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LE RESISTENZE DEL TESTO di Nicola Merola

Sebastiano Timpanaro, già filologo autorevole e critico perspicace, con 'II lapsus freudiano' scrive un capitolo fondamentale dei difficili rapporti tra la psicanalisi e la cultura italiana, emblematici del nostro proverbiale provincialismo o più probabilmente condizionati dall'inconciliabilità di due mitologie totalitarie storicamente determinate e naturalmente conflittuali sul campo comune dello Spirito.

Questo libro è un salutare e rinfrancante esercizio di intelligenza perpetrato ai danni dell'interpretazione psicanalitica del lapsus e del suo modo di procedere "cavilloso, sofistico, tendente a sottrarsi ad ogni verifica, pronto a qualsiasi forzatura interpretativa pur di dimostrare ciò che volevasi dimostrare".
Timpanaro chiarisce preliminarmente di non mirare a una confutazione della psicanalisi, perché non sarebbe nemmeno pensabile confutare un "grande movimento di pensiero, che ha avuto e continuerà ad avere per molto tempo un influsso così forte su tutta la cultura moderna". Ma poi fa di tutto perché il lettore si avveda che la inconfutabilità (scontata) di questo grande movimento non comporta necessariamente quella del sistema teorico corrispondente, o almeno dei procedimenti sui quali quel sistema è fondato e ai quali invece nel Lapsus viene negata ogni validità scientifica. La proposta è che le spiegazioni dei lapsus (ma la critica è forse estensibile senza forzature agli altri fenomeni soggetti all’interpretazione) fornite da Freud nella 'Psicopatologia della vita quotidiana', sono, insieme: contraddittorie rispetto al principio epistemologico della parsimonia (e quindi non necessarie), esaustive come quelle magiche, e comunque non passibili di smentita (laddove è proprio la falsificabilità a costituire il carattere scientifico di un enunciato, come Popper dimostra).
Sugli ultimi due punti già si soffermò felicemente Nagel (2), fornendo indicazioni tuttora validissime, ma Timpanaro, che fornisce il contributo originale e produttivo della prima obiezione, ne fa in un certo senso ugualmente cosa propria, articolando il discorso in maniera brillante e persuasiva, e soprattutto svincolandolo dalla solita ottica in ogni caso sostanzialmente interna alla psicanalisi, come si è ormai reso necessario dal momento che essa è "sempre più regredita da scienza a mito del decadentismo europeo".
Per quanto dunque riguarda la antieconomicità dell'interpretazione freudiana, Timpanaro sostiene che il lavoro del critico testuale, che "ha bisogno d'indagare la genesi delle alterazioni che un testo subisce nel corso di successive trascrizioni", non differisce da quello dell'analista alle prese con la genesi dei lapsus, dal momento che tutti e due gli operatori hanno direttamente a che fare con alterazioni verbali (come scrive Francesco Orlando in 'Per una teoria freudiana della letteratura' "l'inconscio umano, nella descrizione di Freud, risulta conoscibile esclusivamente in quanto si manifesta come linguaggio"). Ne consegue allora che il più competente a pronunciarsi, nell'un caso e nell'altro, sia il filologo, che ha il vantaggio di fornire spiegazioni più economiche, più pertinenti e più generali insieme, in quanto così genericamente psicologiche da poter essere considerate addirittura inerenti al linguaggio. L'analista invece, delle alterazioni si serve sintomatologicamente e le rubrica diversamente, prescindendo dal loro statuto linguistico (e sociale). Diciamo meglio che l'analista si limita a interpretare, esclusivamente alla luce del suo quadro di riferimento specialistico e di quello biografico del paziente, che ne dipende, le stesse alterazioni che il critico testuale individua come tali e spiega dal punto di vista della possibilità generale. Timpanaro, per esempio, ritiene sicuramente avventata e probabilmente del tutto gratuita la conclusione presentata nella 'Psicopatologia della vita quotidiana', per cui il giovane ebreo austriaco, reduce da un viaggio sentimentale in Italia e intimamente tormentato dalla preoccupazione di un concepimento non desiderato, col quale Freud attacca conversazione sul treno, avrebbe manifestato la propria apprensione per aver forse messo incinta una sua compagna, omettendo in una approssimativa citazione di un verso di Virgilio un aliquis malignamente allusivo a un ritardo del 'liquido' dei suoi pensieri, ma intraducibile in tedesco e inessenziale per la comprensione del verso in questione (3).

