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LA SCACCHIERA E IL VIDEOPLAY

 
Il repertorio di action-figures della scacchiera 

La Scacchiera è un metodo di immaginazione attiva da tavolo che fa parte del Teatro del Tempo, la versione high tech del Beacon Theatre di Moreno che, a partire dagli anni Ottanta abbiamo immaginato alla Scuola Ipod insieme a Fernanda Pivano e Aldo Carotenuto.
Gli elementi base di questo setting sono due: l'assemblaggo delle immagini calate nella materia in forma di giocattoli mobili e l'elaborazione della Luce per evocare emozioni e stati d'animo indicibili a parole o meglio: dicibili ma con scarsa efficacia. L'apparato di proiezioni su piccoli e grandi schermi si giova anche di puntatori laser con cui sia il paziente che l'analista possono indicare gli elementi significativi della scena. Questa tecnica nasce dallo studio del maestro Josep Svoboda (1920-2002), lo scenografo praghese direttore della Laterna Magika di cui per anni ho seguito (anche dietro le quinte) il lavoro in Italia e all'estero, come critico lirico per l'agenzia giornalistica AGL, uno dei ruoli professionali che hanno più contribuito alla mia formazione di regista e scenografo di spazi terapeutici. Uno dei contributi più importanti di Svoboda alla scenografia del Novecento è l'utiizzo del controluce per cui mise a punto uno speciale riflettore che è entrato a far parte dell'illuminotecnica ed è chiamato col suo nome. 

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Il lavoro artigianale di Sboboda, fatto quasi sempre di strumenti semplicissimi, mi ha rivelato che la combinatoria di proiezioni e retroproiezioni di luci, diapositive e film sul palcoscenico corrisponde al gioco di transfert e controtransfert nella psicoanalisi. Così ho iniziato a spostare la stessa parola 'proiezione' sulla linea di confine tra il conflitto e la sua rappresentazione scenico-terapeutica. Questa prroposta fa parte di una concezione dello psicoplay e del socioplay che ai classici quattro operatori terapautici definiti da Claude Loren (ermeneutico, di incitamento, mimetico, e di confronto,) ne aggiunge un quinto che potremmo chiamare operatore scenico-immaginale.                                          

Pupazzi?

Prima di tutto non sono sicuro che sia giusto chiamarli così. Per qualcuno sono figure, per qualcun altro modelli o statuine. Un nome proprio giusto non c’è. Preferisco chiamarli di volta in volta col nome che aderisce allo stato d’animo e alla funzione del momento. In certi casi  dico personaggi. Uso anche il verbo pupazzare. il primo a riempire la scrivania e gli scaffali del suo studio di statuine fu Freud, collezionista di reperti archeologici che colpivano i pazienti ma non facevano parte del lavoro analitico, come ricorda la poetessa Hilda Doolittle nel suo libro I segni sul muro.
Mi riferisco a una raccolta di modellini di resina e gomma che, in media e con poche eccezioni, hanno l’altezza del dito di un adulto. L’altezza e la materia costituiscono il primo criterio di selezione. Escludo le figure di piombo, prima di tutto perché sono care (un personaggio di piombo costa come otto di resina) e poi perché non sono fantasiose. Di piombo sono fatte centinaia, anzi migliaia di arcieri, fucilieri e condottieri, delizia di collezionisti. Ma il collezionismo è più anale che analitico. Sono invece utili i personaggi della fiction di tutti i tempi e i paesi, dal presepe, ai characters della Disney e della Pixar in cui si dispiega la fantasia, la paura e la tenerezza dell’inconscio collettivo in cui siamo nati. Dai modelli realistici di bambini e adulti, prodotti dalle ditte di giocattoli fino alle edizioni 3d di characters provenienti dai comics, dalla televisione e dai film.

La raccolta di pupazzi serve a migliorare il lavoro psicoanalitico e di gruppo. Poiché l’inconscio vive di immagini, il ricorso alle figure permette di comunicare le immagini non solo con le parole ma scendendo, anzi salendo, sul suo stesso terreno. Non sto dicendo che, nel corso della seduta, le parole e il pensiero passino in seconda linea o che la seduta si trasformi in un gioco immaginale e silenzioso a metà strada tra una partita a scacchi winnicottiana e un tiro all’arco zen su un bersaglio lacaniano. Tutt’altro.
Il pupazzo vuole essere agito, doppiato, guardato, spostato e commentato. Solo la combinazione di parole e immagini riesce a creare, in entrata e in uscita, un nuovo linguaggio psicoanalitico che può avere un effetto miracoloso. Almeno per alcuni analisti e pazienti e in certe situazioni.
Mi spiego subito con un primo esempio. Premetto, una volta per tutte, che per narrare questo caso clinico e gli altri, ridurrò al minimo la descrizione del problema, del trattamento e dei modelli teorici alla base delle interpretazioni. Il rischio di essere accusato di superficialità mi sembra preferibile a quello di annegare in un lago di dissertazioni teoriche, a conferma dell'idea che l’analista è un bravo terapeuta solo perché ha letto tutti i libri. Chi ha dimestichezza con i testi che appoggiano le interpretazioni analitiche saprà leggere la loro presenza tra le righe. Gli altri faranno bene a sospettarla e sono invitati a leggere i grandi autori e i miti. Senza di loro, il gioco sarà vuoto e deprimente come le commedie di entertainment o un programma televisivo acchiappa-audience. La psiche profonda resterà fuori portata e i modellini saranno insulsi e privi di vita. Avreste speso tempo e soldi per niente.

