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Recensioni di "ATTI DELLO PSICODRAMMA"

  

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Berenice, SETTEVOLANTE
PAESE SERA, 16 Gennaio 1976

Un gruppo di psicologi che da anni si occupano di psicodramma, hanno fatto uscire una nuova ed interessantissima rivista “Atti dello psicodramma” dedicata interamente allo psicodramma analitico e allo studio dell’inconscio nel teatro. Il numero della rivista, semestrale, diretta da Ottavio Rosati, sarà presentato oggi, alle 19:30 alla Nuova Libreria del Teatro “Il Leuto”, via Monte Brianza 86. Jenny e Paul Lemoine e Italo Moscati parteciperanno al dibattito. 

 

PSICODRAMMA
IL MESSAGGERO, 20 Gennaio 1976, pag. 11

Alla libreria del teatro “Il Leuto”, via di Monte Brianzo, 86 (dietro Piazza Navona) è stato presentato il primo numero della rivista semestrale “Atti dello Psicodramma”, dedicata allo psicodramma analitico ed allo studio dell’inconscio nel teatro. Tra i suoi collaboratori: Fernanda Pivano, Ottavio Rosati, Alessandro Farsen, J.Rodolfo Wilcock, Maurizio Grande, Arturo Schwarz, Italo Moscati e Gennie e Paul Lemonie.

 

A.E.B., "ATTI DELLO PSICODRAMMA"
LA PAROLA E IL LIBRO, Marzo-Aprile 1976

La nuova rivista semestrale, “Atti dello Psicodramma”, diretta da Ottavio Rosati, costituisce il primo tentativo in Italia di offrire un terreno di confronto, né occasionale, né generico, fra studiosi e fautori dello psicodramma analitico e quanti operano sul piano più strettamente teatrale. Esperienze e finalità dello psicodramma analitico e studio dell’inconscio nel teatro sono, quindi, le linee tematiche di ricerca su cui la rivista si colloca con una sua precisa connotazione culturale e scientifica. IL sommario del primo numero vede raccolti una serie di contributi: Il teatro e lo psicodramma di Paul Lemonie; Nudità in garage di Fernanda Pivano, analisi della messa in scena delle Baccanti di Euripide a cura di Richard Schechner; L’approccio dello psicodramma all’epilessia, di Henri Fromm, in cui l’Autore propone di utilizzare lo psicodramma per comprendere il significato psicodinamico delle crisi di epilessia; La festa del dolore di Batak di Vincenzo caretti, descrizione delle feste rituali con cui gli anziani dei Batak in Indonesia superano l’angoscia della morte; Le resistenze del testo di Nicola Merola; Mario Ricci: il titolo vuoto, cui si aggiunge un breve scritto di Rodolfo Wilcock dedicato a Ricci.
Questi scritti testimoniano all’interno di quali ambiti la rivista intende muoversi. La sua specializzazione costituisce, senza dubbio, l’unico punto di riferimento che, in questa direzione, si ha in Italia.

 

Anteo, ESCE IL PRIMO NUMERO DELLA RIVISTA “ATTI DELLO PSICODRAMMA”
LA FIERA LETTERARIA, Anno 52 – n. 67 – 11 Aprile 1976

È uscito a Roma il primo numero di Atti dello Psicodramma (Roma, via della lungara, 3), rivista speciaizzata "per lo psicodramma analitico e lo studio dell’inconscio nel teatro in collaborazione col "Bullettin de la Société d’Etudes du Psychodrame Pratique et Théorique”. Direttore lo psicologo Ottavio Rosati, co-fondatore della pubblicazione con l'americanista Fernanda Pivano, Italo Moscati e Arturo Schwarz.
Il fascicolo della rivista, i cui testi appaiono sunteggiati in tre lingue, si apre con un articolo della psicoanalista lacaniana Gennie Lemoine sui rapporti tra teatro e psicodramma nell’ambito del “Club Psicodrammatico” di Parigi fondato dalla stessa autrice.
Pivano rievoca alcune esperienze teatrali alternative vissute tempo fa in America, a partire dalla riduzione delle Baccanti di Euripide col titolo "Dyonisus in 69". Vincenzo Caretti presenta un reperto etnologico sulle feste rituali con cui gli anziani dei Batak del lago Toba in Indonesia superano l’angoscia per la morte, e mette in rilievo l’emozione che emerge dal simbolismo delle danze delle offerte e della cerimonia, una delle poche che si salva dalla corruzione della cultura occidentale. Infine, un breve ma brillante intervento di J. Rodolfo Wilcock in favore del regista Mario Ricci, uno dei protagonisti della scuola romana d’avanguardia che si conclude con queste parole: "La sua felicità verrà dal pubblico, non dalla critica: da parecchio tempo si osserva che i critici sbagliano quasi sempre e il pubblico molto meno. Ma in Italia ci sono molti critici e poco pubblico: abbia coraggio Mario Ricci."
 

Nicola Merola, LA PSICANALISI COME GIOCO
STUDI ROMANI, Ottobre-dicembre 1976 
Alla Libreria dello Spettacolo di Roma "Il Leuto" (via di Monte Brianzo) ormai già qualcosa di più che un semplice punto d’incontro per le giovani leve dell’intelligenza romana, Elena B. Croce e Ottavio Rosati, esponenti italiani della S.E.P.T (Societé d’ Etudes du Psychodrame Pratique et Théorique) di Parigi, hanno inaugurato l’attività del 1976-’77, discutendo con colleghi, critici e studenti, sui programmi più immediati della sede romana. La cui attività non si articolerà più soltanto in sessioni settimanali e seminari di fine settimana, alcuni dei quali riservati a coppie di partecipanti, ma prevede l’istituzione di uno spazio non più clinico: quello per l’appunto offerto dal "Leuto". 
Sulla natura di questi incontri va detto che, contrariamente al solito, saranno messi in scena dai partecipanti i veri e propri personaggi teatrali "consegnati", promette il giovane psicodrammatista Ottavio Rosati," dalle letture e dagli spettacoli all’immaginario di ciascuno". Anche se la tecnica di far giocare all’analizzante, invece delle sue vicende, quelle di Medea, Lorenzaccio, Galileo, non ha certo finalità estetiche di qualsiasi tipo, essa può tuttavia costituire un tentativo di ridare al teatro, grazie all’interpretazione analitica del gioco, il suo antico senso catartico e morale. 

