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IL DESIDERIO E IL TRANSFERT di Donata Miglietta

Parlare di transfert — dice Lacan — è parlare di un desiderio di cui l'analisi ripercorre il cammino evocandolo attraverso una presenza, quella dell'analista. Questo non vuole certo dire che sia la situazione analitica a produrre il transfert perché, anche se essa lo produce, occorre che ce ne siano fuori le possibilità già presenti.

 Sicuramente l'inconscio esisteva prima di Freud, non è stato Freud a produrlo. Ciò che egli ha fatto è mettersi in ascolto perché divenisse linguaggio. Ecco quel che ci porta alla funzione del transfert in quanto possibilità di accesso a una parola significante.
Questa parola si incontra in analisi come eco di un grido smorzato da una storia che lo sbarra. Per dirla con Freud, il transfert è il fenomeno costituito dal fatto che per un desiderio rimosso dal soggetto non esiste traduzione diretta: è un desiderio proibito che non può farsi riconoscere. Per tale ragione il soggetto mente nella sua perversione e mente nel transfert che è dunque amore nella sua funzione di inganno. Ma per mentire — dice ancora Lacan — bisogna anche avere buona memoria. È così che nell'analisi, in questo discorso che si sviluppa nel registro dell'errore, succede qualcosa per cui tramite la verità fa irruzione.
Vorrei parlare di una storia di analisi e di reperimento di un desiderio o di un grido, perché mi pare si presti in modo chiaro a parlare di transfert. Qui il transfert parla da sé proprio in quanto inganno a lungo perpetuato. Si tratta di ritrovare le tracce di un discorso aperto da Freud sull'omosessualità femminile e ripreso da Lacan a proposito di transfert.
Una giovane donna, Giulia, venne a consultarmi per un'analisi di gruppo su indicazione di un collega che l'aveva avuta in cura durante un ricovero in ospedale.
Giulia è figlia illegittima che la madre, subito dopo il parto, aveva affidato a due anziani parenti residenti nel sud. Era rimasta con loro fino a dodici anni e in questo tempo aveva rivisto la madre solo due o tre volte. Solo a dodici anni Giulia era tornata a Milano a casa della madre e del fratello di lei.
La convivenza con la madre era segnata da frequenti liti: Giulia non poteva perdonarle l'abbandono nel quale era stata lasciata per tanti anni. Tuttavia divenne sua complice nelle relazioni sentimentali: spesso l'accompagnava agli appuntamenti e si prestava come alibi di fronte allo zio e al resto della famiglia. A sedici anni ebbe lei stessa una relazione con un uomo che poi lasciò per iniziare una serie di rapporti omosessuali turbolenti, segnati da liti, rotture, riconciliazioni. Poco prima della relazione eterosessuale, Giulia aveva tentato un incontro col padre la cui identità le era stata rivelata dalla madre; questi aveva però rifiutato ogni contatto negando la sua paternità. L'uomo si era nel frattempo sposato ed aveva una figlia. Giulia l'aveva rivisto solo il giorno della sua morte quando si era introdotta di forza nella casa di lui per vederlo un'ultima volta e gridare davanti a tutti che quello era « suo padre ».
Si può anticipare che questa scena, rappresentata nel gruppo di psicodramma al quarto anno di analisi, segnò il ritrovamento di un grido d'amore che oltrepassava la barriera costituita dal corpo di tre donne: la moglie del padre, la sorella del padre, la figlia del padre che nella rappresentazione Giulia collocò a sbarrarle la strada. Tutto il gruppo sembrò infatti sentire come quel grido « voglio entrare, voglio vederlo! » aveva fatto sì che la porta della casa paterna si aprisse e le donne si facessero da parte. Era il grido di un desiderio ritrovato che aveva fatto irruzione superando l'otturamento che l'immagine della donna aveva fino a quel momento costituito.