ROTTURA

Stefano, avvocato cinquantenne, porta in seduta l’ennesimo litigio con la moglie Giovanna un ex bellezza petulante e psicosomatica (un tempo di sarebbe detta isterica). Per dare un’idea del legame basta riferire la convinzione di Giovanna, solo da poco superata, che la loro bambina, nata in un Ashram Indiano, fosse un vero miracolo e figlia di Sai Baba, anziché del padre. Stefano mi riferisce gli ha detto “Se un giorno me ne andrò, tu finirai per renderti conto di cosa ti ha fatto tua madre e la uccideresti. Ė terribile. Quando ci penso mi scoppia la testa.” Lui non reagisce. No, mai. Mi ritiro, dice, cerco di estraniarmi. Dopo aver deplorato la frase e le sue implicazioni suggestive e narcisistiche, ho l’impressione che S. perda tempo e si compiaccia della mia allenaza. Lo invito a raffigurare la scena coi pupazzi.

Sceglie il quadro

Commento che è una raffigurazione molto povera avendo a disposizione tante cose ma lui sorride e tace. Gli faccio notare che comunque ha scelto Klark Kent con Luisa Lane. Lei non ha tutti torti a sentirsi presa in giro. Kent ha un’identità segreta, tiene un segreto. Vive isolato nel suo eessere doppio. Tra il silenzio di lui e le provocazioni di lei si stabilisce un giro vizioso.

Scegli tua madre, dico e vado a prendere una campana di vetro per raffigfuare l’isolamento del pernaggio davanti a Lane.

Nel momento stesso in cui la metto sul tavolo, S. prende per madre un pupazzo uomo che cammina isolato col suo fagotto.

Scelgo un repertorio di donne madrio per contrapporle e fargli notare la stranezza della scela. Dice che lui avrebbe preso quella col vestito azzurro.

Di che colore è la sacca? Domando.

Azzurro, come la madre. Risponde.

Osservo che sia la madre che la moglie con cui vuole rompere sono una madre interna, la bolla in cui si isola.

In un primo momento non capisce anche se sembra molto colpito e curioso. Gli mostro l’immagine sfiorando la campana col laser. Gli si illuminano gli occhi e bisbiglia “Ah, ho capito.”

Amici pupazzi

Certe mattine, al risveglio mi sveglio quando scendo in cucina e preparo il caffè, mi piace guardare i pupazzi che abitano nello studio. Ho un bisogno quasi fisico di dare un’occhiata alle famiglie che crescono.  Per molti anni in cui ho lottato perché la mia famiglia rispettasse la mia individuazione e il mio potere intrinseco, ho gridato “Non sono un pupazzo”. Amando i miei pupazzi ho capito di rispettarli più di quanto io mi sia sentito rispettare. Ognuno di loro è se stssso. Non gli farei mai fare quello che non è nella sua natura. Io sono, il Sé  è nella globalità dei pupazzi, ognuno dei quali difende la dignità e la bellezza dell’altro. Quella goccia di creatività che il loro autore ha espresso nel creare un character. Così sono partito dalla mancanza di rispetto per sentirmi trattare come un pupazzo e sono arrivato ai diritti dei pupazzi.
Mi sono anche posto il problema di creare un pupazzo e l’ho posto anche ai miei allievi come un punto centrale della nostra ricerca. Creare il pupazzo con le notre mani ridimensiona il demone anale del collezionismo.

Come fotografare le scacchiere

Collocare intorno alla scacchiera uno sfondo-panorama colorato dà alla composizione una forza un po’ angosciosa e soffocante. È come se facesse sentire intrappolati in quadro metafisico, senza via d’uscita. Lo trovo davvero terribile non solo esteticamente ma anche dal punto di vista terapeutico e concettuale. Si potrebbe provare col velluto nero che apre sull’infinito. Forse sarebbe diverso, ma ne dubito. Oggi comunque farò rivestire i tre pannelli di velluto nero e farò la prova.

Una soluzione sarebbe quella di lasciare lo sfondo aperto, lungo, popolato di figure misteriose “in albedo”, un po’ come nel mio studio dove la scacchiera sta al centro della stanza. Bisogna evitare, nelle foto, di collocare la scacchiera davanti a pareti da appartamento normale (magari con tanto di interruttore della luce!) che fanno da barriera e rendono tutto piatto.

Lo stesso problema mi si pose sul set di  Da Storia nasce Storia: il regista aveva preparato un panorama nero con sopra delle caccole ritagliate nel legno colorato. Pessimo. Sostituendo le piccole caccole con grandi sculture o sagome imbottite (che tirai fuori, a costo zero, dai magazzini del teatro) ottenni una dimensione 3D assai bella. C’è pure da dire che, persino sullo sfondo e pesino sfocata, una figura artistica disegnata da Luzzati irradia forza alla psiche. Nel caso delle scacchiere il corrispettivo dei Luzzatini sono i pupazzi di vari autori…

Abbiamo dunque due risorse:

la luce,

la sfocatura dello sfondo che, pur presente, non dovrebbe essere troppo intrusivo. Su questo non ho le idee chiare e conto su di te. Per esempio, come si fa a sfocare lo sfondo se si usa la macro? 

Ci sarebbe poi un livello che non era ancora disponibile, quando il Paolo Aite ha pubblicato da Boringhieri “Paesaggi della psiche” (il libro sulla Sand Box, con foto che invece di illuminare il testo splendido, e le sabbie eccezionali citate da Aite, li spengono). È quello dell’elaborazione delle foto in Photoshop. Tu che dici? Quali sono gli effetti utili e i limiti dell’elaborazione dello sfondo, magari in blue screen?

Come sai, si può fare molto. Persino applicare tecniche di compositing con paesaggi o altro. C’è però il rischio di andarsi a inciucciare con problemi che prendono troppo tempo e fatica e che sono fuori posto in questo lavoro, anche da un punto di vista “produttivo”. Si tratta di un libro, non di un film! Non credi? Dico così perché ho visto l’impegno che richiede a chi ci lavora e questo diletto può davvero essere una trappola dilettantesca… il mio emisfero destro a volte si sgancia dal sinistro e mi tocca di mettere insieme i due fratellini. 