In questo senso l'analista lacaniana Gennie Lemoine ha scritto in un suo articolo che la peste che Artaud vedeva nel teatro del ‘doppio’ è tutt’uno con la peste che Freud si riprometteva di diffondere con il suo lavoro. Un’impresa come quella di spezzare la crosta del linguaggio per riattingere la vita attraverso l’identificazione di un ruolo preesistente, assunto senza feticismi filologici, dovrebbe infatti mettere l’occasionale attore in condizione di far saltare allo stesso modo il personaggio di copertura da lui ‘indossato’ quotidianamente sulle polarità dell’inconscio. Si tratterebbe insomma di un’occasione per l’indagine della struttura specifica che in ogni soggetto collega e alterna immaginario e simbolico, privato e pubblico, grazie al gioco, come Moreno intuì fin dal 1921 ideando a Vienna il suo "Giornale vivente" nello Steigreiftheater (Il Teatro della Spontaneità improvvisata). 
A chi volesse proseguire il discorso, va segnalato il secondo numero della rivista "Atti dello psicodramma" (editore Astrolabio-Ubaldini) presentata al Leuto e fondata da Rosati con l'americanista Fernanda Pivano e una redazione di psicologi europei, in collaborazione con scrittori e critici, come Italo Moscati, Alessandro Fersen, J. Rodolfo Wilcock, Arturo Schwarz.
E sulla linea programmatica della rivista, va citata una frase di Wilcock a proposito del rapporto tra teatro e società: "...non pare che l'artista sia mosso in origine, nel primo scatto che l'accosta all'arte, da un desiderio di dar battaglia, ma piuttosto dal desiderio di esercitare un'arte. Accolto da una società ostile, scopre che l'arte non si può esercitare senza combattere. Ecco un fenomeno, nella storia del mondo come la conosciamo, nuovo. La gente di teatro si è accorta per ultima di questa ostilità sociale che già colpiva i poeti e pittori romantici."

 

 

 

   

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Edo Bellingeri, "ATTI DELLO PSICODRAMMA (UBALDINI ED.)"
RIVISTA DI PSICOLOGIA ANALITICA
1977 N.2 Clicca qui per il ritaglio stampa

Giunta al terzo anno di vita, la rivista "Atti dello psicodramma" (Ubaldini, Roma) conferma la sua impostazione in grado di ancorare le scelte tematiche e gli interessi conoscitivi a un preciso ambito di ricerca e lavoro. Con un’angolazione metodologica che, esprimendosi nel privilegiamento della linea Lacan-Lemoine, non per questo intende chiudersi in un settorialismo autosufficiente, la rivista intende porsi come momento di confronto e come strumento di non generiche aperture a quanto proviene anche da territori non esclusivamente disciplinari. I primi segmenti del tragitto seguito dalla rivista dimostrano, innanzitutto, l’esigenza del progetto redazionale di riconoscersi e di esprimersi attraverso una definizione preliminare di alcuni statuti teorici. I contributi di Gennie e Paul Lemoine, in apertura del primo numero di "Atti dello psicodramma", dedicati al rapporto teatro- psicodramma e alla pulsione scopica avevano, in questo senso, la funzione di delimitare non soltanto un orizzonte teorico, ma di offrirsi anche come momento catalizzatore di stimoli per un lavoro che, nel contesto italiano, pur avendo conseguito significativi risultati, deve tuttavia ancora aprirsi a una serie di valenze e confronti. 
Due sono, infatti, le vie che oggi si aprono alla pubblicazione diretta da Ottavio Rosati per l’editore Ubaldini. Quella di diventare una rivista "di gruppo", concepita come strumento riservato agli esperti e agli operatori, da intendersi, quindi, come un tentativo prevalentemente orientato a formalizzare tecniche e codici dello psicodramma. Oppure l’altra, di maggiore ambizione e di più vasto impegno, di proporsi anche come ricognizione, come inventario storico-critico del processo scientifico e culturale che ha portato allo psicodramma e che, dalle prime formulazioni di Moreno si è esteso fino alle attuali acquisizioni anche fuori dal mondo della terapia. 
In quest’ultima direzione, potrebbe trovare una più ampia e fondata esplicazione l’intento di studiare "l’inconscio nel teatro" non più soltanto come interesse in qualche modo collaterale agli interessi psicoterapeutici, ma come oggetto d’analisi (testimoniato dalla presenza forte di Fernanda Pivano, ambasciatrice italiana di avanguardie teatrali di America) anch’esso storicamente fondato e pertinente alla rivista. Basti pensare a quale prezioso contributo potrebbe essere offerto dallo studio delle tecniche e delle procedure che – a partire da Moreno fino ad oggi – possono costituire dei riferimenti non banalmente empirici per le diverse forme e per i vari contesti in cui attualmente l’animazione si esprime. E, ancora, tutta una serie di esperienze teatrali che, dalla fine degli anni Sessanta in Europa e in America hanno rappresentato i momenti più avanzati della ricerca drammaturgica, potrebbero essere analizzate con strumenti diversi da quelli tradizionali della critica teatrale ufficiale i quali si sono rivelati largamente insufficienti e inadeguati. 
Il problema, infatti, non è soltanto quello di sottolineare la ancora scarsa incidenza di un approccio psicoanalitico al testo drammatico (con la sola recente eccezione dello studio di Gisèle Feal Le thèȃtre de Crommenlynck - Erotisme et spiritualitè. (Paris, Minard, 1976), quanto quello di non aver impiegato strumenti desunti dalla psicoanalisi e dallo psicodramma per interpretare  le "spedizioni antropologiche" del Living, di Grotovski, di Eugenio Barba, o l’odierno vitalismo dei gruppi teatrali giovanili e, quindi, di non averli considerati come documenti rilevanti di una condizione che deve diventare oggetto di un’attenzione specifica e costante. 
Nei confronti della condizione di un lavoro teatrale che conosce momenti sempre più diffusi di rifiuto della professionalità, del ruolo, del "mestiere", intesi in senso classico, e che sempre più rinvia a forme tanto spontanee, quanto, talvolta, estremamente consapevoli di terapia di gruppo, di cattura e di estensione dell’inconscio, di "liberazione della vita", e che finora hanno conosciuto l’intervento di un interesse prevalentemente sociologico o, peggio, estetizzante, non sarebbe infondato avviare una ricerca anche nei termini propri della psicoanalisi, dando inizio a un discorso capace di restituire all’essere sociale di questi fenomeni tutta la pienezza delle loro motivazioni. 
Che un’attenzione esista in questo senso all’interno della rivista lo si può arguire dagli interventi di Fernanda Pivano sul teatro del regista Schechner, di Rodolfo Wilcock su Mario Ricci, di Moscati su Memé Perlini, di Bartolucci su Giancarlo Nanni, accanto alla pubblicazione del protocollo Rorschach dei tre esponenti della cosiddetta scuola romana di avanguardia teatrale.
Di particolare rilievo i materiali comparsi nell’ultimo numero a commento del Risveglio di Primavera di Wedekind, tra cui il dibattito della società psicanalitica di Vienna in casa Freud, un testo di Lacan sulla donna intesa da Wedekind come Père-version anziché version du Père  e un notevole intervento di Sergio Benvenuto dove il mito-tragedia di Lulu è confrontato ai fantasmi di Don Juan e Faust.
Anche se, ovviamente, un discorso sistematico sull’inconscio nel teatro meriterebbe una più ampia prospettiva d’intervento, allargata (come quella che nel primo numero della rivista Nicola Merola ha riservato al lapsus e all’interpretazione analitica dei testi letterari) e un piano redazionale particolarmente puntuale nel circoscrivere il proprio ambito tematico che dovrebbe cioè comprendere non soltanto il testo, ma il gesto, non soltanto l’autore e il regista ma le dinamiche e i rapporti di gruppo, non solo lo spettacolo, ma il lavoro che porta ad esso. 
Tra gli articoli comparsi negli ultimi due numeri di "Atti dello psicodramma" segnaliamo quello di Paul Lemoine dal titolo Acting out o passaggio all’atto? la cui tesi principale, corredata da precise esemplificazioni, rileva come nel momento del passaggio all’atto si alternino due pulsioni contraddittorie e, ciò nonostante, affini: la pulsione scopica e quella anale la cui dinamica viene ripresa a proposito de La caduta di Icaro nell’ultimo numero della rivista dove Sergio Benvenuto descrive i tre registri che a suo giudizio caratterizzano l’atto analitico (giuridico, eroico, guerresco) e il rapporto che lega la resistenza del paziente a quella dell’analista. Viene proposto che il passaggio dal registro della prima pulsione a quello della seconda sia essenziale per una comprensione psicoanalitica dell’arte. L’articolo scorre parallelamente a un intervento figurativo dell'artista Luca Patella sulla caduta di Icaro di Brueghel, secondo l’apertura della rivista a interventi fotografici e visuali coordinati graficamente da Stefano de Filippi grazie alle tavole originali di Pablo Echaurren con un design funzionale ma non subalterno ai testi. Si direbbe che in tal modo "Atti dello psicodramma" si proponga nella sua impostazione editoriale di non escludere, ma di intrecciare al simbolico, cioè al registro della parola, la dimensione immaginaria: il criterio di Ottavio Rosati sarà in tal caso lo stesso che Gennie Lemoine nell’articolo Tra psicanalisi e psicodramma: lo sguardo ritiene distintivo della tecnica dello psicodramma analitico, in quanto basata su un’utilizzazione della dimensione immaginaria a fini simbolici, che non blocchi cioè i soggetti, come in qualsiasi altra terapia di gruppo, sul piano rassicurante e alienante della specularità e della ripetizione (...questa lebbra sociale), ma che permetta l’analisi, facendo ricorso a quanto dell’inconscio filtra e si esprime attraverso il gesto, il corpo, il gioco. Infatti, a differenza del classico setting anaitico (la cui disposizione è tale che il soggetto non può ricevere dallo sguardo dell’analista un’identità immaginaria), lo psicodramma permette al soggetto in analisi di vedere o di essere visto, ma secondo modalità che garantiscono sgomento, non conforto illusorio. Lo sguardo infatti attraversa le resistenze al punto che l’ingresso nel gruppo non è paragonabile all’entrata in un cerchio materno rassicurante, ma alla caduta in un buco simile a quello in cui il neonato sbuca all’uscita dal ventre materno in un mondo "dove all’inizio ogni suono e colore sono una ferita". La tesi della Lemoine, che sembra in questo rovesciare la concezione moreniana del tele (come corrente di simpatia incrociata tra i membri del gruppo, antiteica al transfert), è che, tramite l’esclusione di referenti comuni all’interno del gruppo, lo psicodramma consenta al soggetto la difficile pratica dell’intersoggettività. 
Sul tema, fondamentale per la rivista, dell’acting out si sofferma Ottavio Rosati in due articoli che approfondiscono il discorso di Paul Lemoine comparandolo ad alcuni aspetti del teatro moderno, Dal passaggio all’atto al passaggio al dramma e La resistenza e il sipario. Facendo riferimento ai due frammenti di Faulkner e Genet, l’autore studia le differenze secondo cui si esprime il passaggio all’atto nello psicodramma analitico, in modo da poter fornire una riposta alla domanda "come si presenta e come si camuffa il passaggio all’atto nello psicodramma analitico dove, per definizione, si gioca, si agisce, si recita non per il gusto moreniano di fare, bensì allo scopo di far vedere?"
Di impostazione etnologica ma con frequente ricorso alle categorie della psicanalisi e della psicologia analitica, i reportages di Vincenzo Caretti sui riti religiosi e le cerimonie teatrali di alcune popolazioni dell’Indonesia tra cui i Balinesi, di cui segue la danza del Legong, e i Batak, di cui commenta i rituali funebri confrontandoli alla teoria freudiana del lutto. Nell'articolo Sacrifici di sangue e rigenerazione tra i Toraja l’interpretazione del sacrificio rituale dei bufali tende ad evidenziare come il singolo nel partecipare alla cerimonia annulli la propria personalità e, riscattando nel dolore collettivo i più importanti contenuti inconsci, investa "nel sacrificio l’energia libidica sottratta all’oggetto perduto"

