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UN PAZZARIELLO TRA RAGIONE E FOLLIA di Gianni Montesarchio

Quello che ci interessava per la rassegna del Teatro Stabile di Torino era un raccordo tra la figura storica del Pazzariello e il presente; si trattava di gettare un ponte tra tradizione e attualità.

Chi, come me, è nato e vissuto a lungo a Napoli ha un rapporto costante con la figura del Pazzariello: lo ha incontrato, accompagnato dalla sua banda, agli angoli delle strade, nei ristoranti, nelle ricorrenze festive più significative. Chi ha dimestichezza con questa maschera non si meraviglia e non si pone neanche domande. Incontrare la banda del Pazzariello a Napoli, specie in passato, era un po’ come imbattersi nelle autentiche posteggie al ristorante o nelle molte figure folkloristiche contestuali al tessuto cittadino.
Però oggi questa maschera, che gira ancora nelle serate estive tra i ristoranti del lungo mare, non porta più in giro la sua storia, la ragione della sua nascita, il suo specifico. Veicola solo il suo aspetto meno popolare e più populistico: l'aspetto che ormai rientra nel folklore da azienda di soggiorno anche se, nella sua generalità e nella immediatezza, continua a testimoniare comunque di una cultura. Quello che oggi ammiriamo per le strade è solo il contenitore del Pazzariello: il suo costume, la sua banda, il suo ritmo. Quello che il personaggio ha perso è il suo contenuto specifico. Dico “ammiriamo” perché, nonostante il degrado subito dal personaggio, resta innegabile il suo ruolo di testimonianza, quanto meno di memoria.
È questo aspetto del “Pazzariello contenitore” che abbiamo utilizzato a Torino all'interno di una esperienza di teatro totale come quella de Lo Psicodramma della Moreno (che tutti sanno chi è).
In verità il Pazzariello non nasce come intrattenitore o questuante, ma come figura di banditore popolare. Il suo stesso costume è l'esasperazione ironica ed iconoclastica della divisa del "banditore ufficiale": il personaggio che dava voce al potere diffondendo editti ed ordinanze governative in un momento storico in cui la viva voce era assai più efficace di scritte e affissioni. Quello del Pazzariello-banditore popolare è un giornale vivente non ufficiale né temuto come quello del banditore né strutturato in un ruolo statale. È un portavoce del popolo, giocoso e godibile, un intermezzo frivolo e più spesso ironico, richiamo all'attenzione e invito all'adunanza. Questo giornale vivente popolare a larga tiratura, come diremmo oggi, è qualcosa di molto vicino a Novella 2000 e molto lontano dal Sole 24 ore.
Questo ruolo di banditore popolare o giornale vivente, del Pazzariello ha la dignità e l'autorevolezza della maschera stigmatizzata e tramandata dal grande Antonio De Curtis nel film L'oro di Napoli di De Sica, tratto dal romanzo omonimo di Maretta.
Nel film Totò presenta l'aspetto più conosciuto e più tramandato del Pazzariello, quello pubblicitario: bardato di tutto punto, decorato in modo decisamente enfatico con in testa la classica feluca, un copricapo che fa tanto ammiraglio, Bonaparte o matto: un costume che è l'attenta commistione di segni di retorico rispetto e di splendido nonsense. Brandendo nella mano destra il bastone del mazziere, del ciambellano o del direttore di banda, il Pazzariello-Totò propone nella mano sinistra un mazzo di spaghetti che sono il segno, il simbolo di quanto va a pubblicizzare. Era prassi infatti che la diffusione delle notizie relative all'apertura di un nuovo esercizio commerciale o ad una svendita venisse affidata dal proprietario al Pazzariello che, con roboanti parole e musica assordante e martellante, diffondeva la notizia nei quartieri limitrofi chiamando la gente a raccolta ed invitandola a visitare il nuovo esercizio.


