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SCUSIAMO, DA SIGNORI, IL POVERO CRITICO di Ottavio Rosati

Premessa al fascicolo di "Atti dello psicodramma"
QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO - Pirandello, Moreno e lo psicodramma

 

È difficile trovare una categoria per definire quel che si scatenò al Flaiano di Roma quella sera del 1983 in cui, con Luigi Squarzina, Fernanda Pivano e Renato Nicolini, chiamai Zerka Moreno a Roma per portare, per la prima volta, lo psicodramma in teatro. La serata friggeva di Spontaneità e partecipò dei caratteri dello psicodramma, del filodramma, del monodramma, del mnemo dramma, e del melodramma, grazie alla continua citazione del Trovatore e de La forza del destino che Pirandello fa nella novella Leonora, Addio!. Più che uno spettacolo fu un evento. Le mascherine del Flaiano, mobilitate in soprannumero per ricacciare indietro un pubblico straripante ed eccitato che non trovava posto in teatro, dichiararono che mai prima di allora avevano dovuto tener testa a un numero così alto di spettatori determinati a entrare a ogni costo. Facevo il personaggio che Pirandello ha chiamato Hinkfuss. Entrai in platea con un salto e mi ruppi il piede. Adriano Magli bisbigliò: 'Tranquillo. Lo sai che Hinkfuss vuol dire zoppo?'.
I critici ne scrissero tutti bene. Solo Tommaso Chiaretti uscì dal teatro a metà dello psicodramma e nella sua recensione su La Repubblica (intitolata "Scusate signori il povero critico") elogiò Zerka Moreno con parole di stima e rispetto ma parlò male della mia regia denunciando momenti di banalità e di goliardia. Era la mia prima stroncatura ed usciva su un giornale importante. Decisi che non dovevo prenderla male altrimenti mi avrebbe fregato per tutta la vita. Perciò lessi e rilessi l'articolo fino a impararlo a memoria. Ne apprezzai due o tre frasi ben scritte anche perché Chiaretti era nevrotico ma colto e intelligente e ammetteva di avere problemi con l'inconscio, la terapia e la psicoanalisi. Misi la fotocopia tra una bottiglia di Berlucchi e un piccolo Buddha. Insomma la usai come farmaco omeopatico e gli risposi scrivendo "Scusiamo, da signori, il povero critico". Perché, come dice Totò: 'Signori si nasce'. Critici si diventa e nessun bambino dirà mai che da grande vuole fare il critico. Io volevo fare il pompiere e il cinema.

Ed ecco parte della recensione di Chiaretti.

Quel che ho da dire, come critico teatrale, è innanzi tutto il chiedere scusa: me ne sono andato a metà dello psicodramma classico. Perché a me, critico teatrale, dava un fastidio quasi fisico che a recitare (ho detto proprio “recitare” “mimare” “improvvisare”) il sogno che costituiva lo psicodramma classico, fossero, “scelti a caso” come dall’illusionista che si presenta in pubblico, tre “attori” della scuola di Leo Berardinis. Infastidiva, certo, chi già li aveva riconosciuti, e lo sapeva, che per gli altri il “gioco” valeva perfettamente la candela. Ma questo gioco, aveva una qualche attinenza con il teatro? Se voglio essere generoso dico di no; per fortuna, sono due cose diversissime, come sbagliare? E però non mi riguarda. Se voglio essere malizioso dico che sì, per disgrazia: e nemmeno allora la cosa mi riguarda.