 
di Pablo Echauren per "Atti dello psicodramma" - © PLAYS
 

AA. VV., NOUVELLES DE L'ASSOCIATION
S.E.P.T. - Revue du Psychodrame freudien, 19 Giugno 1977 Clicca qui per il ritaglio stampa

“Atti dello psichodrama”, la revue semestrielle publiée en collaboration avec le bulletin de la S.E.P.T., est consacrée à notre psychodrame analytique et étudie l’inconscient dans le théâtre. Elle fait partie du catalogue d’Ubaldini, qui est le premier éditeur en Italie à publier des textes de psychanalyse. Paul et Gennie Lemoine et les Italiens Luisa Mele, Elena Groce, Giorgio Tonelli, Vincenzo Caretti, ethnologue, Fernanda Pivano, essayiste, font partie du comité de rédaction. Elle est dirigée par Ottavio Rosati. Le numéro 2 de la revue contient des textes de Blajan-Marcus, Caretti, P. e G. Lemoine, Moscati, Rosati et un hommage au metteur en scène Mémé Perlini, leader de l’école romaine du théâtre d’avant-garde. Tous les articles sont accompagnés d’un résumé en anglais, français, allemand et espagnol.
Prix du numéro : 2.000 lires. Abonnement annuel : Italie, 4.000 lires
S’adresser à « Atti dello psichodrama », via della Lungara, 3, 00165 Roma. CCP 17238007

 

Italo Moscati, SE FREUD AVESSE INCONTRATO UN VIANDANTE
L'EUROPEO, 22 Settembre 1977 Clicca qui per il ritaglio stampa