Questo è, come irrispettosamente diremmo oggi, il Pazzariello-spot pubblicitario, che Totò ha reso famoso, donando ad una figura storica lo spessore della sua indimenticabile interpretazione. Gironzolando per vicoli, strade e palazzi, era seguito da un codazzo di persone, per lo più ragazzi, poco attenti al contenuto dei versi imperiosi, ma attratti soprattutto dai colori, dalla musica e dall'aria di studiata eccitazione. Il Pazzariello finiva per avere anche una funzione di calamita, di imbonitore e incantatore simile al pifferaio magico di Hamelin.
Ma veniamo alla ragione che ci ha spinto a volere il Pazzariello nella rassegna di Torino su Pirandello e Moreno. Lo spunto ci è venuto dalla Premessa a Ciascuno a suo modo dove Pirandello invita a far iniziare lo spettacolo in piazza da alcuni strilloni che dovrebbero offrire al pubblico un giornale della sera. Sul quotidiano un finto articolo dovrebbe spiegare che la nuova commedia di Pirandello, che sta per essere rappresentata in quel teatro, è stata ispirata all'autore da una notizia della cronaca rosa-nera della città.
Raccolto questo invito con la massima serietà, abbiamo deciso di portarlo alle estreme conseguenze. Abbiamo reso lo strillone, interpretato dal bravissimo Enzo Scudellaro, un vero protagonista, facendolo portatore, nel ruolo del Pazzariello banditore, di un giornale vivente popolare. Le notizie però non sarebbero state quelle immaginate nel testo pirandelliano. Avremmo descritto le vere vicende della rassegna programmata dal Teatro Stabile: una serie di episodi di sapore agro-dolce accaduti durante l'organizzazione dello spettacolo. Episodi decisamente significativi del clima culturale della città e stranamente coincidenti con lo scandalo descritto nella commedia e con la difficoltà della Moreno a penetrare in teatro e conquistare la scena per stabilire la verità.
Il nostro sforzo mirava dunque a utilizzare il personaggio della tradizione napoletana in un ruolo a lui proprio, ma in un contesto inusuale come quello di Torino. Il Pazzariello usciva così dalla figura del semplice riproponitore di notizie, per diventare la maschera immortalata da Totò, quella del richiamo pubblicitario.
In una prima fase abbiamo chiamato il Pazzariello nelle strade di Torino a reclamizzare lo spettacolo richiamando l'attenzione sull'apertura del Carignano - un teatro antico per esperienza e per lustro - a nuovi contenuti e formule di comunicazione come quelli dello psicodramma. Sempre nel rispetto del personaggio, abbiamo enfatizzato tutti questi interventi per osservare, dalla nostra posizione di tecnici della comunicazione, le reazioni dei torinesi che, almeno per la strada, non avevano mai incontrato questa maschera partenopea.
E abbiamo osservato nei passanti di via Roma e piazza Castello reazioni stupefacenti e indimenticabili: ora divertite, ora attonite, ora stupite e stuporose, talvolta quasi di vergogna e repulsione.

Attenzione Popolazione
State Per Partecipare
Ad Una Grande Rappresentazione
Fatta In Onore Di Pirandello
Moreno E Tutta La Nazione
 

Fino All'Ultimo Momento
Doveva Rimanere Chiuso II Portone
Perché Era Uscito Pazzo II Padrone
E Aveva Tolto La Sovvenzione

Poi Si Sono Unite Le Associazioni
Hanno Faticato Senza Rimunerazione
Hanno Preparato Un Grande Copione
Ed Hanno Riaperto II Portone

Perciò II Popolo Torinese
Che È Bello E Assai Cortese
È Invitato Al Carignano
Per Batterci Le Mano

In un secondo momento la volontà di enfasi e sottolineature a forti tinte (che ci ha fatto scegliere le ore domenicali tipiche dello struscio torinese per proporre la figura del Pazzariello-pubblicità) ci ha suggerito un luogo carico di memorie significative per incorniciare quella del Pazzariello-giornale vivente.
Il prologo dello spettacolo si svolgeva fuori del teatro tra piazza Carignano e il balcone del Museo del Risorgimento che, da un lato è luogo di sacre e antiche memorie, dall'altro ricorda lo spalto di più vicini e non edificanti ricordi. In questo senso il balcone risorgimentale, da cui Ottavio Rosati ha fatto affacciare il Pazzariello-pifferaio, alludeva anche alla pericolosità di imbonitori ed incantatori più o meno mascherati.

