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GIOCO DI SIGNIFICANTE IN PSICODRAMMA di Gennie Lemoine

Riassunto di una seduta


È una seduta simile a molte altre. Una giovane donna racconta che un giorno d'estate si trovava in vacanza con un'amica in una villa in riva al mare. L'amica le rimproverava sempre di « far vedere i seni ». Lei non capiva perché non avrebbe dovuto farli vedere.

È vero che era piuttosto grassoccia. Ma, in fondo, diceva, a chi mai poteva dare fastidio? Buona domanda. Lo vedremo.
Si tratta di un gruppo di secondo grado (1). La seduta è dunque diretta da una terapeuta in formazione che è membro del gruppo e che non ha lo statuto vero e proprio di terapeuta, anche se per l'occasione ne assume la funzione. Chiamiamola Agnès. Propone a quella che chiameremo Claire di recitare la scena e di scegliere, nel gruppo, l'amica di cui parla. Claire sceglie Diane, perché quest'ultima ha reagito con vivacità al racconto.
II gioco comincia. Claire dice di andare sulla spiaggia e che spera di trovarvi questo o quel ragazzo. Diane alza le spalle, già esasperata. Non ha nessuna voglia di andare sulla spiaggia per vedere ragazzi in compagnia di Claire.
Quest'ultima, eccitatissima, si contorce in tutti i sensi e chiede a Diane se il bikini le va bene.
« Ti si vedono tutti i seni » dice Diane.
Infatti Claire tira fuori il petto fino a far scoppiare il reggiseno. È chiaro che si offre così alla concupiscenza dell'amica, dei terapeuti, del gruppo e del mondo intero.
Agnès mostra di essere a disagio. Si tiene in disparte, lo sguardo fuggitivo.
Diane dichiara improvvisamente, esasperata;
« Senti, se continui ti lascio andare da sola ». E fra sé e sé, mormora: « Com'è possibile che non si accorga che non le va proprio, come fare a dirglielo? ».
Ma Claire ha bisogno della compagnia di Diane per andare a fare il suo gioco di spiaggia. E così la trascina con sé. Diane non osa rifiutare.

Le due serie

Dopo il gioco in psicodramma, com'è noto, vengono le associazioni del gruppo.
Questa volta sono unanimi. Si orientano tutte verso l'esibizionismo. Tutti sono eccitatissimi: scappa da ridere a molti, strizzatine d'occhi, gridolini, tra le donne come tra gli uomini. Ci si sarebbe aspettati una scena di strip tease. La si sperava sicuramente senza crederci, dato che la regola del gioco è praticamente sempre rispettata: non si passa all'atto. Tuttavia si è enormemente eccitati, mentre Agnès visibilmente si deprime.
Le associazioni di Claire e di Diane conducono a due serie divergenti, a partire da una stessa parola: seno. Qui si vede come un oggetto si riduce a se stesso, mentre il suo nome ha una molteplicità di sensi possibili.


Per riassumere le associazioni, mi limito alle due serie così schematizzate (che non sono ancora delle catene significanti ma solo associative).
Per prevenire ogni confusione, dirò che ogni parola può essere significante, ma non lo è necessariamente. Così la parola 'seno' diventa significante nell'una e nell'altra serie, quando diventa metafora di un'altra parola. Quando la parola seno si riferisce all'oggetto reale seno, senza gioco di sensi possibile — cioè in una proposizione come « lei fa vedere i seni » — a condizione di non interpretarla, la parola seno si riduce quasi all'oggetto. Ma è chiaro che l'oggetto sfugge sempre in quanto significato, ed è la parola significante che opera.