Ancora una pausa, prima della recensione inaugurale del nuovo anno teatrale. Anzi, a questo proposito: perché il ministro dello Spettacolo, Antoniozzi, non taglia il nastro come fanno i suoi colleghi per qualche fiera o qualche mozzicone di autostrada? Sarebbe un gesto di chiarezza. Dopo tutto, il teatro prende ossigeno dagli aiuti statali ed è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Nell’attesa del ripristino della realtà e dell’abbattimento dell’ipocrisia, parliamo un po di riviste. Ce ne sono alcune, ad esempio Sipario, che vengono pubblicate da tempo e svolgono, come dire, una funzione di aggiornamento informativo, tentando talvolta di acchiappare i temi più interessanti del dibattito culturale. Ce ne sono altre che vivacchiano, ospitano firme di brontosauri, parlano la voce degli archivi. Non le nominiamo solo per non infierire.  Del resto, circolano tra pochi eletti d’ospizio. Tra le più recenti, e le più valide, figura invece Scena, che in un periodo abbastanza breve ha saputo passare da un acritico fiancheggiamento dell’attività delle cooperative (contrapposte agli stabili e alle compagnie private) ad una intelligente autonomia d’interessi verso i gruppi di base, la sperimentazione, il teatro non istituzionale, il teatro più serio e utile in ogni parte del mondo. Attenzione merita anche Atti dello psicodramma, che si pubblica dalla fine del ’75, una rivista che si è specializzata, in polemica o per semplice distinzione, dalle tendenze onnicomprensive o speso generiche.
Sullo psicodramma, evidentemente, sono stati versati fiumi d’inchiostro, specie da quando lo si è associato al grande revival della creatività spontanea. Ma si è fatta molta confusione e sono state accreditate non poche ambiguità, le quali peraltro hanno fatto presa sugli improvvisatori he non mancano mai in teatro, soprattutto allorché c’è un vuoto e si va alla ricerca di idee-forza. Atti dello psicodramma si propone di contribuire a dissipare le nuvole. In che posizione si colloca? Nello spazio che affiora in questa felice citazione ricordata dallo psicologo analista Paolo Aite: "Se Freud avesse incontrato un viandante, gli avrebbe chiesto da dove veniva; se l’avesse incontrato Jung, gli avrebbe chiesto dove andava". Così, muovendosi su un terreno sufficientemente ampio e procedendo con rigore, il fascicolo diretto da Ottavio Rosati  aiuta a rendersi conto dell’avventura segreta del teatro. Da una parte, con un’analisi sui testi (sull’ultimo numero, l’attenzione è rivolta a Wedekind); sa un’altra parte, con un malizioso dall’esito, involontariamente ironico, ma comunque fondato spionaggio sui "personaggi alla moda", in particolare dell’avanguardia. Sia Perlini che Nanni sono stati sottoposti al "protocollo Rorscach", cioè alla lettura delle macchie. Risulta che entrambi, come minimo, sono "disordinati". Questo è qualcosa di più che un giudizio critico, tra gli entusiasmi dei sostenitori e i vituperi dei detrattori, tanto poco esatti.


Rolando Giglio, DAL DIVANO AL TEATRO

IL MESSAGGERO, 5 Ottobre 1977 Clicca qui per il ritaglio stampa

Nel saggio Il motivo della scelta degli scrigni Freud scrive: ‹‹Due scene di Shakespeare, lieta l’una e tragica l’altra, mi hanno di recente fornito lo spunto per impostare un piccolo problema››. Non è certo questa l’unica occasione in cui Freud fa ricorso al teatro per elaborare la teoria psicanalitica: già il nome del suo più celebre complesso è quello di una tragedia. L’interesse di Freud per il teatro fu inoltre ripreso da allievi e continuatori(basta pensare agli studi di Rank sul Don Giovanni, a quelli di Jones su Amleto ed Edipo, a quelli della Klein sull’Orestiade). Indifferente all’avventura viennese delle arti figurative dei sui tempi e addirittura ostile all’ingresso della musica in casa sua, Freud nutrì invece per i grandi drammaturghi un interesse speculativo ribadito dalla confessione che i suoi più grandi maestri erano stati i classici greci. La lettera a Marta in cui Freud ‹‹recensisce›› da Roma una rappresentazione della Carmen includendovi il comportamento del pubblico del Quirino, mostra inoltre che la sua sensibilità era rivolta anche all’evento teatrale e alla psicologia degli spettatori.
Su questo margine tra psicanalisi e teatro si applica la rivista Atti dello psicodramma dell’editore Astrolabio, diretta da Ottavio Rosati. A formulazioni teoriche e dibattiti clinici sulla terapia psicodrammatica (sviluppata da J.L. Moreno e rivisitata dalla scuola francese di psicanalisi) questo semestrale, giunto al suo terzo anno di pubblicazione, affianca documenti vecchi e nuovi del reciproco interesse tra psicanalisi e teatro. I materiali dell’ultimo numero riguardano Wedekind e il Il risveglio della primavera. Innanzitutto, il dibattito del 1907 alla Società Psicoanalitica sulla tragedia di Wedekind, dove (tra gli interventi di Rank, Federn, Adler), spiccano le osservazioni di Freud, piuttosto severo sul valore artistico di un lavoro che, più che opera d’arte, gli pare un documento prezioso e inconsapevole, per lo studio dell’inconscio. Segue un articolo di Jacques Lacan sul fantasma della donna nel Risveglio, che (in quanto disastrosa versione del padre) gli sembra appunto definibile come Père-version. Nel suo articolo Del padre Promesso Sergio Benvenuto interpreta  i personaggi di Faust e Don Giovanni come due mitici "rimorsi" del Rinascimento europeo.
Gli interessi psicoterapeutici della rivista sono affidati ai saggi di apertura, relativi all’immaginario e alla pulsione scopica così come si manifesta nella psicodramma analitico. Gennie Lemoine (autrice di Partage des femmes recentemente tradotto in italiano dalle Edizioni delle Donne) individua nello sguardo l’elemento che distingue l’analisi effettuata nel gruppo di psicodramma da quella del classico setting a due. La sua tesi è che, se lo sguardo non conferma certezze immaginarie ma attraversa le difese del paziente, il gruppo di psicodramma analitico costituisce la sede ideale e inquietante di una partita a dadi con l’inconscio, che la Lemoine descrive riferendosi a Nietzsche.
Ottavio Rosati riprende infine il tema in La resistenza e il sipario dove l’etica psicodrammatica del teatro di Pirandello è confrontata alle implicazioni del loro tradizionale impianto di rappresentazione. La frattura così individuata è comunque meno alienante del paradosso di quel teatro di sperimentazione che, sostituendo alla parola l’immagine, relega lo spettatore in un ruolo di passiva fruizione estetica dell’inconscio esibito dall’autore-regista.

 

Stefano Del Re, TRA TEATRO E PSICANALISI
PAESE SERA, 12 Ottobre 1977 Clicca qui per il ritaglio stampa