Ottavio Rosati ha “giocato” molto, con nonchalance, sull’alternanza del significato di "jouer" come recitare. La trovata non è nuova ma era recata con grazia ostentata. E l’animatore della serata, girandoci attorno con bacchette magiche e con fazzoletti colorati, cioè con un persistente senso dell’ironia, ha inizialmente tolto al tema psicodrammatico il suo sussiego. Ha fatto recitar attori e attrici come se fossero evocati fantasmi da palcoscenico pirandelliano, ed ha accumulato frasi e proposizioni icastiche, e anche un sogno per tentare un inizio (forse un po’ tardi, forse proprio non proponibile) di analisi lacaniana dl teatro, e della ideologia teatrale di Pirandello. Che cosa ne è venuto fuori? Che gli attori hanno recitato il loro Pirandello, e che l’altro Pirandello, quello ostile, quello causidico, quello filosofico, quello loico, è stato ancora una volta costretto (diciamo pure per la ristrettezza del tempo) a un chiacchiericcio che non riusciva ad andare al di là della scorza del significato esplicito. Tutti gli interrogativi, insomma, erano presenti, ma come segni di  interpunzione, in una lezione accademica abbastanza analitica, inutile. O semplicemente non utile. Il gioco tra la platea preparata e l’animatore, che s’era assunto il nome trasparentemente pirandelliano di dr. Hinkfuss, poteva anche accettarsi, ma a patto di correr via dopo l’applauso [...]
La signora Zerka Moreno, invece, meriterebbe un altro discorso, e mi auguro che altri lo facciano. Donna energica, segnata da un nobile e fisico dolore, intelligente ed esperta, ha condotto quello che dicevamo, il gioco dello psicodramma. Ma noi non dovevamo “giocare”, dovevamo star seri, lei era assai compunta. E io non riuscivo a star serio nel guardare le goffaggini di quelli scritturati esibizionisti, né mi hanno divertito, mi han procurato ansia. E so benissimo l’obiezione: che la colpa è tutta mia, che io stesso ho dei problemi con lo psicodramma e con l’analisi, che guardare come recitano è l’operazione più insulsa del mondo, che si trattava solo di apprendere didascalicamente le regole di una terapia suggestiva, che Pirandello non c’entrava più, che quelle luci non erano fatte ad arte, o se lo erano evidentemente fatte, il particolare è futile. So tutto, so qualcosa. E se non fossi qui a scriverne, nemmeno me ne preoccuperei. Purtroppo il mio residuo mestiere è quello di critico drammatico. E non tenterò di essere psicodrammatico, psicodrammaturgo, psicodrammatista: tutte le autorevoli qualificate persone che meritano altrove, molta attenzione e deferenza. 

Che altro dire in risposta, a parte il fatto che le luci erano improvvisate, gli attori non erano stati chiamati e che non li avevo mai visti?
Al termine della recita a soggetto che chiude il dramma di Pirandello, Hinkfuss torna sul palcoscenico a congratularsi con l’attrice che ha interpretato in modo superbo il monologo finale di Mommina restando tramortita dall’identificazione col personaggio che muore in scena inscenando il Trovatore di Verdi per le sue bambine. Hinkfuss era rimasto nascosto in teatro tra gli elettricisti a governare tutti gli effetti di luce e ha contribuito, da regista, al successo della recita a soggetto. In questa finale uscita di Hinkfuss, che è anche un bel coup de théatre, la teoria pirandelliana sul conflitto tra Vita e Forma, enunciata nella sua perforazione iniziale al pubblico, trova conferma e soluzione. Nessun altro capolavoro, nemmeno la Tempesta di Shakespeare, poteva prestarsi, a cominciare dal suo stesso titolo a essere inscenato con libertà e spontaneità al Flaiano. Come attore, recitai solo le battute in cui Pirandello enuncia per bocca di Hinkfuss la sua idea di teatro, non i battibecchi tra Hinkfuss e gli spettatori (cioè tra Hinkfuss e gli attori che nel dramma di Pirandello devono interpretare il ruolo di spettatori insofferenti della recita a soggetto, seduti in platea tra il vero pubblico). Contai sul fatto che il ruolo dello spettatore inquieto e scontroso sarebbe stato assunto spontaneamente da qualche spettatore del Flaviano. Così infatti accadde e la realtà superò le aspettative. Si verificò una sorta di inversione di ruolo e di doppio scambio. Per esempio le battute che Pirandello mette in bocca al Signore delle poltrone, da noi fedelmente recitate, vennero prese da alcuni colleghi psicoanalisti e psicodrammatisti come indice di autentica insofferenza per esperimenti del genere. Persino Luigi Squarzina li prese per attori che recitavano il testo di Pirandello.


Zerka Moreno al Flaiano tra le marionette di Maria Signorelli, nella foto che avrebbe scelto per la copertina della sua autobiografia.