INSERIRE SCHEMA


verso Amiens. Quest'impossibile è quel che tuttavia avviene nel caso analizzato da M. Montrelay a proposito appunto della parola 'seno'. Ma appunto l'incastratura delle due catene si produce qui in uno stesso soggetto. Ci sono due catene, dice la Montrelay: una è 'seno-cugino-cugina', l'altra (non ricordo perfettamente) è 'seno-latte'. Le due catene nello stesso soggetto si incastrano, c'è il bloccaggio.
Nel nostro caso, evidentemente, non c'è bloccaggio. C'è incontro di due serie grazie alla parola 'seno' che è allora significante e non più significato, perché ha effetti di significanti, effetti che definirò un po' più avanti.
Se la parola seno scatenasse la stessa serie — per effetto di coincidenze strabilianti — nei due soggetti, ci potrebbe essere forse quel che Lacan chiama incontro di uno stesso significante (Sa), e follia. È un terzo caso.

Ecco schematicamente i tre casi:
1) Incontro di due serie in uno stesso Sa in  due  soggetti.
2) Incontro di due serie in uno stesso Sa in  un  solo  soggetto.
3) Incontro in due soggetti di una stessa serie su di uno stesso Sa. È l'incontro fatale.

La mia storia deve essere catalogata nel primo caso. Incontro di due soggetti, se così si può dire, o piuttosto di due serie su di una stessa parola con modificazione della strada abituale, storcimento della catena, rimessa in moto di una catena rimossa e cambiamento di direzione. Così Agnès non sapeva che era rimasta fissata, come suoi dirsi, ai seni materni. Quindi, si è verificato qualcosa nella scena che abbiamo riassunto. Si dice giustamente in questi casi che qualcosa si smuove.

È quel che succede anche nell'apologo di Lacan, detto dei due orinatoi,  che illustra appunto il  suo  algoritmo —,  significante  su significato. È noto che in linguistica questo algoritmo è raffigurato
                               Sole                                        
classicamente da ————, cioè dalla parola 'Sole' in posizione di significato.
                                ☼
Ma evidentemente è il sole come tale che dovrebbe trovarsi sotto la sbarra e perciò lo si dovrebbe spostare, come se niente fosse. Lasciamo dunque il sole là dov'è e ricorriamo a un disegno.

Lacan sostituisce al significante unico una coppia di significanti nel suo schema e situa sotto la sbarra due rettangoli identici che raffigurano due porte. Nulla li distingue.
 Uomini                                                     Donne
---------------------------------------------------------------------------------- 
    █                                                             █

II fatto che il significante sia accoppiato non è trascurabile, in quanto il carattere specifico del Sa è proprio la sua ambiguità. Ma torniamo alle due serie del mio esempio. Le riscriverò in questo modo, rovesciandole:

pene                                                                                                      buco
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 
seno                                                                                                      seno

Un significato può diventare significante. Per esempio il desiderio della madre è significante fino a quando viene spostato dalla metafora paterna: da questo momento è la parola del padre che diventa significante, e il desiderio della madre significante di questo nome del padre.
Dunque il seno è diventato il significato, identico a se stesso. È evidentemente l'oggetto: il seno di Claire. Mentre è metaforizzato da significanti opposti in Claire e in Agnès. Il processo metaforico e metonimico avviene attraverso significanti che si riducono, risalendo, se così si può dire, a pene e a buco.
Torniamo all'apologo lacaniano: un fratello e una sorella si trovano l'uno di fronte all'altra in uno scompartimento di un treno. Il treno arriva in stazione e si ferma sui binari da dove si vedono gli edifici della stazione, tra cui le porte degli orinatoi con i cartelli
« UOMINI »,  « DONNE ».
« Siamo a Donne » dice il ragazzo.
« Sciocco, dice la ragazza, non vedi che siamo a Uomini? ».
Nell'apologo, l'oggetto identico, in posizione di significato, è l'orinatoio, come lo è il seno nel mio esempio. Nell'apologo lacaniano, uno legge Donne e l'altra Uomini. Inoltre entrambi commettono errore sull'oggetto perché credono di leggere sugli orinatoi il nome della città dove si è fermato il treno. Dato che si tratta di un ragazzo e di una ragazza, di fratello e sorella, si vede bene come il loro sesso e persino la loro sessuazione siano implicati nella faccenda, perché la sessuazione è proprio questo, è « l'attribuzione soggettiva del sesso ».
Che cosa leggiamo sopra alla parola seno nel nostro esempio, che cosa leggono Agnès e Claire? Agnès legge « buco vaginale » e Claire « pene eretto ». L'incontro su di un oggetto unico si fonda dunque su di un malinteso: non c'è oggetto unico. Ci sono solo i fantasmi, che sono i significanti congelati. Così potremmo scrivere qui al di sopra di 'buco': medusa, e al di sopra di 'pene': fallo. Per me queste parole forniscono la chiave delle catene significanti dell'una e dell'altra; è la mia interpretazione. Posso modificare le catene. Ma la nostra tecnica di psicodramma non prevede che si dia l'inter-pretazione nell'osservazione che conclude la seduta.
Inoltre io non partecipavo a questa seduta, nella parte qui studiata. Si è verificato che Agnès ha fatto irruzione nel gioco, mentre era soltanto terapeuta. Non ha potuto assumere la sua funzione; data la sua partecipazione intensa al gioco, è ridiventata