Secondo Freud l’inconscio è strutturato come una scena teatrale e dall’affermazione di tale omologia di struttura sono derivate gran parte delle esperienze più vive nel campo della sperimentazione artistica, dal teatro alla letteratura alle arti visive. "Atti dello psicodramma", arrivata con il numero attualmente in libreria al terzo anno di vita, conferma con l’originalità della sua forma la validità di questa ipotesi. Da un lato la rivista diretta da Ottavio Rosati, si sofferma e scava nel fatto teatrale, il teatro d’avanguardia contemporaneo e gli autori della cosiddetta Scuola Romana di teatro ma anche Wedekind che, come ben risalta da questo ultimo numero, resta un autore privilegiato dagli analisti.
D’altra parte vi sono contributi teorici nello specifico dello psicodramma analitico, terapeutica sorta dall’incontro di un gruppo di analisti francesi quali Gennie e Paul Lemoine della scuola di Lacan con la teoria del gruppo di Moreno, il creatore dello psicodramma e del gioco di ruolo. Materiali per lo studio del fatto teatrale in termini dinamici cioè come processo e non come prodotto, contributi eterogenei che non vanno mai a scapito del rigore e che danno semmai ad "Atti dello psicodramma" il sapore di un incontro necessario tra operatori di due settori diversi, come quello della psicoanalisi e del teatro, che troppo spesso si sono parlati addosso senza arrivare a uno scambio di esperienze. In questo numero il taglio particolare della rivista viene sottolineato da un articolo di Lacan, inedito per l’ Italia, su "Il risveglio della primavera" di Wedekind e degli Atti del dibattito della Società Psicoanalitica di Vienna sullo stesso testo, con gli interventi di Freud, Adler, Federn, Heller, Hitschman, Rank e altri. Gli altri contributi riguardano il senso dello psicodramma distinguendole attuali esperienze del teatro della spontaneità nell’animazione e l’approdo all’immaginario del teatro d’avanguardia, da una teoria nella quale l’esperienza del gioco drammatico non è un fatto estetico ma un’ esperienza di partecipazione del soggetto, spettatore-attore, che nel teatro non assiste alle proiezioni immaginarie di un attore ma si confronta col suo inconscio, come in analisi.

 

Alberto Abruzzese, LE FAVOLE DI MEREDITH MONK
RINASCITA, 28 ottobre 1977 Clicca qui per il ritaglio stampa

Dopo essere stata a Milano, Meredith Monk ha presentato Anthology e Small Scroll al Rondò di Bacco di Firenze nel quadro del programma sperimentale del TRT. In Anthology vediamo la sola Monk reggere un lungo monologo di suoni vocali, variamente modulati e di straordinaria ricchezza allusiva, di gesti mimici, di sospensioni ginniche e di rapidi passi di danza; la Monk stessa, in fasi sapientemente scandite, ricava da un pianoforte – unico elemento della scena, se si eccettua una panca sul fondo come "anticipazione" di Small Croll – gli accordi necessari a dare uno spessore unitario a questa sorta di recita-resurrezione dell’attore, del suo corpo, della sua voce, della sua anima. E’ come se la Monk, esibendo in termini di selezione e concentrazione il vastissimo materiale da lei ricercato in questi anni, volesse indicare possibilità e misteri dello strumento base del teatro, del suo stesso corpo non in quanto soggetto che si costruisce dall’interno, che si struttura, che si ri-crea. 
Franco Quadri, presentando un catalogo sull’attrice-regista curato per la Biennale di Venezia, ha avuto modo di collocare in termini molto chiari il lavoro portato avanti dalla Monk come una delle esperienze più interessanti del teatro americano: "Lontana dalla cerebrale e documentata programmaticità di un Foreman, come dal dispiegamento spettacolare di mezzi di Wilson, Monk fa teatro poveramente con le sue immagini oniriche, con la sua voce, con l’uso delle mani, con gli oggetti e la realtà che conosce, alla maniera di un artista, di uno scultore, di un collagista, o di un poeta. Forse se fosse ancora vivo Bazin, profeta nei tardi anni cinquanta di un cineasta autore in prima persona, avrebbe applicato al suo lavoro il termine da lui forgiato per gli esploratori filmici della nouvelle vague: forse l’avrebbe chiamato théatre-stilo".

Proprio questa edizione di Anthology è in grado, a mio modo di vedere, ma anche tentando di percepire l’effetto sul pubblico italiano, di reggere il confronto con il genere di spettacolo povero che Wilson ci ha mostrato in questi ultimi mesi. Mi pare che, laddove Wilson propone con estremo, maniacale, ascetico, nevrastenico rigore una operazione di riduzione ad unità-base dei materiali di cui il teatro ha potuto disporre nella sua esperienza storica e istituzionale, Meredith Monk, con dedizione che sarei tentato di definire  più cattolica, tende a riaggregare gli elementi originari e a rischiare la narrazione. Ma, mentre risulta estremamente suggestivo il travaglio tecnico e passionale che la nostalgia del racconto naturalmente comporta (appunto Anthology, che dispone in bell’ordine tutti gli elementi necessari a comunicare senza tuttavia dare un contenuto sintattico alla comunicazione), non altrettanto felice risulta l’attuazione del rischio, del desiderio, della nostalgia: è il caso di Small Scroll, favola ingenua nel senso forte, ideologico, consapevole del termine) di principesse, città, magnifici dei ed eterne stagioni della vita e della morte, della lotta e della forza, del bene e del male. Anche nel teatro della Monk, così come mi sembrò giusto sottolineare per Wilson, la fascinazione spettacolare si costituisce sui meccanismi, sedimentati ma funzionanti a livello inconscio, della grande industria culturale. Nessuna difficoltà a scoprire in Small Scroll gli stessi giochi infantili-imperialisti che animano la decina di miliardi investiti in Guerre Stellari.
E tuttavia mi sembra corretto concedere alla Monk (così come, seppure in modo diverso, a Wilson) il suo preteso realismo: Dal momento che la natura stessa del mio lavoro - ha affermato in un’intervista - ha molto a che fare con immagini e fantasie inconsce, mi interessa molto darvi un luogo, che definisco “spazio reale”. Non mi interessa costruire una scena realistica; ciò che mi interessa veramente è utilizzare una situazione reale, immettendo nella messinscena immagini non usuali (…). E’ proprio a causa di questo radicamento nella realtà, che l’effetto risulta surreale. Nessuna contraddizione se Wilson, con il suo viaggio fuori dal teatro, e Monk, con il suo ritorno al teatro, hanno punti in comune, al di là dei tempi lunghissimi del primo e dei ritmi più veloci della seconda, il luogo di congiunzione consiste appunto nella realtà concreta degli spazi e dei soggetti per cui essi operano.

Sfogliamo il numero uno del terzo anno di Atti dello psicodramma e vi troveremo un interessante avvio alla discussione su questi temi da parte di Ottavio Rosati (vedi "La resistenza e il sipario"): vi si tenta di distinguere una linea ipnotica nell’uso scenico dell’inconscio ("… lo scopo di far dormire lo spettatore, dissociando dalla sua attenzione l’oggetto e il movimento messi in scena e favorendo uno stato misto di sogno e veglia, percezione e pensiero, in cui sia possibile assistere ad un’azione vedendone associativamente un’altra che sul palco non c’è") da una linea di autoconsapevolezza critica ("…lo psicodramma analitico favorisce invece processi di simbolizzazione e interpretazione allo scopo di distillare il reale dall’immaginario…"). 
Al teatro per immagini di Wilson si contrappone allora, il teatro di parola di Pirandello (su cui tornerò presto data la sua esorbitante presenza nei cartelloni romani). Credo che ancora una volta un discorso sul teatro possa essere fatto solo osservando le regole strutturali dell’apparato specifico che il teatro rappresenta: e allora, molto probabilmente, dovremo ammettere che il massimo di realtà e di autoconsapevolezza lo spettatore si trova a viverlo appunto oltre ciò che la scena rappresenta; al di là del sipario ma anche al di là di quanto il sipario, scomparendo dalla scena contemporanea, ha lasciato vedere. Da questo punto di vista, quindi, Wilson che concede la massima libertà allo spettatore, e Monk, che vorrebbe nuovamente trascinarlo nel divino amore della favola, sono simili, a causa del loro pubblico, il quale, nello stesso modo e allo stesso tempo, vive il desiderio della fuga e del ritorno.

