e Pesaro.

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