membro del gruppo. È stata troppo interessata. In altri termini, è entrata nel circuito libidinale del gruppo. È diventata persino, al posto di Diane (e abbiamo visto perché), la vera partner di Claire, suo malgrado. L'osservatore deve rilevare quel che succede qui nel gioco; quel che succede: in questo caso, il fatto che Agnès ha soffiato la parte a Diane, in occasione, anche qui, di un incontro: il seno per l'una, e per l'altra il seno materno. Sono i punti nodali della seduta. Ma proseguiamo.
« Non sono riuscita a sopportare il gioco, dice Agnès. Avevo una paura terribile che si spogliasse sul serio. Non riuscivo a pensare ad altro. Non osavo intervenire, respirare. Era orrendo, ero paralizzata ».
Termini che sembreranno eccessivi, perché non c'era alcun pericolo che Claire si spogliasse. E anche se si fosse spogliata, dov'era il pericolo? Evidentemente era grande per Agnès.
Si vede perché ho messo la medusa in coppia con il fallo. Perché che cos'è quell'oggetto pericoloso, terrificante, orribile a vedersi e paralizzante, ma che non si può fare a meno di guardare — e dunque affascinante? Perché ovviamente Diane e Agnès erano complici di Claire: loro guardavano.
Lascio da parte Diane per non complicare il commento e perché « la cosa » è accaduta con Agnès. Del resto per l'una e per l'altra non si trattava affatto dello stesso seno materno. Uno è l'organo femminile pietrificante e l'altro l'organo fallico. Claire godeva nel far vedere, e Agnès godeva della paura di vedere, cioè di un desiderio troppo grande di vedere. In questo punto due desideri si sono incontrati e due soggetti hanno annodato un legame libidinale che è già un incontro sessuale. Pur essendo un falso incontro, fondato sulla svista (méprisé) (da qui la sorpresa), ciò non toglie che qualcosa sia accaduto: è una scena di esibizionismo, certo, ma anche di voyeurismo.
Da qui si vede che nello psicodramma l'altro, con a minuscola, (da non confondersi con l'oggetto piccolo a, che qui è lo sguardo), quel piccolo altro che è là realmente, risponde, anche se risponde con un piccolo errore. Come il bambino che viene al mondo, Agnès si è impadronita delle « marche di risposta » come se le fossero destinate, come se fossero risposte. Che lo voglia o meno, l'altro risponde, l'altro è al posto del piccolo a che risponde.
Il piccolo a, oggetto della pulsione, si confonde qua con l'altro reale, piccolo a nello psicodramma, mentre il terapeuta non può venire ad occupare questo posto di piccolo a: questo è chiaro in psicodramma.
Tutti sanno che nella seduta di analisi c'è un costante movimento di bilancia tra grande A e piccolo a dove l'analista è nel mezzo. Per finire egli sta in questo posto di piccolo a nel senso che così è buttato via.
Dunque questo è il posto dell'analista; ma nello psicodramma il terapeuta rimane al posto del grande A come oggetto di identificazione, anche se rifiuta questa destinazione, ciò per la semplice ragione di esistere.