 

Nicola Merola, IL TEATRO COME SPAZIO PER L'INDAGINE PSICANALITICA
AVANTI!, 11 Novembre 1977 Clicca qui per il ritaglio stampa

Giunge al terzo anno di vita “Atti dello psicodramma” (via della Lungara, 3 - Roma) la “Rivista per lo psicodramma analitico e lo studio dell’inconscio nel teatro” pubblicata da Astrolabio e diretta da Ottavio Rosati, con un fascicolo diviso tra contributi psicoterapeutici e materiali per una analisi del teatro di Wedekind. Per questa rivista, che privilegia la via psicanalitica al teatro sulla linea di un superamento freudiano dello psicodramma di J. L. Moreno, il teatro non è solo un terreno d’applicazione dello strumento psicoanalitico ma la spia di una sua insufficienza: come se insomma le pretese totalitarie dell’analista fossero solitamente mal indirizzate e, anziché a invadere altre discipline, dovessero mirare piuttosto all’individuazione di una totalità comprensiva della capitale. 
L’osservanza lacaniana di Paul Lemoine e di Eugenie Lemoine-Luccioni (di cui è recente la traduzione italiana di Partages des femmes per la Casa Editrice delle Donne) presenti anche in questo numero con due articoli sulla teoria dello psicodramma analitico, non è dunque l’unico precedente della pubblicazione delle paginette di Jacques Lacan su Il Risveglio della Primavera di Wedekind, che costituisce con quello di Freud il pezzo di maggior interesse, ma anche un po’, per adoperare le parole dell’autore, il “buco” della rivista: un “buco” che “si tocca con mano per il fatto che, non cavandosela come si deve proprio nessuno, non per questo ci si fa maggiormente caso”. Forse è vero ciò che sostiene Lacan: “è proponendo l’enigma che si trova il senso del senso”; ma stavolta l’enigma del suo commento alla père-version di Wedekind si risolve in un doppio rinvio: al corpus degli Scritti (pubblicati in Italia da Einaudi) e all’immediato contesto del fascicolo. La seconda parte del quale è interamente dedicata a Wedekind e al Risveglio, con Una nota su W. Di Roberto Lerici; il Dibattito della Società psicoanalitica di Vienna con interventi di Freud poco prudenti sul valore artistico del drammaturgo, e di Rank, Adler, Federn; una postilla allo scritto di Lacan già nominato, di Sergio Benvenuto; il protocollo di Rorschach di Giancarlo Nanni a cura di Sandra de Coro, preceduto da una scheda sul lavoro del regista firmata da Giuseppe Bartolucci e accompagnato dalle foto della messinscena del Risveglio al teatro "La Fede" di Roma nel 1972 con la regia di Giancarlo Nanni. La fiche lacaniana può dunque essere puntata su Il risveglio della Primavera o del padre promesso di Benvenuto col risultato che la presa di lotta nella quale la postilla stringe il breve scritto lacaniano si rivela inestricabile. Fuor di metafora, il giovane allievo di Pontalis non prende le distanze da Lacan, come forse è indispensabile per spiegarselo e utilizzarlo criticamente, ma lo continua come un apocrifo. Così arriva al punto di sottomettere le proprie notevoli intuizioni intorno a Wedekind a una specie di preventiva censura lacanista, esibita “attraverso l’effetto, chiamato poi espressionista, del procedere drammatico tutto a scatti e discontinuità, come a firmare, con questa forma, l’inconsistenza di una Imago controllata”. 
La ricerca di uno specifico diverso e di una diversa concezione dello specifico passa senz’altro per Lacan, ma non è detto che debba fermarvisi: se è vero che la sua incontinenza stilistica è anche il segno di una disperazione mal riposta, per l’appunto da specialista senza specialismo o da gran sacerdote. Così almeno lo vediamo noi laici, registrando con la stessa acritica attenzione il delirio e la speculazione, le manie e i procedimenti, il caso e la necessità. 
Un’interessante conferma, in atto se non proprio formulata in teorema della linea di sviluppo di “Atti dello Psicodramma” viene dal saggio di Ottavio Rosati La resistenza e il sipario in cui lo psicodramma analitico viene definito, attraverso una caratteristica contaminazione di esperienze cliniche e letture pirandelliane, nella sua irriducibilità alla psicanalisi e al teatro, in quanto “favorisce… i processi di simbolizzazione e interpretazione allo scopo di distillare il reale dall’immaginario”. Completa il fascicolo La danza dell’eterno femminino: Il Legong una interessante escursione antropologica sul teatro di Bali il cui significato rituale viene discusso riprendendo la polemica di Grotowski sulla inaccettabile interpretazione “magica” che ne era stata data da Artaud.

 

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Tania di Martino, PSICOLOGIA E PSICOANALISI
IL NUOVO INFORMATORE LIBRARIO, Marzo 1980

Son passati più di cinquant’anni da quando J. L. Moreno ha elaborato lo psicodramma; da allora questa terapia di gruppo ha subito molte trasformazioni che hanno permesso forme e applicazioni nuove della primitiva creatura moreniana. Sono nati così il sociodramma, l’etnodramma, l’assiodramma e lo psicodramma psicoanalitico sviluppatosi grazie ad alcuni psichiatri francesi intorno agli anni Quaranta. 
Moreno, partito dal teatro della spontaneità, era arrivato all’elaborazione di un sistema in cui l’attore, l’individuo, lasciato da parte il testo prestabilito interpretava il proprio personaggio, per poter, attraverso un effetto catartico, conoscersi meglio e farsi meglio conoscere dagli altri. Lo psicodramma analitico rifiuta proprio l’efficacia terapeutica legata alla catarsi e alla spontaneità, obiettando che “anche se mira a migliorare le risposte del paziente ai ruoli esterni e interiorizzati, lo psicodramma classico lascia immutata la struttura psichica profonda del partecipante”. 
Dello psicodramma analitico si occupa la rivista “Atti dello psicodramma", diretta da O. Rosati, già arrivata al suo quarto anno di pubblicazione.   A testimonianza che, accanto all’interesse per la terapia psicodrammatica, la rivista rivolge la sua attenzione al rapporto psicoanalisi e teatro, nell’ultimo numero figurano: il famoso saggiodi Freud Personaggi psicopatici sulla scena, nel quale l’analisi di un testo teatrale, l’Amleto, permette a Freud brillanti intuizioni circa le determinanti inconsce della fruizione; la prima parte di una lezione che, nell’ambito dei Seminari, Jacques lacan tenne nel 1955 in seguito a una conferenza di Moreno, e  un’intervista di Ottavio Rosati a Meredith Monk. In ultimo, e secondo la tradizione della rivista, un protocollo Rorschach di un regista teatrale: questa volta quello di Giuliano Vasilicò.