 

Quando già l'intraducibilità e l’inessenzialità del termine appaiono a Timpanaro sufficienti a spiegare il lapsus, senza dover postulare alcuna particolare versatilità linguistica da parte dell'inconscio.
Questa trascendenza dell'inconscio rispetto alle conoscenze verificabili dell'Io, consapevoli o probabili che siano, fa sì che i conti dell'interpretazione quadrino comunque e che le spiegazioni debbano essere esaustive anche a costo di ammettere che l'inconscio sia capace di associazioni spericolate all'interno di un orizzonte culturale pressoché illimitato, e che quindi possa agevolmente passare da una lingua all'altra e in genere da un livello all'altro del discorso (è questa la lacaniana "preponderanza del significante"? ....). Da Timpanaro questa trascendenza viene perciò respinta come priva di ogni fondamento e bollata sarcasticamente come "inconscio poliglotta" con riferimento alle contorsioni e forzature interpretative cui da luogo il continuo spaziare dal latino al tedesco e da un erudito all'altro, attribuiti a questo vero e proprio deus ex machina. Possiamo anche non tener conto, come fa Timpanaro, del rilievo teorico di questa nozione di inconscio e nemmeno della sua evidenza terapeutica (in quanto la partita della psicanalisi si gioca tutta al livello della teoria, o meglio a quello della capacità inventiva del sistema e della sua tenuta retorica, fino magari ai cavilli). Tuttavia, proprio la dimostrazione della superiorità dei criteri filologici, di una psicologia, come si diceva, così superficiale da non riguardare più il singolo copista, ma l'atto stesso del copiare o del citare a memoria, anziché confutare il procedimento in questione, rivela l'inadeguatezza della prospettiva psicologica alla quale esso era stato asservito. Così la tesi di Timpanaro si risolve nel sancire la validità generale e la relativa autonomia delle leggi che regolano non solo la copiatura e la citazione di un testo letterario, ma in genere qualsiasi loro fruizione. E questo riaffermando la resistenza linguistica e formale dei testi, e quindi la loro indissolubilità in un significato univoco e definitivo (la cui possibilità soltanto, superandoli, li immetterebbe senz'altro in un circuito interpretativo di tipo psicologico).
Il richiamo alla filologia si limita infatti a porre l'accento sulla improbabilità e sulla irrilevanza delle interpretazioni della produzione linguistica in chiave di psicologia individuale, e quindi di psicologia tout court. Al contrario esso finisce per avallare indirettamente una pratica dei testi come quella psicanalitica, quando sia in questione non più soltanto la genesi degli errori di trascrizione, ma la produzione del loro significato. Allora cadono le obiezioni istituzionali, perché l'esaustività dell'interpretazione è una tendenza oggettiva della fruizione; la non smentibilità è la condizione della sua affermazione come "variante" del testo dato (Levi-Strauss) ed è implicita nella irriducibilità di quest'ultimo; e infine il mancato rispetto del principio di parsimonia non si verifica nei limiti in cui, a parità di rigore, non esiste un criterio che possa spiegare gli stessi fenomeni in maniera più persuasiva ed economica.
La nozione-limite di inconscio, più o meno opportunamente applicata alla traduzione dei dati dell'esperienza personale apparentemente involontaria nel loro significato ultimo in termini pulsionali o negli schemi interpretativi di tipo sessuale che una determinata società produce e subisce come propri miti, può rivelarsi dunque utile nell'interpretazione dei testi letterari nei termini della loro fruizione da parte del pubblico.