 

Dominarono sempre Spontaneità ed improvvisazione anche se nei tre giorni in onore del gemellaggio Luigi Pirandello-Jacob Levi Moreno che ebbero luogo al teatro Flaiano di Roma nel marzo del 1983 ci fu anche spazio per una giornata di studio di taglio accademico. Fernanda Pivano, come americanista, e Alessandro Fersen consegnarono a Zerka Moreno, da parte della città di Roma, una targa celebrativa, sottolineando l'influenza che lo psicodramma, nato in Europa e sviluppatosi in America, va esercitando da anni in Italia nel vasto settore di ricerca e lavoro che spazia dalla psicoanalisi di gruppo, all'intervento nelle istituzioni, alle scuole di arte drammatica. La Pivano però rimase fedele al suo stile e ai suoi ragazzi poeti e musicisti: organizzò una festa chic ma pure beat e mise sottosopra non solo le nostre case ma tutta la kasbah, come lei chiamava il palazzo di via lungara a Trastevere.
Ma torniamo al Flaiano. Il mio Hinkfuss, che si presentava come regista della serata, si riprometteva di inscenare il dramma di Pirandello come l’Hinkfuss descritto nel dramma si ripromette di inscenare la novella di Pirandello: a soggetto. È evidente la rifrazione tra il livello base e il metalivello. Pirandello l’ha ottenuta usando come canovaccio una novella sua anziché di un altro autore. Le battute del regista e dei suoi attori costituiscono una specie di filo rosso che lega notizie sul rapporto tra Pirandello e Moreno e citazioni come quella dell’apologo dei pupi ne Il berretto a sonagli accostabili alle teorie del padre dello psicodramma.

Maria Signorelli, signora di marionette e burattini, disse la battuta di Ciampa sui pupi e lo spirito divino; Domenico de Masi, da sociologo, ricordò le lezioni di Jacob Moreno alle quali aveva assistito negli anni in cui viveva a Parigi in casa di Sartre  e costruì in tempi record un piccolo ponte tra psicodramma e sociometria. Lo chiamò Note su altri usi di Moreno; Fernanda Pivano ripropose una pagina di un’intervista per Il Corriere della Sera in cui Zerka Moreno le narrava la storia dei rapporti tra Moreno e la cultura italiana. Ricordammo così come la notizia di un teatro basato sul l’improvvisazione da parte degli spettatori, arrivò a Pirandello attraverso lo psicologo Banissoni incontrato a Mittendolf durante la prima guerra mondiale e attraverso la “rete” Bergners-Duse-D’Annunzio.

Fernanda Pivano non è un tipo di pensiero astratto ma è stata la prima a darmi retta: considerandolo all’interno della trilogia del Teatro nel Teatro di Pirandello, Questa sera si recita a soggetto è il dramma dedicato al difficile rapporto tra attore e regista, interprete e autore. Sei personaggi in cerca d’autore (1921) parla dell’autonomia del personaggio rispetto all’autore e alla lotta tra personaggio e attore e Ciascuno a suo modo (1924) gioca (con vertiginosa intelligenza) sulla tensione tra spettatore e personaggio, modello della vita e doppio teatrale. La Pivano è stata testimonial, attrice, complice della serata al teatro Flaiano. Il primo psicodramma fatto in un teatro italiano deve molto a lei. A un certo punto mi serviva una diva degli anni Trenta. E Nanda ha tirato fuori Elsa de Giorgi da Roma come io da piccolo tiravo fuori un papavero dal suo pallino verde. 
Ma come inscenare con la massima, vera spontaneità la rivolta degli attori al totalitarismo registico reinhardtiano di Hinkfuss che, con logica contraddittoria vorrebbe imporre loro la sua idea di spontaneità? Più che inscenare un’ennesima replica del dramma di Pirandello, come prodotto concluso e risolto e ormai accettato dal pubblico, volevo giocare il clima di una situazione ambigua e smarginata come quella che nel dramma è evocata tra palco e platea. Nel trattamento che andava così costituendosi incastrai il sogno di un paziente che dopo una lunga analisi aveva fatto dello psicodramma alla scuola di Fontaine a Louvain. Nel sogno il protagonista si trovava in un teatro dove si giocava – per usare la sua stessa parola- Pirandello. Il protocollo del sogno, che andrebbe chiamato, con Salomon Resnik, un onirodramma, costituiva un interessante documento. Aveva un'acuta percezione inconscia di alcuni assunti pirandelliana e decidemmo di inscenarlo. Riconoscere dignità drammaturgica a questo sogno/onirodramma, lo riportava alla duplice fonte della sua ispirazione: il teatro e lo psicodramma. Valeva la pena di farlo, se non altro per far vivere un esperienza unica nel suo genere al suo autore. Il sognatore infatti si sarebbe trovato in platea al Flaiano senza sapere di aver assunto, dormendo, il ruolo di drammaturgo. Per lui fu una sorpresa.
Ci furono anche momenti di animazione. Non solo per l’intervento de “L’opera dei burattini” nel foyer durante l’intervallo ma anche perché gli psicologi, quali tecnici della spontaneità, cercarono di dare Anima al pubblico scuotendo l’abituale posizione dello spettatore. Effettivamente momenti di irritazione, entusiasmo e curiosità si combinarono a sacche autistiche di sgomento e freddezza. 