 

 

Alberto M. Moriconi, EROI IN PLATEA
IL MATTINO, 8 Aprile 1980

“Atti dello psicodramma” è una ricca e affascinante rivista “per lo psicodramma analitico e lo studio dell’inconscio nel teatro” diretta da O. Rosati per l’editore Ubaldini di Roma. Naturalissimo il gran debole dell’uno psicoanalista a modo per il teatro: Aristotele, sorta appena la tragedia, parlando laudativo della “catarsi” drammatica, lodava già la psicoanalisi.. O no ? Scherzo: non mero “gran debole” ma il giustamente grande interesse. Il n.2 della rivista s’apre con un rilevante scritto di Freud “Personaggi psicopatici sulla scena”: “Lo spettatore vive troppo poco intensamente, si sente un ˂misero, cui nulla di grande può accadere˃, da tempo ha dovuto soffocare, o meglio rivolgere altrove, la sua ambizione di porre se stesso al centro della macchina mondiale, vuole sentire, agire, plasmare tutto a sua volontà: in breve, essere un eroe; e gli autori e gli attori teatrali, ecco, gli permettono di identificarsi con un eroe”: ma senza dover assumere, corpo di Bacco, le tribolazioni d’azione eroiche reali. Il dramma classico soddisfa i bisogni repressi di libertà e offre al tempo stesso un piacere masochista rappresentando l’infelicità del debole in faccia al potente al quale egli si ribella. Nel dramma borghese la ribellione si esercita contro la società. Il dramma psicologico rappresenta due fieri impulsi in conflitto e il patimento di dover scegliere, di sacrificarne uno; mentre il dramma psicopatologico rappresenta la lotta fra un impulso cosciente e un impulso incosciente. In questo caso, l’utilizzazione sulla scena di personaggi nevrotici è efficace se lo spettatore può identificarsi con essi e se l’autore è capace d’evitare le resistenze del pubblico offrendogli un piacere preliminare… E così via. Ma lui, Freud, anche perché in più pagine, e assai limpide vi spiega meglio: pagine limpidissime: non somigliano a quelle dei più dei suoi epigoni. E, a ripensarci, lo stesso primo lodatore della psicanalisi di là da venire (come sopra ho detto a cuor leggero), Aristotele, ben poteva, con qualche parolina piana in più, far spremere un po’ di meningi in meno, nel corso dei secoli, su quella sua “catarsi”.

 

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Vincenzo Caretti, ATTI DELLO PSICODRAMMA
testo della recensione detta a TERZA PAGINA-RAI RADIO3, Marzo 1980
 

"Atti dello psicodramma" è una pubblicazione semestrale dedicata ad una forma di psicoterapia di gruppo, lo psicodramma psicoanalitico e allo studio dell’inconscio nel teatro. Si pone dunque come uno strumento clinico e contemporaneamente di carattere culturale, la rivista è edita dalla casa editrice Astrolabio-Ubaldini di Roma, parallelamente a una serie di libri sullo stesso tema ed è diretta da Ottavio Rosati. L’ultimo numero della pubblicazione inaugura la nuova serie costituita da fascicoli monografici; si intitola JOUER-JOUIR ( alla lettera GIOCARE-GODERE), e consiste in una raccolta di scritti di Gennie e Paul Lemoine, i due psicoanalisti francesi che hanno riletto la teoria classica dello psicodramma di Jacob Levi Moreno, alla luce di Freud e Lacan. Il titolo JOUER-JOUIR allude a due momenti basilari della teoria e della tecnica dello psicodramma. Si tratta infatti di giocare, non solo di parlare. Come indicano le parole JOUER in francese e TO PLAY in inglese, c’è una grande affinità tra giocare e recitare. Tanto più che allo psicodramma si recita per gli stessi motivi per cui, in alcune forme di psicoanalisi dell’infanzia si gioca, si disegna, si modella la creta e cioè con finalità diagnostiche ed espressive non certo con intenti artistici ed estetici. A questo scopo non occorre essere attori e nemmeno diventarlo. Come leggiamo su "Atti dello psicodramma", un’eccessiva padronanza della tecnica teatrale può addirittura nuocere agli scopi analitici dello psicodramma, perché costituisce spesso una resistenza all’espressione dell’inconscio.
Non si gioca per godere o far godere, ma far capire qualcosa di se stessi, che attraverso il gioco, la distribuzione dei ruoli, l’inversione delle parti ed altre tecniche, si rivela spesso diversa da come era stata comunicata con le sole parole. Lo psicodramma fu inventata negli Stati Uniti da Jacob Levi Moreno, psichiatra e sociologo viennese, elaborando le esperienze viennesi del teatro della spontaneità del giornale vivente, tecniche di animazione sociale e culturale con le quali Moreno si rivolgeva a minoranze emarginate come i bambini, i profughi, le prostitute e si opponeva alla sclerosi dei temi e delle forme del teatro borghese, dagli inizi del secolo. Moreno si oppose anche, in quanto psichiatra, a quello che considerava l’arbitrario smantellamento della personalità operato da Freud. Propose una teoria unitaria ed esistenziale della personalità elaborando il concetto di ruolo e di atomo sociale. In uno stile vigoroso, entusiasta, scandaloso sia per gli artisti che gli scienziati, Moreno combinò non senza contraddizioni, spunti da Platone, Aristotele, Shakespeare, al marxismo, al cristianesimo, al giainismo.
Indubbiamente Moreno inventò oltre la sociometria, tutta la psicoterapia di gruppo e soprattutto lo psicodramma cui affidava il compito di sottolineare la spontaneità e la liberazione da ruoli e ripetizioni nevrotiche attraverso la catarsi e la sperimentazione di nuove forme esistenziali nel gioco. Come la rivista ribadisce anche in questo numero, le idee di Moreno, che si dichiarava autore della terza rivoluzione psichiatrica dopo quelle di Pinel e Freud, hanno profondamente influenzato la teoria del teatro di ricerca moderno. Basta pensare all’Actor’s Studio di Elia Kazan, al Teatro Laboratorio di Grotowsky, al Living Theatre, allo mnemodramma di Alessandro Fersen. Nei campi dell’assistenza sociale, della terapia psichiatrica, delle relazioni umane, della formazione, lo psicodramma è ugualmente utilizzato in più di trecentocinquanta tecniche.
Anche se in Europa la sua variante più diffusa è quella dello psicodramma psicoanalitico, si calcola che in tutto il mondo di oggi, siano centinaia di migliaia le persone che per suo tramite sono aiutate a studiare, a crescere, a lavorare, a comunicare. Lo scopo del gioco drammatico è dunque un altro. La profonda implicazione corporea (che non arriva al punto di consentire contatti reali) i toni della voce, la scenta dei ruoli e degli interpreti chiariscono spesso con effetti sconvolgenti i veri effetti nascosti dalla verbalizzazione, le identificazioni inconsce più regressive, i meccanismi di difesa del paziente. Il gioco drammatico ha il gioco di permettere l’espressione dei fantasmi, il confronto con le ferite narcisistiche, la comprensione dell’atteggiamento e del desiderio degli altri.
Come leggiamo in un saggio di Gennie Lemoine, il momento di alzarsi dalla sedia per entrare nel cuore del gruppo e scegliere qualcuno con cui giocare può essere per alcuni difficile, per altri impossibile, a lungo. Esso espone a quel rischio tragico di cui parlava Nietzsche: è angoscioso, nessuno sa cosa potrà uscirne. Esso non è chiuso in partenza, giacché, come nella vita, non si può giocare da soli ma occorre affidarsi alla risposta e al desiderio dell’altro. 
"Atti dello psicodramma" è l’unica rivista esistente in questa zona di confine tra teatro e psicoanalisi. Diversi critici di teatro tra cui Edo Bellingeri e Alberto Abruzzese, nelle loro recensioni, hanno sottolineato il carattere internazionale del suo progetto redazionale definendo storicamente fondata l’ambizione di creare un archivio su tecniche e codici dello psicodramma in un momento in cui cresce l’esigenza di riferimenti più che empirici per le molte forme e i molti contesti in cui si esprime l’animazione, la teatroterapia e la terapia del teatro. Di questa rivista è giusto sottolineare alcune caratteristiche editoriali che la contraddistinguono da altre pubblicazioni a carattere psicoanalitico. Innanzitutto la preoccupazione di consentire un dibattito ed uno scambio su un settore notevolmente ristretto come questo, fa in modo che i contributi della rivista appaiano riassunti in quattro lingue. Secondariamente l’idea di accordare lo spazio all’immagine, è relativamente inedita per pubblicazioni scientifiche di questo genere, ed è affidata, oltre che a fotografie teatrali, a interventi grafici originali di Luca Patella, Marco Del Re, Pablo Echaurren. 
La pubblicazione diretta da Ottavio Rosati, si vale di un comitato internazionale di collaboratori e affida i suoi interessi culturali a Fernanda Pivano, Arturo Schwarz, Italo Moscati, Giuseppe Bartolucci. Oltre ai materiali tecnici clinici relativi all’articolazione del transfert in psicodramma, ai confronti tra la teoria dello psicodramma e la poetica drammaturgica di Pirandello, allo studio della pulsione scopica, cioè dello sguardo nello psicodramma, la rivista dedica in ogni numero un’intervista protocollare, anzi diagnostica ad un protagonista del teatro di sperimentazione, tra questi Marco Ricci, Memè Perlini, Giuliano Vasilicò. Tra le ultime ci piace in particolare ricordare una lunga intervista di Rosati a Meredith Monk, fatta durante il suo laboratorio di teatro al Naropa Institute in Colorado: la giovane protagonista della sperimentazione newyorkese commenta con sorprendente lucidità il suo debito personale e artistico alla teoria freudiana e junghiana e descrive lo speciale significato del fare teatro in un contesto di gruppo non puramente professionale come quello della ricerca. Ritrovando forse antiche situazioni di Commedianti dell’Arte, i componenti di una compagnia del genere vivono e creano contemporaneamente una stagione umana e artistica della loro esistenza. In definitiva è proprio in questo che potremmo collocare l’oggetto specifico di "Atti dello psicodramma": lo studio del transfert in un  contesto drammaturgico.      