Dettagli di una scacchiera che Ottavio Rosati ha realizzato con uno dei solidi di Leonardo da Vinci durante un'immaginazione attiva sul doc "Generazioni d'amore".
Per la storia intregrale vai alla quarta parte dell'ipertesto Quattro decenni di plays

 
NASCITA DELLA SCACCHIERA 

A Roma, il 27 febbraio 1986 , dopo un incontro organizzato da Ubaldini e dal Teatro di Roma al Flaiano, Fernanda Pivano alla Kasbah ha l'idea di festeggiare il libro di Moreno invitando gli amici dello psicodramma intorno a una Torta Morena con creme ispirate al pensiero di Freud, Jung, Klein, Lacan e Winnicott. 
Hai rivalutato il genio di Moreno, dice lei. Gli altri autori sono solo il contorno. Adesso rilassati per l'amor di Dio che sennò ti viene un infarto. La vuoi una fetta di torta, tesoro?
.
Osservando la Torta Morena con l’alternanza di due colori, mi arrivò l'intuizione di una nuova tecnica psicodrammatica senza gruppo che avrei messo a punto nel corso di 30 anni e che dal 2005 sarebbe stata portata avanti di primi allievi di Ipod: La Scacchiera.

 

La Scacchiera è uno 'psicodramma da tavolo, a due dove il paziente-protagonista può rappresentare i suoi giochi di ruolo tra conscio e inconscio muovendo sulla scacchiera decine di personaggi in cerca d'autore: Disney, Pixar, Looney Tunes, Mijazaky, Tex Willer, Peanuts, Anime giapponesi, Cartoons europei, Divinità orientali, Santi cattolici, figure del presepe, dittatori, danzatrici, musicisti, protagonisti di film e serie TV, maghi, streghe, folletti, Star di Hollywood, Villains vari, operai, pompieri, sodatini (pochissimi), calciatori, musicisti, riproduzioni di celebri sculture, animali, animali, animali, mostri, Super Eroi etc.
Quasi nessun oggetto, a differenza della Sand Box della Kalf.

 

Le miniature funzionano come scacchi da muovere tra ascisse e ordinate su una base rigida e numerata anziché morbida e informe come quella della sabbia. La Pivano negli anni Ottanta contribuisce alla nascita della Scacchiera portando a Roma decine di statuine acquistate durante i suoi viaggi. La prima però è semplicemente quella di un fantasma trovato in un negozio di Milano. Il classico fantasma fatto di un lenzuolone bianco con due buchi all’altezza degli occhi. Ghostbusters. Anche per questo, nel 2001, quando realizzai con Cinecittà Holding il DVD Fantasmi su Moreno e Pirandello con Leo Gullotta, lo aprii con la dedica: A Fernanda per i fantasmi che abbiamo visto insieme.

Clicca qui per la playlist Fantasmi sul canale ipodplays di Youtube

La Scacchiera può far parte anche del setting di uno psicodramma o di un sociodramma. La sua prima importante tournée ha avuto luogo nel 2005 col sociodramma del Parents Circle di Tel Avi Il Piombo e l’Oro del Perdono che ho diretto a Roma a Villa Piccolomini per il Ministero degli Esteri. La Scacchiera si è rivelata utile anche in gruppi di formazione (cioè senza finalità analitiche o terapeutiche) come quelli che ho gestito per due anni alla Ferrari di Maranello per piloti e ingegneri della fabbrica, in un coaching che sfiorava l’ambito analitico e terapeutico ma non lo toccava. Va detto che la Scacchiera ha le potenzialità di un raggio laser. In alcuni contesti la utilizzo come un piumino per la polvere perché, partendo dall’analisi della domanda, è chiaro che non ha niente a che fare con l’inconscio o il processo di individuazione ma solo con il lavoro.

 

clicca qui per il video del sociodramma con l'uso della scacchiera

 

Il Videoplay è un'estensione della Scacchiera con varie funzioni analitiche e terapeutiche e, a grandi linee, avviene in vari atti. Uno: il paziente concretizza metafore dei suoi oggetti interni grazie ai modellini. Due: l'analista fa le sue interpretazioni. Tre: le amplifica e le concretizza con giochi di specchi e luci. Quattro: propone al paziente di fotografarli e/o inquadrarli realizzando dei piani sequenza col suo smart-phone.

 

Il Videoplay è un giocattolo terapeutico (ispirato alle teorie sulla funzione riflessiva di Fonagy e Target) dove l'analista opera, come uno scenografo, attraverso una serie di piccole luci e puntatori laser su diverse quinte mobili fatte di specchi unidirezionali. Davanti e dietro al primo vetro-specchio il paziente colloca delle miniature corrispondenti a se stesso e alla persona con cui sente di avere dei problemi: caregiver, coniuge, amante... Il gioco delle luci aiuta il paziente a fare una serie di scoperte e insight. L'ho inventato nel 2016 ma in un certo senso direi che è emerso da solo come un logico sviluppo della scacchiera.

 

 

Il censimento del maggio 2020 ha registrato 2.800 (duemila e ottocento) characters circondati da piccoli volumi di legno con magneti, specchi unidirezionali, luci e puntatori laser. E' diventato sempre più importante articolare le scacchiere con architetture che si sviluppano in altezza su vari piani e diversi generi di musica e luci. Come nel lavoro del grande scenografo praghese Josef Svoboda.

 

Da regista, oltre che psicodrammatista, ho capito che la Scacchiera sta al Cinema come lo Psicodramma al Teatro: al polo opposto. Supera l'alienazione e la passività inconscia degli spettatori. Mette lo Star System e il mondo dei sogni al servizio di un singolo soggetto che può diventare un po' più autore e regista del suo destino. Come tecnica richiede la presenza dell'analista e soprattutto cultura, coraggio e intelligenza di cui non tutti i pazienti sono dotati. Come approccio è molto più europeo che americano. Richiede cura, tempo e attenzione. Pensate a un vestito su misura, anziché confezionato e in vendita on line come certi psico-gadget alla Joe Dispenza. Che, paradossalmente, sono anche costosi. Come un pop corn di lusso. 