Molte cose accaddero dietro le quinte e sopra le righe. Per esempio come interprete di Hinkfuss, avendo saputo saputo da Adriano Magli che l’etimo tedesco del nome del personaggio significa piede zoppo, mi fratturai realmente un piede entrando in scena di corsa. Ma non me ne resi conto come capita ai soldati in trincea, fino al termine della battaglia. Questo piede, zoppicante come quello di Edipo, compare anche nel protocollo della prima sessione di psicodramma inscenato da Moreno nel 1911 col dramma le gesta di Zarathustra. Nel testol’attore saluta il drammaturgo chiamandolo “mio angelo zoppicante”.
La volontà di strutturare formalmente la spontaneità degli attori nella recita a soggetto diretta da Hinkfuss finì per interferire nei rapporti tra gli psicologi che avevano collaborato alla realizzazione del progetto. Come interprete del dottor Hinkfuss, pur mirando a un intervento denso di spontaneità anzi teso alla celebrazione della spontaneità, iniziai a comportarmi da regista intollerante. Pretesi una collaborazione sempre più devota con un atteggiamento direttivo. Questa nevrosi teatrale culmina in un piccolo episodio relativo alla percezione dello schema corporeo di un euro ausiliario-attrice. Quando la psicologa interprete del ruolo di Totina osò cambiare pettinatura a suo modo, dandovi una sua Forma, non la riconobbi anzi non la non vidi proprio. Non esisteva. Non la nominai nemmeno. 
La sovrapposizione di ruoli portò ad alcuni problemi. Il pomeriggio della prova, il tecnico delle luci (in forza al Teatro Argentina) si sentì provocato dall’invadenza della segretaria di redazione di questa rivista, che si era in consciamente assunta il ruolo psicosomatico della “Signora Ignazia”. L’elettricista sbottò in una scenata e si ritirò, armi e bagagli, in uno sgabuzzino del teatro, un po’ come Mommina descritta da Giovanni Macchia. Ci lasciò tutti nello sgomento. Il telefono del teatro era isolato e del resto al Teatro Argentina, sede del Teatro di Roma che ci ospitava, tutte le maestranze erano impegnate ad allestire uno spettacolo. Che fare? A cosa dare importanza in un evento teatrale ma psicodrammatico? Alla Vita o alla Forma? Scegliemmo la via della dinamica di gruppo. Poi tornammo alla messa in scena. Lui tornò quando misi mano alle luci rischiando il corto circuito.
Un problema fu quello dei tre giovani attori che nella seconda parte della serata vollero salire sul palco del Flaiano per fare lo psicodramma diretto da ZerKa Moreno. Il primo di loro, che disse di chiamarsi Argento e di frequentare una scuola di teatro, non piacque al pubblico, forse per aver escluso gli altri spettatori proponendosi immediatamente alla Moreno. Il ragazzo poi chiamò a raggiungerlo dalla sala un’amica (“Dolce Giulietta vuoi raggiungere il tuo Romeo?“) e un amico nel ruolo di un uccellone di un sogno. Il pubblico pensò che quel ragazzo smilzo vestito come un ballerino alle prove, fosse entrato in teatro per mettersi in mostra a tutti i costi. Zerka Moreno andò avanti con lui senza problemi. Anche per questo il protagonista dello psicodramma fu libero di chiamare come ausiliari i sui amici personaggi del sogno che voleva inscenare.