 


La non-risposta in psicodramma

Per tornare al mio esempio, dal punto di vista del nostro lavoro didattico, è risultato che Agnès non poteva dichiararsi ancora terapeuta. Nello psicodramma i terapeuti infatti non rispondono più di quanto non facciano in analisi. Resta il fatto che nello psicodramma c'è sempre qualcuno del gruppo che risponde e che, anche senza essere terapeuta, permette comunque la circolazione del desiderio. Mentre in analisi, come è noto, la frustrazione, la non-risposta, ha per effetto che il soggetto si decompone fino a essere messo davanti al desiderio senza oggetto, al desiderio di desiderio.
In psicodramma B risponde ad A e A risponde a B, che lo vogliano o meno, come ho detto.
Notiamo di sfuggita che la non-risposta non significa silenzio assoluto, benché il silenzio sia il mezzo più sicuro per assicurare la non-risposta e la frustrazione. La non-risposta è la non-risposta ad una domanda precisa di godimento. Dunque nemmeno nello psicodramma i terapeuti « rispondono », nel senso gratificante da me precisato. Ciò non toglie che c'è sempre qualcuno che risponde e che di conseguenza l'analizzante — diciamo — non è più solo, come lo è sul divano — non so se occorre dire con l'analista — giacché in analisi il sentimento di derelizione, quando si verifica, è totale. Abbiamo constatato che, al contrario, in questa seduta Agnès come Claire, come tutti i membri del gruppo, godeva violentemente. Dirò persino che la cosa era indecente. Ditemi voi se è permesso di mettersi in uno stato simile per una parola: « seno »?

Analisi individuale e psicodramma

Dunque non è successo nulla, non si è visto nulla, nemmeno un seno eppure la seduta è parsa indecente. Per chi?
A questo punto arriviamo ai terapeuti. Questi certo possono sottolineare il malinteso sulla parola « seno » e lo scarto tra le due serie; possono disturbare la commutazione (embrayage) e frenare il godimento. Nel qual caso c'è frustrazione. Ma in tal caso, non accade niente e la seduta finisce subito.
Inoltre, il piccolo altro reale con cui c'è incontro effettivo nel gruppo non è il grande Altro, a cui i terapeuti danno supporto attraverso la loro funzione. La risposta di questo piccolo altro reale non può assicurare un tasso di soddisfazione equivalente alla risposta del supposto grande Altro. Se uno del gruppo risponde al posto del terapeuta non è la stessa cosa! C'è soddisfazione, ma non tanto grande. All'inverso se l'analista risponde è il grande Altro che risponde. Ma si sa che, preso per il grande Altro dell'analizzante, l'analista tuttavia non lo è. Ben lungi dall'esserlo, egli si fa in analisi oggetto (a) (che, ripeto, non bisogna confondere con il piccolo altro reale) per sventare appunto le astuzie del desiderio. Espone così l'analizzante all'emergenza del fantasma ($ ◊ a) contro cui il grande Altro appunto lo assicurava. Sino a quando c'è l'analizzante grande Altro, il fantasma non