 

 

Dialogo sulla scacchiera tra Ottavio Rosati e Francesco Marzano

Francesco: Ottavio, cosa hanno in comune una donna con un burka nero, due cigni e una ballerina?
Ottavio: Un paziente. Un paziente che fa fatica a disegnare e dipingere e pure a cercare storie d’amore. L’immagine nasce nel corso di una seduta arrivata ad un punto morto. Il paziente, Bob (nome di copertura), non sapeva spiegare o descrivere il suo blocco e io mi accorsi che i miei occhi fuggendo sugli scaffali, avevano inquadrato la donna col burka e il cigno trasparente. Così li tirai fuori per poggiarli sulla scacchiera (un’azione eretica, ovviamente) e feci notare al paziente che questa era una mia associazione inconscia al suo discorso inconscio.
F: Ma si può dire che questo tuo atto era un’interpretazione?
O: Sì e no, perché non era data a parole ma attraverso le immagini. Forse era solo un modo di avviare un dialogo. Tu che sei agli inizi non dovresti mai fare una cosa così.
F: Si può dire che questo ha a che fare con l’uso della reverie dell’analista di cui parla Thomas Ogden come comunicazione da inconscio a inconscio?
O: Perfettamente. Bravo. La teoria è quella. La tecnica è la scacchiera che è un piano d’incontro immaginario terzo.
F: Un gioco?
O: Un gioco, sì, che ridà importanza alle parole dopo che l’avevano persa.
F: A questo punto, cosa ha detto il paziente?
O: Secondo te?
F: Ha detto “Perché?”
O: Proprio così.
F: E tu cosa hai risposto?
O: Che il cigno di cristallo, fragile e invisibile, era nascosto e protetto dentro la donna in burqa. Per evitare brutte sorprese e traumi.
F: Quindi, la donna in burqa rappresenta un apparato difensivo?
O: Sì.
F: Le altre figure invece? La ballerina e l’altro cigno con i piccoli cigni addosso?
O: Sono emerse dopo nella conversazione: la parte cigno in carne e ossa del paziente era stata traumatizzata anni prima, da un personaggio perverso e seduttivo che lo aveva sedotto, manipolato e abbandonato. E questo è stato il paziente stesso a dirlo davanti alla scacchiera.
F: E la ballerina?
O: La ballerina, associata al lago dei cigni, contrasta col personaggio seduttore che (credendosi originale, povero idiota) si vestiva da cigno nero nelle sue performances da quattro soldi.
F: Il colore nero richiama quindi una parte in ombra del seduttore che è stata interiorizzata dal paziente. 
O: Benissimo. Non diciamo altro. Che le immagini parlino da sole. Mi domando fino a che punto, anche nelle relazioni quotidiane, rischiamo di venire “infettati” dall’ombra dell’altro. Il gioco della scacchiera può essere un antidoto? Di chi è colpa se oggi ho messo una Lacoste azzurra?

Miss Piggy

Questa sempice e piccola scacchiera commenta un sogno fatto da Mina, una mia giovane paziente bella e inteligente, che attraversa un momento felice della sua vita. Mina è riuscita da poco ad allontanarsi da casa dei genitori dove ha sempre vissuto una faticosa situazione di vischiosità colpevolizzante, soprattutto con la madre, una donna ansiosa e poco soddisfatta che la soffoca e la controlla.
Mina è abituata a svolgere lavori sotto qualificati e sotto pagati ma, dopo un anno di analisi, riesce a chiudere un vecchio rapporto affettivo ormai svuotato di sentimento e a trasferirsi a Roma dal Sud Italia, sia pure con tante paure e col dubbio che non riuscirà a sistemarsi.
Dopo una settimana nella capitale, la ragazza si ritrova a dover scegliere tra diverse proposte di lavoro e si sente felice per aver trovato una stanza deliziosa in una via gradevole, piena di alberi e luce. 
Durante questo gradevole momento, Mina vive un’esperienza sconcertante con la sorella più piccola (Daria) che da anni vive in una città del nord dove si è laureata e dove convive con una compagna, femminile e bionda (come Mina), alla quale sembra molto legata. Questo rapporto omosessuale ha scatenato le ire della madre in seguito alle quali Daria ha minacciato di buttarsi giù dalla finestra. 
All'inizio della seduta la paziente mi racconta un episodio sconcertante: durante la festa per la laurea della sorella, Mina stava brindando insieme ad un uomo quando Daria si è avvicinata e, senza alcuna ragione, le ha scaraventato via il bicchiere. Nello stesso periodo, Daria, aveva svalutato e offeso gli studi di psicologia di Mina definendo i video di certi psicodrammi come “farse” e svalutando i colleghi e gli insegnanti come persone inaffidabili.
Sulla scacchiera propongo a Mina di rappresentare il rapporto tra lei, la sorella e i genitori. La conversazione seguente avviene tra me (O.) Mina e il dr. Francesco Marzano (F.) che cura questa serie di interviste sulla scacchiera.

 

Per quel che riguarda le figure sulla scacchiera, il fenicottero rosa rappresenta l'immagine che Mina ha di sé stessa. Miss Piggy dei Muppets invece è Mina come si sente vista dalla sorella (“una maialina svampita”). La sorella invece è Dumbo. La madre è la donna dietro lìaltare a occhi chusi. Il padre è Orso dal cartone "Masha e Orso". Ed ecco i nostri commenti:

F: “Prima di tutto, quello non è Dumbo!”.

O: “Ah no?”