Lo scopo della Moreno era di occuparsi dello psicodramma di quello spettatore volontario, non di assecondare le simpatie o le antipatie della platea. Probabilmente proprio per questo la sua conduzione fu apprezzata ed ebbe successo. A chi, il giorno seguente, le faceva notare che all’inizio quel ragazzo era parso narcisista, la Moreno rispondeva con un sorriso che un tot di narcisismo costituisce uno dei motivi per cui si sceglie di fare lo psicodramma. Io aggiunsi che il narcisismo peggiore è quello di chi si chiude in se stesso e non si mette in discussione: salire su un palco è rischioso perché tiene conto. del pubblico. Infatti Argento passò dall’atteggiamento iniziale esibizionista a quello di un iniziale sgomento e poi di concentrazione man mano che il gioco diretto dalla Moreno lo fece entrare in contatto col suo inconscio e i suoi sogni.
Fatto sta che la presenza dei tre giovani attori sulla scena suscitò in molti spettatori la convinzione erronea che lo psicodramma fosse stato concertato e che io avessi chiamato i ragazzi. Il primo ad esprimere questa convenzione su La Republica fu Chiaretti che nella sua recensione parlò di “esibizionisti scritturati“. Mi accorsi che la convinzione del critico era condivisa segretamente persino dai collaboratori della serata al Flaiano. La prima conferma, dolce ma netta, fu quella di Maria Signorelli che me la scrisse in margine a un biglietto di invito a cena pochi giorni dopo. Altre arrivarono nel corso dei giorni, settimane e mesi; implacabilmente in contesti località assai lontani dal Flaiano. Adriano Magni lo fece durante una scalata estiva sull’appennino tosco-emiliano. Mario Prosperi entrando nella limonaia di Villa Torlonia per tenere una lezione allo studio Fersen. Quasi tutti fecero la loro confessione in tono sommesso o distratto. Diedero la cosa come scontata e non grave. Volevano assolvermi da un inevitabile peccato/imbroglio che in realtà non avevo fatto. Fu così che mi rassegnai quasi a non protestare più la verità dei fatti. L’abbaglio di Tommaso Chiaretti non costituiva più l’eccezione, ma la regola. Passai dalla sorpresa iniziale a una triste. irritazione. Poi lo sconforto sfociò in curiosità. Mi resi conto che l’equivoco poneva un problema da affrontare con spirito clinico. Alla fine compresi che lo stile atipico della serata aveva causato un equivoco: il rapporto stabilito dal pubblico con lo psicodramma era saltato perché eravamo in un teatro, il tempio della finzione. La gente pensava che lo psicodramma era stato falso ma che la psicodrammatista Zerka Moreno era stata vera. Il pubblico restò perplesso di fronte a un evento teatrale atipico rispetto alle convenzioni per il ribaltamento di prospettiva che una recita a soggetto porta nell’abituale rapporto palcoscenico/platea.
Zerka fu dunque giudicata magistrale, socratica, umana, professionale e in stato di grazia; il mio evento psicodrammatico invece falso in quanto tale, dunque una normale pièce teatrale, che contrabbandavo per il suo opposto. Uno splitting.
Il dottor Hinkfuss garantiva la persistenza dei ruoli a teatro e fuori, fossero pure ruoli falsi o precariamente gestiti. Per comprendere l’equivoco tra attore e da uomo all’interno dello psicodramma pensiamo all’effetto suggestivo, ipnotico scatenato dall’evocazione di Questa sera si recita a soggetto che aveva preceduto l’intervento di Zerka Moreno. Il fascino e il limite del testo di Pirandello è che mette in scena una spontaneità, una recita a soggetto finte. L’attrice che, a soggetto, dà vita al un ruolo di Mommina (nel nostro caso Rosa di Lucia) in realtà non lavora a soggetto perché questa attrice è a sua volta un personaggio. Ricorrendo alla grammatica trasformazionale di Chomsky potremmo schematizzare così i rapporti attore/personaggio del dramma di Pirandello:

Struttura superficiale

Prima attrice - (recita a soggetto) – Mommina - (recita a soggetto) - Leonora

Struttura profonda

Rosa di Lucia - (recita professionale) - Prima attrice - (recita a soggetto) – Mommina - (recita a soggetto) – Leonora.

Una parte del pubblico del Flaiano, secondo me, ha avuto in mente questa mappa che consentiva di non perdersi nel gioco di Pirandello, trasferendola dalla prima alla seconda parte della serata. Senza capire che nello psicodramma lo spettatore sale sul palco per diventare finalmente non personaggio scritto da un autore ma l’attore di sè stesso. Anche se è un attore. Il pubblico prudente e spaventato invidiava l’esibizionismo coraggioso del giovane attore Argento, in cerca di sguardi altrui, ma pure di insight. Come nel dramma di Pirandello, è sembrato a molti spettatori che anche il protagonista dello psicodramma inscenasse una falsa recita a soggetto. In questo numero di Atti dello psicodramma vedremo come e perché.


La nostra rivista affianca ai documenti dell’esperienza del Flaiano altri contributi su Pirandello e sullo psicodramma redatti nei mesi successivi al convegno. Origini del dramma terapeutico (il primo testo di J. L. Moreno che appare sulla nostra rivista) mostra sorprendenti analogie formali e di contenuto con Questa sera si recita a soggetto che sarebbe stato scritto da Pirandello diciannove anni dopo. Si tratta del protocollo del primo sociodramma tenuto da Moreno ventiduenne. Nel corso di un evento teatrale tenuto a Kinderbuhene (teatro dei bambini) di Vienna nel 1912 il giovane poeta-filosofo-teatrante invito uno spettatore a partecipare alle Azioni di Zarathustra e l’evento passò dalla scena alla sala. Nel suggestivo e acerbo pastiche di copione teatrale e protocollo psicodrammatico si alternano ambizioni ideologiche e ingenuità espressive, premonitrici di quel Teatro della Spontaneità che sarebbe nato dieci anni dopo.
Il testo, tratto dal primo volume del manuale di Moreno Psicodramma, 1946 venne pubblicato originalmente come pamphlet nel 1919 sulla rivista Daimon (cui collaboravano Martin Bufer, Kafka, Francis James e persino Giovanni Pascoli) e riflette anche la poetica religiosa del giovane Moreno. Un anno dopo questa performance teatrale, il giovane Moreno, passato dagli studi di filosofia a quelli di medicina, avrebbe incontrato Freud. A termine del corso tenuto da Freud sui sogni telepatici, Moreno fece al grande professore la dichiarazione programmatica delle sue diverse ambizioni di regia del sogno: “Lei analizza i sogni della gente. Io cerco di dar loro il coraggio di sognare ancora. Io insegno alla gente come impersonare Dio...”.
Questo numero contiene anche un’intervista sull’attore e lo psicanalista rilasciata a rate da Cesare Musatti a partire dal 1982. Il primo incontro con Musatti (più spontaneo che accademico) avvenne a bordo di un’automobile diretta alla massima velocità all’aeroporto di Fiumicino. Musatti aveva appena fatto una fulminea visita all’università di Roma, tenendo per iniziativa del prof. Ghidetti, alla facoltà di lettere, una conferenza su Pirandello e la psicoanalisi pubblicata sul numero di Atti dello psicodramma precedente a questo. Nella sua intervista, che sarebbe stata completata a Milano, Musatti rievoca la sua esperienza di psicodrammatista fatta con Franco Fornari e contribuisce con arguzia a gettare un ponte tra il mondo della scena teatrale è quello dell’altra scena.
Il testo di Mario Trevi su Pirandello e Jaspers infine svela un insospettato asse ideologico tra il filosofo di Heidelberg e l’autore dei Sei personaggi che costituisce, non solo la più limpida delle prefazioni a questo numero di Atti dello psicodramma, ma addirittura una sorta di manifesto involontario di quelle che erano sempre state le intenzioni della nostra rivista. Eravamo infatti partiti dall’idea di celebrare, con Pirandello, la filosofia del pluralismo degli approcci possibili alla verità psichica. Questo pluralismo non è una conclusione, ma una tensione. Lo si può individuare nell’eco variegata che il gioco libera nell’ascolto del gruppo e nell’eco variegata di varie discipline, esperienze e tecniche che confluiscono nel lavoro dello psicodrammatista. Contiamo così di aver rispettato - tra il sospetto e la diffidenza di sè stessi di cui parla Trevi - un approccio interdisciplinare grazie a un metodo di ricerca libero di essere divergente e convergente. 
Speriamo che in questo fascicolo le ragioni della Vita e quelle della Forma trovino il loro Tao, come accade alla fine nel teatro di Hinkfuss e nell'evento di Zerka Moreno.
Ciò che conta è il gioco. Perciò scusiamo, da signori, il povero critico.

 

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