Attenzione Battaglione
Dobbiamo Farvi Una Comunicazione
Da Sopra A Questo Balcone
 

Ci Siamo Tolti Una Grande Soddisfazione
Era Stato Chiuso Quel Portone
Per Mancanza Di Sovvenzione
Ma Dopo L'Insurrezione
Abbiamo Riaperto II Portone
E Stasera Anche La Popolazione
Può Salire Sul Tavolone

Attenzione Battaglione
Ora Scendo Da Questo Balcone
Vengo In Mezzo Alla Popolazione
E Do Inizio Alla Rappresentazione
In Onore Di Moreno Pirandello
E Di Tutta La Nazione

A questo punto occorreva avvicinare gli spettatori al baratro del palcoscenico psicodrammatico aperto a tutti come un pozzo senza fondo. Come ha ricordato Giuseppina Manin nella sua recensione, dopo che "il pubblico veniva invitato dalle maschere del foyer a prendere posto e accomodarsi...fuori, nella piazza antistante, il Pazzariello seguito dai tamburini ha guidato in fila indiana gli spettatori fin dentro il teatro, proprio come il Pifferaio di Hamelin" (v. "Pirandello, medico dei pazzi", Corriere della Sera, 17 sett. '86).
Era la dimostrazione in pieno stile moreniano, che dalla realtà psicodrammatica si può venire fuori più consapevoli, ritemprati, forse problematizzati ma arricchiti. Infatti non si tratta di un salto su una strada a doppia carreggiata e a doppio senso di marcia. Era questo l'obiettivo del nostro Pazzariello-pifferaio, incantatore sì, ma disposto a ritornare di nuovo nella realtà e a riportare gli spettatori o, se preferite, gli attori, dal mondo della rappresentazione a quello della realizzazione.
Veniamo al terzo momento: l'utilizzazione del nostro personaggio durante lo spettacolo in teatro.

Attenzione Battaglione
Che Succedeva In Questa Nazione
Mentre Andava In Scena
Questa Rappresentazione?
 

Certo C'Era Pirandello
Un Autore Molto Bello
Che Scrivette Le Novelle
E Vinse Pure II Premio Nobbelle

Era L'Anno Ventiquattro
Incominci Questo Atto

E più tardi, a proposito della presunta mancanza di spontaneità del pubblico torinese, invitato a salire sul palcoscenico:

Ma È O Vero Che Sta Pupulazione
È Morta E Senza Passione
Se Magna E Megl' Limone
E Se Caca Into Pantalone?
 

Oppure Sta Pupulazione
È Viva E Chiena E Animazione
E Saglie Fino Ncoppa O Tavolone?

Qui ritornava l'aspetto più popolaresco del Pazzariello dove la maschera invita al riso, come un provocatore benevolo che ha solo l'intenzione di colpire e sorprendere l'attenzione. Se per le strade composte di Torino, erano bastate la sua banda e il suo costume a fare impallidire o sorridere i passanti, sul tavolone del teatro il Pazzariello vestiva i panni del burlone, dell'elfo che induce alla tentazione, che stimola e provoca gli spettatori seduti passivamente in platea.