M: “No. Quello è l’elefante del Libro della giungla”

F: “Invece sì! È l’elefantino amico di Tarzan.”

O: “E che differenza fa?”

F: “Dumbo è un elefantino da circo che alla fine vola. Quello di Tarzan è libero, innanzitutto. E’ più legato al maschile (Dumbo soffre per il distacco da sua madre). Inoltre, la madre e il fenicottero sono gli unici personaggi reali, mentre gli altri sono di fiction. In più, il papà Orso e l’elefantino sono entrambi mammiferi”

O: "Hai ragione. Bravo!"

(Mina ride eccitata ad ogni commento.)

O: “Mi sembra evidente che tua sorella vede la tua femminilità come qualcosa di buffo e pure maialesco. Potremmo ipotizzare che la invidi dal momento che lei si sente molto più con i piedi per terra e si attribuisce la caratteristica fallica della proboscide.”

M: “Infatti, la sua ragazza è femminile ed ha i capelli biondi.”

F: “Come te! Quindi lei sente di essere omologata a vostro padre, non a vostra madre. Nella scacchiera l’hai messa sulla stessa linea di lui, mentre tu sei in quella della madre. Inoltre, il colore marrone dell’elefante è lo stesso dell’Orso, mentre tu hai il colore rosa di tua madre.”

M: “Quando Daria è aggressiva con me senza ragione mi dispiace.”

O: “Dovresti dire che è spiacevole, non che ti dispiace! Altrimenti continui a sentire vergogna per le cose vergognose che ti fanno gli altri.”

M: “Giusto ma io non me ne accorgo.”

F: “Però, grazie alla scacchiera puoi accorgerti che non te ne accorgi. E puoi anche vedere che, mentre tu dai un’immagine affettuosa di Daria, lei ha un’immagine ridicolizzata di te. Invidia la tua collocazione femminile. Comunque Mina ha un’immagine di come Daria ha un’immagine, mentre la madre non vede nessuna delle due. Un’altra cosa è che il padre rimanda alla madre col braccio sinistro, ma lei ha gli occhi chiusi. Ti faccio vedere un'alternativa più ragionevole…”

O. ristruttura la scacchiera spostando le figure.

Eliminata Miss Piggy, papà Orso diventa finalmente un mediatore fra la madre e le figlie e invita con il braccio la madre a guardare in faccia le figlie anziché narcisticamente stare a occhi chiusi.
Naturalmente ci sono molti altri modi per ristrutturare questa scacchiera, ma al momento questa per Mina sembra una situazione migliore di quella di partenza. Almeno per cominciare. Mina infatti sembra soddisfatta.

 

M'ama non mamma

Ireneo è un scapolo sui cinquanta anni, insegnante in un istituto tecnico, gay, che ha sempre vissuto da solo in un piccolo ma elegante appartamento. E’ entrato in analisi per superare la sua fragilità sentimentale ed è riuscito ad essere più assertivo nel lavoro e negli affetti. Nella prima fase dell’analisi è riuscito a differenziarsi da sua madre, a non imitarla, a non collaborare con lei nei pranzi di famiglia nel ruolo di vice-cuoca e vice-padrona di casa. Dopo una relazione molto deludente con un uomo più giovane di lui che lo ha ingannato lasciandolo amareggiato, Ireneo non è più riuscito, nonostante la sua avvenenza, ad avere storie significative e ha quasi smesso di cercarle. Ha però molto consolidato la sua identità maschile. Ad esempio, negli ultimi tempi ha saputo difendere il suo ruolo e i suoi desideri nella ristrutturazione di una grande villa di campagna che la madre ha donato a lui e ai suoi due fratelli sposati e con figli. Il paziente impara a non farsi imbrogliare con preventivi pompati dagli artigiani che lavorano per la casa. Da un po’ di tempo sogna poco ma porta a questa seduta due sogni.

 

        

Nel primo sogno è con la madre, in una versione molto benevola, che lo rassicura sul suo problema: stabilire l’identità di un personaggio misterioso.
Per rappresentare se stesso, Ireneo prende Sherlock Holmes. Per la madre prende una statuina a due del presepe dove una contadina, in modo dolce ma anche sicuro, tiene per le mani un bambino davanti a sé…

F: La madre spinge il bambino in avanti, vero?.

O: Sì, lo aiuta a prendere le distanze da lei, restando però alle sue spalle come un porto sicuro.

F: Nel sogno devono cercare un personaggio misterioso che non c’è. Che si fa in questi casi? Lo mettiamo o no?

O: Direi di sì. In parte perché questa immagine nel sogno è comunque presente. E in parte perché scegliendo una figura dagli scaffali il paziente farà un passo avanti nella definizione del personaggio misterioso. Sarà un po’ meno misterioso. Dopo un lungo intervallo di tempo, Ireneo sceglie una figura “dark” (tratta da Il Signore degli Anelli): un uomo completamente invisibile sotto una lunga cappa nera che brandisce una spada di ferro. La quintessenza dell’aggressività. Durante l’intervallo necessario a trovare la figura, io come analista sono scivolato in una sorta di torpore dal quale è emerso un sogno ad occhi aperti in cui immaginavo di riscattarmi da una mia recente impresa che mi ha dato filo da torcere.

F: In che senso?

O: Nel senso che, pur avendo vinto l'impresa sul piano di realtà, non ne ho ricavato tutta la felicità e la possibilità di esprimermi con gli altri che mi ero ripromesso. Fatto sta che, mentre Ireneo cerca il pupazzo misterioso, io faccio una fantasia in cui ribalto i ruoli con la persona che mi ha bloccato e la trasformo nel personaggio di una nuova impresa da cui nascono delle fotografie artistiche che raccontano l’intera storia. Sono molto soddisfatto. Mi sembra che sia tutto reale e a portata di mano.