può sorgere. Quando l'analizzante non è più grande Altro non c'è più assicurazione contro l'emergenza del fantasma. ($ ◊ a): è quello che gli analizzanti domandano anche se non lo sanno (3).
Che accade dunque nello psicodramma? I terapeuti restano in posizione di grande Altro. Si mettono indubbiamente al di fuori del gioco pulsionale (qui, pulsione scopica) che si svolge attualmente in tale o tal'altra scena. Ma quel che avviene, avviene sotto i loro occhi e avviene sotto lo sguardo (au regard de) della legge. Il gioco di cui ho parlato più sopra era indecente nei riguardi della legge. Nell'attualizzazione della pulsione, qui scopica, i terapeuti restano quindi in un posto-chiave; rappresentano la legge, ciò che si deve violare se si vuole godere. Dunque c'è godimento nella misura in cui i terapeuti sono presenti.
In questo caso, un caso di perversione, le terapeute, che lo vogliano o no, sono quindi complici. È vero che il perverso si arrangia anche in analisi per estorcere all'analista la sua complicità. Tuttavia il terapeuta analista non si trova, data la sua funzione, in posizione da assicurare il ruolo di grande Altro in cui lo mette l'analizzante. D'altronde, occorrerebbe ai terapeuti psicodrammatisti una virtuosità enorme per farsi l'oggetto (a) di ogni membro del gruppo. Perché ciascuno può trovare già nel vicino il suo piccolo (a). In una parola, nello psicodramma il grande Altro non diventa (a). Restano ciascuno al suo posto, e siccome questo movimento di altalena è certamente la molla dell'analisi, se non lo si trova nello psicodramma è evidente, allora, che non è la stessa tecnica. E in questa impossibilità che va ad urtare lo psicodramma. Infatti, essere al posto della legge non è essere al posto dell'analista. Ora, che il gioco sia perverso o meno, è questo il posto che è assegnato costitutivamente ai terapeuti nello psicodramma. Altrimenti fuori della legge c'è l'acting-out, violenza e perfino il delirio.
Così non possiamo dire (salvo nei casi di perversione) che i terapeuti rispondano alla domanda dei membri del gruppo. Ma resta il fatto che sono nella posizione di terapeuti che non troverebbero i mezzi per maneggiare il transfert e che resterebbero al posto del grande Altro. Così l'identificazione ai terapeuti resta il grande handicap dello psicodramma.
Questo limite comunque è proprio ciò che permette l'utilizzazione dello psicodramma negli ospedali; dove i partecipanti sono già nel delirio e dove l'acting-out è permanente. Si tratta di pazienti psicotici, che sono nella situazione di bambini che non riescono nemmeno a parlare, per i quali il nome del padre non fa legge, tranne nelle sequele andate a vuoto. L'accesso al registro del simbolico è dunque tappato per loro. Ricordo che ho caratterizzato l'analisi in gruppo in Jouer-Jouir (4) col fatto che essa risponde a situazioni di urgenza. Forse bisognerebbe arrivare al punto di dire che se l'analisi non è precisamente terapeutica, lo psicodramma, invece, lo è. In analisi la guarigione non si cerca; se avviene è come beneficio secondario.
Ecco dunque due tecniche analitiche opposte su più punti, anche se ambedue sono fondate sulla divisione del soggetto, sul non-rapporto sessuale (o parlato) e sull'uso della parola.
È meglio distinguerle nettamente anziché tentare di assimilare l'una all'altra. La prima, l'analisi, espone l'analizzante all'erosione dell'io fino a svincolare il suo desiderio, che è desiderio senza oggetto, com'è noto. La seconda mette il soggetto in condizioni di giocare il desiderio in un dato momento logico, quello della decisione. È un momento costitutivo del soggetto. Il contrario di un'analisi, dunque; rimando qui all'apologo dei tre prigionieri e al lavoro Jouer-Jouir.