 

Al quale senz'altro, come all'unico inconscio poliglotta reale, compete la funzione di fondare ogni lettura possibile (che sia cioè rigorosa e convincente), e per il quale hanno un senso storico e scientifico anche i meccanismi di difesa che formano materialmente, se non le produzioni dell'inconscio freudiano, il testo letterario: lo spostamento, la condensazione, la sostituzione, la simbolizzazione, la rimozione, l'isolamento, la formazione reattiva, la proiezione, ovvero, in breve, tutte le variazioni rispetto a una situazione informale, nemmeno pensabile, in cui il testo si caratterizzerebbe come puro significato.
Si tratta insomma di risolvere vantaggiosamente il conflitto di due determinismi e delle tecniche interpretative corrispondenti. Da una parte, la riduzione a testo del reale da esaminare è la spia di una concezione mistificata della produzione intellettuale come individuale e comunque patologica (in dipendenza di uno sdoppiamento interno, e ideologico, che assegna alla pura negatività dell'inconscio - e però sempre all'individuo - una funzione di condizionamento attivo nei confronti di tutto ciò che sfugge alla portata e al controllo della coscienza). Dall'altra, l'assunzione della stessa riduzione a testo del reale, peraltro ampiamente legittimata, mira alla dimostrazione dei condizionamenti materiali, d'ordine formale e sociale insieme, che impediscono qualsiasi semplicistica riduzione della produzione nell'individuo.
Anche comunque a volersi fermare alla "confutazione" di Timpanaro, risulta chiaramente che il limite scientifico della psicanalisi consiste soprattutto nell'estensione ai fenomeni psicologici, e dunque alla vita, dei criteri che presiedono alla formazione e alla fruizione dei testi letterari.
La confutazione della psicanalisi come scienza non comporta automaticamente la soluzione del complesso problema, di sociologia della cultura, rappresentato insieme dalla sua affermazione culturale senza precedenti, e, subordinatamente in questa prospettiva, dai suoi successi terapeutici - peraltro più numerosi e documentati di quanto comunemente non si creda -. E' anzi proprio la confutazione scientifica della psicanalisi a rendere necessaria e urgente una spiegazione in tal senso, dal momento che ormai sempre più frequentemente gli stessi psicanalisti trovano più conveniente liquidare qualsiasi ipoteca scientifica e giovarsi di una concezione più elastica e resistente della loro disciplina, qual è quella che pragmaticamente, sulla base del proprio paradossale funzionamento, rinuncia alla discussione teorica, salvo poi a ribaltarla sul piano, non solo scientificamente inaccettabile, dello spiritualismo irrazionalistico.
L'efficacia terapeutica del trattamento psicanalitico va intanto definita e ridimensionata (rispetto a certe pretese taumaturgiche). Perché:
a) nella stragrande maggioranza dei casi, si guarisce da malattie della cui esistenza e della cui scomparsa si fa garante (e in maniera ben diversa da quella di altre discipline scientifiche) soltanto la psicanalisi, che talora magari si limita a inserire in un quadro clinico assai complesso, - e nella sua complessità inverificabile, - i sintomi di un malessere reale che andrebbe diversamente contestualizzato e spiegato;