F: Perché credi che questo tuo sogno a occhi aperti sia intervenuto durante la scacchiera di lui? Una comunicazione da inconscio a inconscio? Forse la vivacità della tua rêverie si riferisce a una parte della psiche inconscia di Ireneo che per lui al momento è inaccessibile?

O: Sì, proprio così. Nel frattempo Ireneo trova il personaggio in nero e lo colloca sulla scacchiera. Lo mette rivolto verso di me.

F: Non verso Ireneo e la madre?

O: No. E’ chiaro che l'uomo in nero non guarda loro: altrimenti non sarebbe misterioso. Guarda l’analista da cui vuole essere visto e lo fa dando le spalle a madre e figlio perché lui si muove verso il mondo. E’ la parte aggressiva del bambino che la madre contadina manda verso il mondo. Ha la stessa direzione. Si muove in fuori.

F: Cosa succede dopo la scacchiera?

O: Ireneo rimane intontito e silenzioso mentre io mi sento attivato e quasi riconoscente per il mio sogno ad occhi aperti.

F: E poi?

O: Nel secondo sogno Ireneo si trova sempre in compagnia della madre mentre assapora uno squisito piatto di polpo lesso che, anziché essere duro, è morbido come il pane. Per la scacchiera di questo secondo sogno, Ireneo mette al posto della madre, due tende vuote degli indiani Sioux collegate alla versione ologramma del Maestro di Anakin Skywalker creando un insieme dal punto di vista cromatico e ben composto. Per se stesso sceglie una figura mai usata prima da nessun paziente e tratta dalla serie dei fumetti italiani “Tex”: il “Sacro figlio del Sole”, un vegliardo in tunica seduto su un trono.

      

F: E il polpo?

O: Per il polpo prende una figura estremamente bizzarra, anche questa mai usata prima da nessuno. Una divinità Maya piatta di colore marrone.

F: Infatti è piatta come un biscotto.

O: Un biscotto di cioccolata con i canditi. Friabile, morbido. Altro che polpo!

F: Ovvio! Il polpo in questo secondo sogno è morbido e lo gusta con la madre perché è “conquistato”: ciò è possibile grazie alla prima parte del sogno dove la madre lo accompagna ad andare avanti, anziché tenerlo legato a sé.

O: Infatti, sì. Ireneo, anni prima, aveva un atteggiamento e uno stile molto femminile: nei pranzi di famiglia, si poneva come un doppio di sua madre: cucinava con lei, apparecchiava con lei, lavava i piatti con lei e al posto di lei. Salvo poi lamentarsi dell'egoismo delle mogli dei fratelli che non avevano mosso un dito.

F: Durante le sedute...

O: Certo. Non davanti a loro. Tutto questo è cambiato e ha fatto sì che le mogli dei fratelli ora collaborano attivamente alle cene di Natale e Pasqua mentre Ireneo rimane seduto a tavola come i fratelli.

F: Le femministe avrebbero da ridire...

O: Capisco ma il mio punto di vista è un po' viziato... Anche nel lavoro, si comporta in modo adulto, come i fratelli maschi. Per esempio ha rimproverato un tecnico assenteista ed è riuscito a fare luce su un vecchio conto in sospeso.

F: Questa situazione mi ricorda l’emancipazione del protagonista del film “Guillaume e i ragazzi a tavola” di Guillaume Gallienne dove un ragazzo della buona borghesia francese, da gay frustrato e inibito (come in “Prayers for Bobby”) diventa un uomo gay realizzato e trova anche una donna.

O: Dunque, le gioie della bisessualità. Non si priva di niente! Buon per lui!

F: Comunque a me alcune cose della scacchiera non sono chiare. Per esempio, che la madre sia rappresentata dalle tende degli indiani e dal Maestro evanescente che gli sta davanti.

O: A me quelle gradevoli tende aperte e custodi hanno fatto pensare ad una funzione di contenimento da cui il Maestro poteva allontanarsi sapendo che poteva rientrare: l’evoluzione della statuina del Presepe con la madre e il bambino. Naturalmente la mia lettura è soggettiva e suscettibile di critiche o di obiezioni. Non manca di una sua logica, ma so che è discutibile. La scacchiera non è più soggettiva o “artistica” del costrutto teoretico offerto da un analista tradizionale. I due livelli sono identici nell’essere ugualmente opinabili e relativi.

F: Anzi, la scacchiera essendo figurativa ed artistica ha un po’ più i piedi per terra perché, se non altro, si costruisce su delle libere associazioni e delle libere letture che sono sotto gli occhi di tutti e possono essere fotografate.

O: Sì, è evidente che un altro analista vedrebbe in quelle tende e in quel Maestro altri significati e avrebbe le sue ragioni. Nell’offrire il mio punto di vista io non penso che sia l’unico ma che sia il modo migliore per dare un senso al paradosso di un polpo che diventa morbido e che viene offerto da una madre benevola. Se il polpo cede sotto i denti si spiega che l’idolo Maya fatto di pietra sia effettivamente simile ad un biscotto al cioccolato con canditi, anche per il suo spessore. Se la madre è protettiva ed empatica, le tende aperte parlano del suo housing: sono delle libere associazioni a questo nuovo ruolo che contiene ma non blocca.

F: Questo lo capisco ma non lo sento molto.

O: A che punto è il tuo lavoro psicologico sulla conquista di uno spazio creativo connesso alla lotta?

F: Beh, è cominciato recentemente ed è accaduto che mia madre ha approvato certe mie prese di posizione polemiche nei confronti di alcuni parenti.

O: Nel tuo caso tua madre ti segue ma non ti orienta. Sei tu che fai il lavoro e per fortuna lei ti viene dietro. Allora sono probabili due cose: che questa scacchiera (fantasticheria compresa) davanti a te non avrebbe avuto lo stesso esito; la seconda cosa (e nel dirlo so che è una tesi indimostrabile) è che Ireneo non avrebbe scelto gli stessi oggetti.