Da una parte, l'analisi sospinge l'analizzante fino al vuoto del suo discorso dato che l'analista « non risponde », tra virgolette, e che non è possibile parlare da soli. D'altra parte, lo psicodramma lo mette in condizione di parlare, dato che l'altro risponde. Insomma, rimette lo psicotico nel mondo.
Se ne può concludere che lo psicodramma è terapeutico perché mette il significante in circolazione in un soggetto di struttura narcisistica nel quale il significante era bloccato per difetto di altro e dell'Altro. L'analisi è analisi perché sopprime il grande Altro come il piccolo altro, al fine di costringere il soggetto a sbattere contro il suo proprio difetto.
Approcci inversi, dunque, e indubbiamente complementari nella pratica usuale delle due tecniche.
Ma evidentemente la mia ripartizione tra psicodramma terapeutico e analisi individuale è del tutto problematica se pensiamo che nella suddetta terapia si tratta di far avvenire [advenir] un significante là dove manca per Verwerfung, cioè per preclusione [forclusion]. Come sarebbe possibile, senza un processo regressivo spinto fino all'ultimo estremo? Ed è possibile? Quando ciò capita, non è possibile in ogni caso render conto di come capiti.
Forse si dovrebbe parlare di raccomodamento o di riaggiustamento parziale, più che di terapia, nello psicodramma. Comunque si tratta di guarigione. Ed è direttamente perseguita, mentre essa in analisi è ottenuta solo a titolo di « beneficio secondario ». Si tratta dunque del desiderio del terapeuta.
Dicendo questo, non miro affatto ad avvantaggiare lo psicodramma né a precludergli il lavoro sulla nevrosi, e nemmeno a proibire quello sulla psicosi agli analisti, ovviamente. Miro soltanto a limitare il loro campo rispettivo, a partire dalla presenza o meno del piccolo altro. Questa presenza, direte voi, non gli difetta, nella sua vita di tutti i giorni. Certo! Ma il piccolo altro non si trova in questa vita in stato di domanda — come nello psicodramma. Mi riferisco qui, ancora una volta, a Jouer-Jouir e all'apologo dei tre prigionieri. Inoltre, nella vita di tutti i giorni, i terapeuti non sono là per far giocare le domande e per rimettere in scena il Fort-Da (e, come abbiamo detto sin dal nostro libro sullo psicodramma, il Fort-Da costituisce il fondo stesso della nostra tecnica). Ma, bene inteso, nessuna terapia può far sorgere il grande Altro, in occasione del piccolo altro, come luogo della legge, se il nome del padre è stato precluso [forclos]. E anche l'erigersi di questo padre nel reale « in opposizione simbolica » con il soggetto, al posto del desiderio della Madre, può scatenare, è noto, il delirio, come ha mostrato Lacan a proposito di Schreber. Tutto questo non ci rende il compito facile. Niente trapianto del Nome del Padre, dunque!
Non si trattava di psicotici nel mio esempio, è evidente. Il fatto è che un lavoro analitico è stato compiuto in questo psicodramma; lavoro analitico i cui meccanismi non sono, per la verità, analitici.


(Trad. di Sergio Benvenuto)

(1) I gruppi di secondo grado sono quelli in cui si svolge il training per diventare psicodrammatisti. Alla presenza degli analisti formatori, un gruppo di allievi svolge una seduta che è diretta ed osservata da due allievi a turno. In un secondo momento intervengono i due didatti che considerano la conduzione e l'osservazione degli allievi dal punto di vista tecnico e dell'implicazione personale (N.d.T.).
(2) Embrayeur, è termine tratto dalla linguistica di R. Jakobson (shifter).
(3) Qui l'Autrice utilizza alcuni fondamentali algoritmi della teoria lacaniana: « oggetto a » sta per « oggetto altro minuscolo »; « grande A » (o « A maiuscolo ») sta per « grande Altro »; « piccolo a » sta per « piccolo altro ». Per « piccolo altro » Lacan intende generalmente una qualsiasi presenza reale di un'altra persona (diversa cioè dal soggetto) in quanto assume un valore immaginario per il soggetto $. Per « oggetto a » intende per lo più l'oggetto esterno al soggetto non come obiettivo della pulsione ma essenzialmente come causa (e quindi fonte, o molla) della pulsione: questo perché in Lacan l'oggetto a che causa il desiderio non è mai lo stesso oggetto desiderato, c'è slittamento tra i due. Per « grande Altro » intende invece la presenza e la testimonianza simbolica: di volta in volta Grande Altro può essere la struttura del linguaggio, l'insieme dei significanti, la madre o il padre come desideranti, « il garante della verità ». Quanto alla formula lacaniana del fantasma ($ ◊ a), essa può esser letta così: il soggetto (equivalente ad un significante sbarrato) nel fantasma ha una relazione (poinçon O) di separazione e/o intersezione (cioè: di desiderio) con l'oggetto a, causa del desiderio stesso. (Il poinçon O è un'invenzione di Lacan, formato a partire dalla sovrapposizione di due costanti logiche, 'A' che indica la congiunzione «et», e 'V' che indica la disgiunzione «vel»). [N.d.T.] (4) Paul e Gennie Lemoine, Jouer-Jouir, Atti dello Psicodramma, anno V, Astrolabio, Roma, 1980.