Il Pazzariello ci aiutava così a raccordare tra loro le parti: era un malizioso intrattenitore, tappabuchi, avanspettacolista, guitto, armato di versi pregnanti ma molto cantilenati ed elementari. In momenti di spettacolo non immediatamente intellegibili e decodificabili il Pazzariello rappresentava la previdibilità e l'alternativa. Questa specie di oggetto inidentificabile, piovuto dal cielo di Napoli su un territorio urbano come quello di Torino, finiva per essere l'amico conosciuto, immediatamente comprensibile.
Insomma il Pazzariello, in stile coerentemente moreniano e secondo una teatralità pirandelliana, costituiva uno strumento polivalente. Ci regalava un personaggio capace di interpretare, all'interno di uno stesso costume, una serie continua di ruoli: poteva essere ora stupido ora ironico, a tratti comprensibile e a volte di difficile lettura. Il personaggio era in grado di poter vestire nello stesso abito tutti questi aspetti e di cambiarli con duttilità, riconoscendosi e specchiandosi in ognuno di essi. Dimostrava che, proprio in questa capacità di entrare e di uscire da diverse rappresentazioni di sé, sta quella che Moreno indicava come sanità mentale.
Resta da dire che il Pazzariello è stato anche il frutto della collaborazione e della integrazione di un gruppo di lavoro, il risultato del connubio tra interprete teatrale, regista e trama. E, come rappresentazione del gruppo, ci ha permesso di mostrare come si lavora in termini di comunicazione. È stato infine quello che si definisce l'elastico tra gruppo ed individuo, due poli che, rimandandosi l'un l'altro in termini di figura sfondo, costituiscono la base del lavoro di équipe.
Alla fine la maschera del Pazzariello, partita da Napoli già ricca di spunti e tradizione, è tornata da Torino rivivificata da un confronto e da una esperienza nuovi. Portava con sé una medaglia in più da attaccare sul tight sgargiante: sintesi di teatro e psicodramma, rappresentazione e vita.
Resta da dire qualcosa sul rapporto tra il Pazzariello e altri personaggi napoletani presenti in teatro.
Come abbiamo detto, la messa in scena della commedia nasceva dalla combinazione di scene a soggetto e scene tratte dal testo di Pirandello. Facciamo un esempio: nella scena d'apertura un signore attento e abbottonato evita di rispondere alle domande incalzanti di un giovanotto ansioso che vorrebbe far luce sullo scandalo di cui parla la commedia. Il ragazzo vorrebbe sentirsi dire dal signore, se non la verità, almeno il suo parere, ma l'altro evita di esporsi.
Il testo originale di questa scena (interpretato dall'ineffabile Piero Ferrero, che nel suo articolo racconta la sua esperienza di critico passato al ruolo di attore) era seguito dal doppio partenopeo della stessa scena. Questo in omaggio alla spontaneità dello psicodramma e anche alla misteriosa messa in scena napoletana di Ciascuno a suo modo avvenuta nel 1928 con Marta Abba e Lamberto Picasso di cui parla Squarzina nella sua intervista.
Stavolta però la scena era recitata a soggetto e gli interpreti diventavano tre: un Totò, un Viviani, un Eduardo.
Il Totò (quello di San Giovanni Decollato) l'abbiamo voluto in platea, in mezzo al pubblico, a stretto contatto con gli spettatori. È il personaggio più popolare, più vicino anche in termini di risonanza, non solo più conosciuto, ma anche più introiettato, più diretto,


da sempre noto. Espressione di piccolezze, di tic, di miseria e furbizia quotidiana, ma anche di grandezze, di slanci, di fantastica follia. Totò è di tutti: non è il principe De Curtis ma un personaggio popolare e quindi lo abbiamo voluto in platea con tutti.
In un palchetto stava invece il giovane Viviani: esuberante, ridondante, conoscitore della tradizione napoletana, ma anche ammodernatore di schemi teatrali, brechtiano ante litteram. Viviani è il più vicino alla verità del contesto che esprime, ma non è così conosciuto, né così immediatamente decodificabile. Per questo era collocato in alto, nel palco di secondo ordine.
Il terzo napoletano è naturalmente un Eduardo che abbiamo voluto sulla scena, sul "tavolone", incorniciato dal sipario: grande e solo. Eduardo è l'uomo di teatro, colui che mette in scena, si spiega al pubblico e si rivolge ai diversi da sé seduti in platea.
In sintesi: Eduardo è il teatro, Viviani è nel teatro ma Totò è al di là del teatro. Oltre il teatro, cioè nello psicodramma.
Perciò se in questa serata Pirandello e Moreno si sono incontrati, lo psicodramma ha incontrato anche Totò. Purtroppo non è mai accaduto il contrario, ma questo rapporto vorremmo approfondirlo in futuro. Per ora nella serata torinese in onore di Pirandello e di Moreno il personaggio Totò ha fatto solo capolino anche se è stato accolto a pieno titolo.
Al Carignano la sua voce è rimasta contenuta. Il suo nome, non apparso in cartellone, è però aleggiato, penetrando dovunque. Per dirla con un detto napoletano, Totò è trasuto e spighetta e s'è miso e chiatto: è entrato in punta di piedi ma s'è messo comodo, s'è preso, con comodo, tutto il suo spazio.

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