F: In che senso?

O: Nel senso che il paziente può usare solo gli oggetti interni maturati nella psiche dell’analista. Ma per questo si fa l’analisi didattica. Lo vedremo ancora. Per ora basta.

 

Il dado è tratto

Ottavio: La settimana dopo, Ireneo mi porta un sogno che sembra la continuazione di quelli che abbiamo appena visto.

Nel sogno si trattava di appurare attraverso una ricerca genetica l’identità di una persona che era morta bruciata.

Francesco: Sembra la stessa persona che cercava la settimana precedente insieme alla madre. Tanto più che aveva scelto un pupazzetto nero come il carbone.

O: Infatti. Per evitare troppe interpretazioni, lo invito a fare una nuova scacchiera e qui succede una cosa davvero bizzarra. Per la figura misteriosa prende un’immagine scolpita nel legno che rappresenta un uomo completamente ritorto su se stesso. Che ne pensi?

F: Uno stato totalmente entropico e bloccato. Una figura chiusa su se stessa, no? Molto Yang, cioè secca, asciutta. Impenetrabile dall’esterno e indifferente all’esterno.

O: Proprio così. Ma qui accade una piccola e divertente sincronicità: nel prendere la figura cadono dal mobiletto di vetro due oggetti. Uno è la figura filiforme di un’africana di cui si spezza la base. E fin qui, niente di straordinario. Succede spesso che dagli armadietti cada qualcosa per terra. Solo che cade anche qualcosa di molto rumoroso che comincia a saltellare sul pavimento come un piccolo canguro. Questo qualcosa è un dado rosso a trenta facce che, saltellando come la lampada da tavola della Pixar, finisce al centro di un piatto piazzato sotto un tavolino esattamente davanti ai miei occhi. Canestro!

F: Il dado, oltre ad evocare il fuoco per via del colore, è quello che usano i giocatori nei giochi di ruolo, sia con le carte che con le pedine. Tipo Dungeons & Dragons.

O: Davvero? Questo non lo sapevo.

F: Quindi è un moltiplicatore di ruoli che si lancia pure per trovare i livelli di forza, difesa, attacco corrispondenti ai personaggi.

O: Fantastico! Complimenti! Quindi se la figura di legno è Yang, il dado è un’istanza estremamente Yin. Un moltiplicatore dinamico di giochi, immagini e situazioni.

F: In cosa consisterebbe la sincronicità?

O: Nel fatto che questo secondo oggetto si impone all’attenzione non per scelta causale ma per puro caso. Non mi era capitato mai nulla del genere facendo una scacchiera.

F: E il paziente come l’ha vista?

O: Si è molto divertito anche perché il dado sembrava vivo. Delle centinaia di oggetti raccolti nelle vetrine è l’unica in grado di rimbalzare dentro la stanza e fare canestro. Questo polo opposto a quello asciutto, chiuso e disidratato del personaggio bruciato, sembra una risposta offerta senza parole dal setting della scacchiera.

F: E’ un acting out del gioco!

O: Proprio così. E come tale l’ho presentato a Ireneo. Inoltre, gli ho regalato il dado perché lo portasse con sé.

F: E questo è un acting out del magister ludi.

O: Infatti. E’ un’istigazione al gioco che evoca l’archetipo del mutaforme e della mercurialità contrapposta all’aspetto depressivo e saturnino del misterioso personaggio bruciato.

Una scacchiera a due

Questo è il primo caso in cui Ottavio e io (Francesco Marzano) realizziamo una scacchiera di famiglia: invitiamo ognuno dei tre membri presenti alla seduta a costruire una propria versione del nucleo familiare costituito da quattro persone; alla seduta manca infatti una figlia maggiore, Bice. La figlia che si rivelerà la chiave di tutto.

La paziente designata è Lucia che ha 16 anni e vive con i suoi genitori e la sorella. La nostra adolescente graziosa, timida e ipersensibile da alcuni mesi lamenta un mal di testa insistente che va e viene e che le preclude molte attività quotidiane come la scuola. Per risolverlo i genitori sono ricorsi ad ogni genere di analisi e terapia ma invano. Un problema della famiglia è il carattere persecutorio per tutti di questo sintomo: il padre si lamenta dell’infelicità di sua figlia e la esorta a fare uno sforzo per superare il dolore e non farsi bloccare. Lei, con le lacrime agli occhi, protesta che lo sforzo lo sta già facendo e dice con un filo di voce: “Le volte che mi lamento sono poche rispetto a quelle in cui preferisco stare zitto per non farvi dispiacere”.

Alla prima seduta, penso a un’allergia con irritazione delle vie aeree e propongo una visita otorino-laringoiatrica da cui non emerge nulla ma che stranamente porta alla ragazza un certo sollievo come se fosse una terapia. Tutto sommato, il problema persiste. In una seduta successiva assistiamo ad alcuni scoppi di pianto e la ragazza mostra di essere commossa dai sentimenti del padre. Ci sembra sempre più chiaro dai sottotesti delle sedute che il mal di testa è un sintomo di qualche problema emotivo che circola in famiglia.
A questo punto ci decidiamo a convocare anche i genitori e abbiamo molta pazienza: prima che riescano a mettersi tutti d’accordo passano dodici giorni.

Finalmente è il giorno della seduta: la madre è una bella donna indonesiana che ha studiato teologia e si occupa di fisioterapia. Il padre è un italiano alto e grosso, lavora come custode ma non fa che leggere e studiare per il puro piacere di farlo.

Chiediamo a tutti e tre di scegliere dei pupazzetti per rappresentare la famiglia in merito al problema di Lucia.