The play of « signifier » in psychodrama
The A. describes the first part of a psychodramatic training session and comments on the difficulties encountered by a student in directing another's play. Recurring to Lacan's thought, the A. shows how, starting from the same word « breast », the two women's associations in the session developed into two diverging series of unconscious meanings. This is one of the three possible cases which can result when the words of a language are charged with the different meanings given to them by one or more subjects.
The A. believes that the circulation of desire in a psychodramatic group has an equivocai character. She illustrates her theory using some categories from Lacan's psychoanalytic thought.

SUMMARY
Le due serie sono delineate per sommi capi. Bastano a mostrare che, pur essendosi incontrate sulla parola seno che era loro comune, in quel che dicevano esplicitamente (parola che fu l'occasione del loro incontro effettivo nella scena), Claire e Diane divergevano radicalmente, nelle loro associazioni, come del resto nelle loro storie rispettive, sul filo dei ricordi riportati dalle associazioni.
Ecco quanto dice poi Agnès: « Non sono riuscita a dirigere la seduta. Ero paralizzata. Non ho sopportato la scena. Avevo una paura terribile che Claire rompesse il reggiseno, paura di vedere... Era terribile ». Effettivamente è tutta rossa e molto turbata. Ci chiederemo con Claire che cosa potesse turbarla tanto in un seno, foss'anche nudo.
L'ha turbata il fatto che quel seno era quello della madre, come per Diane, seno abbastanza grosso, e che si rifiutava di vedere quando la madre, con negligenza, circolava in vestaglia per la casa. È chiaro che Agnès non ha digerito i seni della madre, se mi si concede di dir così. Ho dimenticato i particolari ma, per quel che voglio dire qui, basta quel che ricordo. La parola 'seno' ha funzionato da commutatore (2) nella propria catena associativa. Ma si da il caso che questa catena sia molto diversa da quella di Claire, da dove la parola 'seno' è stata deviata. Questo modello di incontro e distorsione si ritrova a fondamento del linguaggio e in tutti i suoi ingranaggi. Le parole che abbiamo in comune e che costituiscono la lingua che parliamo sono strappate dal consenso generale e sovvertite, contaminate dai significanti di un soggetto. Prendono un'altra direzione. Non si parla mai della stessa cosa.
È questo il significante, quel che da un nuovo senso alla catena; come la strada di cui parlava Lacan, che non vada nessuna parte prima di essere tracciata, e che, una volta tracciata — la parola route (strada) significa rupture (rottura) —, divide lo spazio e propone almeno due direzioni. Posso andare a Amiens o a Parigi. È la stessa strada che porta ad ambedue. Quando il bambino viene al mondo, le strade sono tutte già tracciate. Ma può tagliare la rete stradale qui o là, e persino concepire una nuova strada; d'altronde la nuova strada può entrare solo nella vecchia rete.
Avviene il contrario, così sembra, quando le due direzioni ne costituiscono assurdamente una sola, come nel caso dell'asino di Buridano. In che senso andare allora, in effetti? Il caso dell'asino prova che non si può andare allo stesso tempo verso Parigi e

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