Per un lungo  periodo  in  gruppo  Giulia  parlò  solo  della  sua storia passata, ripetendo continuamente le sue lamentele contro la madre. Aveva nei miei confronti un transfert erotizzato, tendeva ad escludere il resto del gruppo e la coterapeuta, mi si rivolgeva quando parlava, si sentiva spesso trascurata e si preoccupava di non piacermi. Al tempo stesso si mostrava diffidente verso l'analisi che poteva cambiarla « e toglierle la sua omosessualità ».
Devo dire che la storia di Giulia mi aveva in qualche modo toccata; mi ero chiesta poi se desideravo qualcosa circa un suo cambiamento nella scelta sessuale e questa mia preoccupazione faceva sì che non trattassi molto questo aspetto nell'interpretazione. Solo ad un certo punto mi resi conto di aver preso il transfert troppo alla lettera, il che significa anche aver preso alla lettera l'amore omosessuale.
Lacan riprendendo il discorso di Freud sul caso Dora sottolinea come questi si sia messo un po' troppo al posto del « Signor K » nel transfert lasciando così cadere l'oggetto del vero amore di Dora e cioè la « Signora K ». Giulia presenta la stessa storia, anche se capovolta. Ma vediamone le tappe e i rovesciamenti dialettici in analisi.
Ecco che un giorno il comportamento di Giulia sembra modificarsi. È da poco entrato in gruppo un giovane uomo, Paolo, che lei trova molto attraente. Si dichiara turbata dalla sua presenza, dice di sentirsi gelosa che Paolo abbia occhi solo per le altre. Incomincia così a parlare di come si sia sempre sentita brutta e poco femminile, dice di non potersi misurare con le altre donne del gruppo perché, tanto, perderebbe. Nel gruppo è Sandra la donna di cui Giulia si sente più gelosa. Giulia, appena trova il coraggio di dirlo, dichiara di temere che Sandra se la sia presa con lei: non vuole essere considerata una sciocca. Nella stessa seduta chiama Paolo per rappresentare la scena in cui aveva rotto col suo primo uomo dichiarandogli la sua omosessualità.
Qui qualcosa incomincia a passare: sembra che per Giulia la donna rappresenti una barriera invalicabile che impedisce l'incontro con l'uomo. Sembra che come una dea terribile e pericolosa la donna imponga un sacrificio nel quale Giulia sostiene il desiderio dell'altro mancando il proprio.
Segue a questa seduta un periodo in cui la paziente è depressa, viene al gruppo senza parlare, non porta sogni, non ha da dire niente. « Penso a tante cose, ma solo quando sono a casa. Qui non riesco più ». In una seduta la si invita a ritrovare il filo dei suoi pensieri mettendosi al centro del gruppo.
Giulia comincia dicendo che si sente molto sola «... vorrei parlare con gli altri, quando sono a casa mi vengono in mente tante cose che vorrei dire in gruppo... ma non è al gruppo che desidero parlare... è alla dottoressa. Le vorrei dire come sono triste, come mi sento brutta... gli uomini non guardano me, sto male perché adesso anche in gruppo succede la stessa cosa, sento che non mi vogliono... nessuno si interessa a me come donna... allora a cosa mi serve l'analisi? ». Alle sue spalle faccio eco dicendo: « Lei vuole dunque essere guardata, vuole interessare un uomo. Ma dice anche agli uomini di questo gruppo che non vuole loro, ma me ».


La seduta successiva Giulia porta un breve sogno. « Venivo qui e mi aprivate la porta in due, lei e un uomo; sentivo che voi due aspettavate qualcosa da me, qualcosa di importante ». Alcune settimane dopo racconta che è stata ospite di una coppia e che ha fatto l'amore a tre dopo essersi accertata che la donna non era gelosa. È in questo stesso periodo che evoca il ricordo della morte del padre e rappresenta la scena in cui si è introdotta a forza nella casa di lui.
Da questo momento Giulia ripeterà spesso in gruppo situazioni in cui fa scenate di protesta quando gli uomini si rivolgono a donne « più belle » di lei. Arriva ad affrontare direttamente la competizione, tenta di richiamare l'attenzione sulle proprie qualità intellettive. Viene invitata a rappresentare una scena in cui rifiuta di fare l'amore con un uomo « perché nella sua testa c'è un'immagine di donna che non può tradire». Ma nel gioco psicodrammatico Giulia non può rappresentare il rifiuto. È turbata e confessa di provare un forte desiderio reale per l'uomo che ha accanto.
Segue un sogno in cui Giulia è con un uomo che conosciamo ambedue, uno psicologo che è stato suo compagno di gruppo, e che la invita a fare una passeggiata romantica. Lei sa che dovrebbe venire da me per una seduta ma è con lui e sente che desidera rimanerci.
Ecco qualche punto della dialettica tra il soggetto e il suo desiderio in questa storia:

la fase: Amo solo le donne e muoio di disperazione se mi lasciano. Amo solo l'analista e voglio che lei mi ami.
2a fase: Vorrei essere amata da un uomo ma non è possibile poiché io  non  piaccio.   Perciò:   « desidero   Paolo  ma  a  lui  piace Sandra, dunque lo rifiuto e faccio l'omosessuale ». Io amo e parlo solo all'analista perché gli uomini non mi guardano. Così « amo te perché lui guarda altrove ».
3a fase: L'amore omosessuale mi evita di sentire che il padre mi ha rifiutata per sempre.