La madre compone la scacchiera utilizzando soltanto quattro personaggi: per suo marito sceglie l’imperatore Napoleone, per se stessa sceglie un enigmatico personaggio della religione ebraica: una donna in preghiera davanti all’altare con le mani sugli occhi. Dietro ai genitori mette le due figlie: una è Cenerentola (seduta in attesa della prova della scarpetta) mentre l’altra è una ragazza qualsiasi. La madre dice che le figure sono intercambiabili: sia un personaggio che l’altro possono rappresentare sia la figlia più grande, Bice, sia Lucia. Al tempo stesso però racconta con un certo entusiasmo che la nostra paziente, a differenza della sorella che sta sempre fuori, cucina per tutti in maniera squisita e creativa. Questo mi colpisce e, a giudicare da uno sguardo che ci scambiamo, sorprende anche Ottavio: è la prima volta che qualcuno sceglie due personaggi dicendo che sono intercambiabili pur descrivendo le persone reali ai quali si riferiscono con caratteristiche estremamente diverse. Quasi polarizzate.

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È il turno del padre che sceglie dei personaggi in qualche modo simili a quelli della moglie: un imperatore giapponese per rappresentare se stesso e una suora con una valigia per rappresentare la moglie. La differenza è che le figlie sono collocate davanti ai genitori: Lucia è una ragazza vestita da cameriera in ginocchio mentre Bice è una bella ragazza agguerrita e con un coltello in mano (il padre l’aveva scambiato per un microfono).

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A questo punto è Lucia a comporre la sua immagine della famiglia. Impiega un po’ di tempo a prendere una quantità di pupazzi che rischiano di caderle dalle mani. Fa una scacchiera più complessa di quella dei genitori: per sé stessa utilizza sia Lois Lane (la fidanzata di Superman) con le braccia incrociate che Megara (la donna salvata e innamorata di “Hercules”); sua sorella Bice è invece un misto tra Genoveffa (una delle sorellastre di Cenerentola) e DueFacce (uno dei cattivi di Batman) per svelare il carattere antipatico e il doppio registro che Bice utilizza dentro e fuori di casa. Anche per la madre i personaggi utilizzati sono due: c’è Wonder Woman (la madre che riesce a risolvere tutti i problemi) e Olivia (la fidanzata di Braccio di Ferro) in coppia col marito. Per il padre invece i personaggi sono addirittura tre: Braccio di Ferro (come marito della madre), The Mask (per la parte ironica) e il cattivo di James Bond (per la parte del capofamiglia), uno dei pochi personaggi in piombo del nostro repertorio. Lucia aggiunge anche Dodger, il cane di “Oliver & Company” della Disney.

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È chiaro che ciascuno dei tre ha una visione molto diversa di questo sistema familiare: la madre non vede differenze fra le figlie e le colloca alle sue spalle mentre il padre le differenzia radicalmente e le mette al primo posto. Il personaggio con cui la madre raffigura se stessa ha le mani sugli occhi, una figlia (Cenerentola/Lucia) non parla e l’altra figlia (Bice/ragazza qualsiasi) ha le orecchie coperte. Sottolineo: “Non vedo, non sento e non parlo”. Il padre sente e vede la differenza fra entrambe le figlie ma sposta sulla figlia maggiore (Bice) l’Eros e l’estroversione che toglie alla moglie (la suora). Questo è il punto chiave della conflittualità edipica. Nella complessità della scacchiera di Lucia traspare molto l’aspetto affettivo ed emotivo della relazione tra i genitori ma resta da indagare come questo influenzi i malesseri della figlia.

A questo punto, Lucia rivela un indizio importante: i genitori si comportano in maniera diversa con lei e la sorella. Quando Bice fa qualcosa di sbagliato, i genitori la riprendono poco o a volte neanche la puniscono. Con Lucia invece sottolineano alla prima occasione ogni suo errore. Ottavio racconta la parabola del figliol prodigo che naturalmente la madre della paziente, avendo studiato teologia, conosce bene.

A questo punto è evidente che il malessere fisico di Lucia ha una valenza “correttiva”: facendo preoccupare i genitori riporta l’equilibrio tra lei e la sorella ricevendo maggior contenimento e attenzione.

La scacchiera multipla evidenzia come un sistema, in questo caso familiare, abbia diverse sfaccettature: al di là della realtà del sistema esistono le varie immagini che se ne fa ogni membro del sistema, ciascuno a suo modo.

Ottavio non dà nessuna interpretazione ma suggerisce un gioco nello stile di Jodorowsky ai genitori: “Prendete due assegni del vostro conto bancario e ne intestate uno a Lucia con un miliardo di baci firmato da entrambi aggiungendo come un timbro una goccia del vostro sangue; l’altro assegno sarà intestato a Bice ma varrà solo un milione di baci. Entrambi gli assegni devono essere chiusi in una busta con su scritto ‘riservato – non aprire’. Lucia non dovrà mai far vedere a Bice il proprio assegno. Inoltre, ogni volta che Lucia avrà bisogno di affetto farà finta di avere il mal di testa e il padre dovrà darle dei baci in fronte e sulle guance”. Intervengo per suggerire un dettaglio: “I baci saranno dati non sulle guance ma sulle tempie, all’altezza degli occhi”. Ottavio mi guarda con un lampo d’intesa e tutta la famiglia sembra molto soddisfatta come se avessero capito senza capire.

Questo caso prova quanto sia utile la Scacchiera per rendere possibile non a parole ma con qualcosa di visivo, tangibile e molto chiaro, non solo la differenza dei vari punti di vista ma soprattutto la loro intersezione: la madre che si rifiuta di vedere le due figlie come soggetti diversi non può che esasperare la nostra paziente offesa dal fatto che “la sorella prodiga” pur stando molto meno di lei a casa e riservandosi ogni capriccio e diritto, riceva il suo stesso trattamento. Anzi, che qualche volta, come succede a casa mia, è un figlio solo a sbagliare ma sono tutti quanti ad essere rimproverati con formule tipo “Siete tutti una delusione”.

 

 

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