 

Adele Cambria, SPAZIO LIBERO PER LA DONNA
IL GIORNO, Ottobre 1980

Non è la descrizione di un carnevale fuori stagione ma la traduzione (sempliciotta) del titolo di un saggio scritto dalla psicoanalista Eugénie Luccioni Lemoine su "Jouer-Jouir" il quinto fascicolo di “Atti dello psicodramma”. La rivista la pubblica a Roma Ottavio Rosati conduttore di gruppi di psicodramma. Mentre i coniugi Eugénie e Paul Lemoine praticano a Parigi questa terapia, messa a punto negli anni Venti da Moreno a Vienna. Il titolo del saggio della Lemoine è esattamente “Mascherata femminile, o parata maschile”. L’autrice è abbastanza convincente quando descrive la realtà del gioco-rapporto di coppia: la donna si maschera per piacere all’uomo, l’uomo si pavoneggia per ottenerla. Esemplificando, ed assumendosi la parte della donna, la Lemoine dunque scrive, rivolta ad un maschio immaginario ma non tanto: “Vuoi un po’ di Donna con la maiuscola, cioè un po’ di Femminilità? Te la do. Vuoi dei seni, delle natiche, la madre, un po’ di mistero, un po’ di debolezza? Eccotene, da vendere! Non sarò egoista, non sarò forte… soprattutto non sarò MAI più forte di te … soprattutto, te lo giuro, me lo giuro, sarò PASSIVA…”.
Ora tutto questo è vero (ed il maschio immaginato dalla Lemoine non è forse il Fellini che ben conosciamo?): ho tuttavia l’impressione che sia un po’ meno vero, da qualche anno a questa parte: non so se il “riflusso” abbia portato anche su questo terreno i suoi flagelli, ma mi sembra difficile che oggi le donne, per “rifluenti” che siano, riescano ormai più a prendere sul serio le loro (eventuale) mascherata e si comportino come le descrive la Lemoine: “…per provare fino a che punto è vero le donne divengono veramente futili, si coprono di belletto e di piume, si agitano come uccelli in un’uccelliera, come nei film di Fellini…” (eccolo, sempre lui!). Più avanti nel testo, la Lemoine ammette che comunque le cose sono un po’ cambiate: ma il suo sbaglio, secondo me, è di credere che il cambiamento innegabile, consista nel trasformarsi, da parte delle donne, in uomini, mentre, all’altro capo del filo che lega (o slega) la coppia, l’uomo, messo alle strette dal femminismo, lascerebbe libero corso al suo oscuro desiderio di essere-diventare donna.
Non so gli uomini: secondo me invidiano, hanno sempre invidiato la donna, ma non vi si identificano, non ne sarebbero capaci (e questo è evidente). In quanto alle donne, quelle, almeno, che vogliono cambiare, è certo che non hanno deposto finalmente, con un sospiro di liberazione, gli attrezzi della “mascherata femminile” per assumersi il grottesco carico della “parata maschile” (in quanto al Fallo, che tutte desidereremmo ardentemente, dal padre, dal figlio, non si capisce di chi, purché Fallo sia!... lasciamo perdere… Purtroppo, anche la Lemoine, che pure aveva scritto un bel libro “Il taglio femminile”, a questo bisogno femminile di Fallo ha l’aria di crederci!).  Ma, in conclusione, perché questo rapporto tra i sessi funzioni, che cosa ci vuole?
La Lemoine dice: “Dovrebbero rinunciare, lei ai suoi artifici, lui ai suoi eroismi”. E fin qui, d’accordo: le donne ci hanno già rinunciato e con gioia, agli “artifici”, e gli uomini, dal canto loro, da eroici tendono a diventare vittimisti… Però, la cosa non funziona lo stesso. Perché, chiarisce la psicoanalista, occorre “passare per la castrazione simbolica”.
Grazie, ma che vuol dire?

 

 

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