Il tutto, potrebbe dirsi con Lacan, nell'ordine di un'apparizione della A dietro il piccolo a. Apparizione che nel nostro caso avviene a partire dal transfert e dai transfert laterali. Cioè da questo al di là del principio di piacere che ha la forma appunto di una dominanza dell'oggetto a che sostituisce l’A.
Se il soggetto è infatti situato all'interno di una nassa il cui orifizio è sbarrato cosa sarebbe il transfert? Il senso ultimo della parola del soggetto davanti all'analista è il suo rapporto con l'oggetto del desiderio in quanto desiderio di questo altro che si vorrebbe avere; ma il transfert è identificazione a livello dell'immagine narcisistica e pertanto fenomeno immaginario. Proprio di questo si parla in analisi, delle relazioni immaginarie del soggetto con la costruzione del suo io. Queste relazioni divengono, nel lavoro della analisi, oggetto di una decostruzione che decompleta l'immagine dell'io per poi ricompletarla affinchè possa riconoscere le tappe


del suo desiderio. Si tratta di far ricostruire dal soggetto la storia del suo io e di rincontrare uno scacco. Infatti per avere un linguaggio e una domanda, il desiderio deve essere deluso. Il soggetto è separato dall'oggetto del suo desiderio, ma in questa beanza introdotta dalla assenza, il soggetto del fort-da interpone il suo rocchetto di filo che non è la madre ma « un piccolo qualcosa del soggetto che si stacca pur essendo ancora suo ».
Il piccolo Hernst non sorveglia la porta mostrando di attendere il ritorno della madre; il bambino fissa il punto in cui lei lo ha lasciato, il bordo della culla. Questo vallo, pozzo o fossato è il posto dove l'analista verrà messo per eludere la vertigine. L'oggetto è spostato altrove, nel vano di una porta dove la verità è inghiottita.
Cosa succede in psicodramma e in analisi di questo gioco col rocchetto? L'abbiamo visto nella storia di Giulia. Entra un personaggio nuovo e il rituale, in cui la perversione ha fissato il godimento sull'oggetto a, subisce un tracollo. Il soggetto è forzato a guardare altrove e parla, ricostruisce una storia. Ma a che serve per Giulia il piacere che prova e che cosa dire del desiderio se in analisi esso non ha risposta? A che serve avvertire il desiderio e confessarlo se l'oggetto è comunque proibito?
Lo psicodramma — dicono i Lemoine — libera il desiderio e crea una distanza con l'oggetto. Per questo il passaggio all'atto è un « delitto » che elimina questa distanza. Il desiderio si esprime e basta, non è impulsivo, viene solo riconosciuto e può in un secondo tempo cercare di procurarsi altrove il suo oggetto. Ma ha un nome e una forma: il soggetto ri-conoscendolo prende distanza e lo domina. Perde qualcosa sul piano della consumazione ma guadagna sul piano simbolico.
Possiamo allora vedere che in psicodramma il gioco della bobina mostra il punto al quale la ripetizione immobilizza: si presenta cioè al punto di sospensione della catena significante. Ma al di là di quella sospensione il desiderio inconscio persiste riproducendo nel transfert l'effetto di una memoria indistruttibile.
Per concludere con le parole di Lacan « è la verità di ciò che questo desiderio è stato nella sua storia che il soggetto grida col suo sintomo come Cristo ha detto che avrebbero fatto le pietre se i figli di Israele non avessero parlato con la propria   voce ».

SUMMARY

Transfert and desire
The A. describes a case of female homosexuality treated in a psychodramatic group. The dialectic between the patient and her desire can be broken down into phases. In the first phase the patient is distressed about her homosexual passion; then the elaboration of the erotic lateral transference on a male member of the group makes her realize that her erotic choice is determined by fear of being refused by men.
The conclusion is that this fear is connected with her negation of the fact of having been rejected at first by her father.

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