b) la guarigione consiste nell'accettazione progressiva da parte del paziente di una terapia che viene prima della diagnosi definitiva, o che, se si vuole, considera la diagnosi come una costante - senza parlare del fatto che giustamente la guarigione viene concepita come un effetto secondario della cura;
c) tanto è vero che lo strumento principe del trattamento psicanalitico, e cioè l'interpretazione, è in grado di assicurarne la buona riuscita (che a questo punto dobbiamo cominciare a distinguere metodicamente dalla guarigione del paziente), indipendentemente dai propri risultati, che possono infatti essere sostituiti da quelli di qualsiasi altra interpretazione tecnicamente similare degli stessi fatti e che comunque non possono influire sul quadro di riferimento teorico al quale immancabilmente vengono riportati, grazie alla meccanicità della traduzione simbolica che materialmente lo consente. Semplificando ulteriormente: si guarisce purché si accetti la logica dell'interpretazione e se ne ricavino gli estremi per una storia personale in termini di pulsioni primarie - che non casualmente, e si ha un bel dire solo nominalmente, sono i letterarissimi Eros e Thanatos.
L'essenziale è che si allestisca una interpretazione coerente, variamente persuasiva, ma comunque dichiaratamente non insostituibile. Attraverso di essa, il paziente si rende conto dell'origine traumatica dei propri disturbi (in una o più occasioni ha subito impressioni fortemente spiacevoli, che sono state successivamente cancellate dal lavoro dell'inconscio); del meccanismo psicologico di tipo deterministico che li regola e li rende reversibili (la durata interiore, e la consistenza materiale, del passato fa sì che si possa intervenire sui suoi effetti in qualsiasi momento); della loro subordinazione, o almeno del loro rapporto privilegiato, rispetto all'interpretazione, che li snida, rendendoli inutili come coperture e come sintomi (in quanto quello che, almeno in teoria, cercavano di nascondere e di significare oscuramente è ormai ampiamente chiarito), e li riaffida alla gestione della volontà e dell'intelligenza che l'analisi ha promosso e confermato.
La guarigione infatti non è solo il frutto di un rapporto particolarmente condizionante con la terapia e con il terapeuta, di una soggezione volontaria (la fede nel quadro di riferimento) alla suggestione ipnotica della situazione (la liturgia dell'interpretazione), ma anche, se non soprattutto, quello dello sviluppo delle attitudini intellettuali che insignoriscono l'uomo della propria esistenza psichica - nei limiti ovviamente in cui questo è reso possibile dal privilegio sociale di cui si gode e non intacca comunque il malessere costituzionale di ciascuno in una società divisa in classi.
D'altra parte, questa guarigione confluisce in quella più generale e più certa che assicura il ridimensionamento psicologico dei problemi reali che ci affliggono, e che così vengono sottratti a ogni preoccupazione d'ordine diverso (storico, politico, sociale, morale), a tutto il pubblico colto, come una chiave universale per orientarsi nella irrazionalità opprimente e minacciosa della vita contemporanea, nonché dei propri personali turbamenti e condizionamenti, che tornano a essere significativi e si inseriscono in una trama complessiva (addirittura biologica, se ci si attiene all'originario sfondo materialista e positivista del freudismo) e in ogni caso razionale.

 

Così si guarisce dalla malattia reale universalmente sperimentata che è il rapporto irrisolto dell'individuo con il sociale e quindi con il reale (come dimostrano d'aver capito quegli psicanalisti americani che finalizzano il trattamento psicanalitico all'inserimento e all'integrazione sociale).
Esiste però una zona di applicabilità scientifica della interpretazione psicanalitica, in cui cioè cadono le riserve precedentemente segnalate e si rivela utile proprio il suo tipo d'approccio (ma non ancora il suo orizzonte psicologico), mentre si chiarisce ulteriormente la sua presa sul pubblico acculturato.
Si debbono infatti rifiutare, da un punto di vista esterno alla psicanalisi, la pretesa di divinare e imporre la problematica interiore e inconsapevole di un individuo specifico (o meglio del suo essere "cosa"), e le pezze d'appoggio che a questo scopo vengono esibite, perché tra l'altro le spiegazioni in questione si avvalgono, e si fanno carico, di una nozione di inconscio, più che troppo comoda, come sostiene Timpanaro, troppo semplicemente e letteralmente dedotta a contrario dalla immagine tradizionale della vita psicologica consapevole, e quindi incapace di rispettare la pura metaforicità dello sdoppiamento funzionale tra Io e inconscio, tra considerazione della personalità e considerazione della impersonalità. Perciò la prospettiva si capovolge qualora lo stesso tipo di interpretazione muova alla determinazione del sistema di relazioni significative che fa funzionare un testo qualsiasi, sia esso opera letteraria, mito, lapsus o sogno, a partire dalla sua contraddizione caratteristica tra individuata identità formale (derivante dalla sua destinazione indeterminata e dalla molteplicità delle sue fruizioni possibili, oltre che dalla sua-semplice datità storica) e irriducibilità semantica (l'impossibilità di identificarsi e di annullarsi in un significato definitivo).
In questo caso infatti l'inconscio che viene postulato dall'interpretazione è il (o meglio è fondato sul) pubblico, che impone al testo le sue condizioni (e innanzitutto quella della identità tra possibilità e realtà in assenza di intenzionalità legittimamente discriminanti). E quindi l'interpretazione si può avvalere della solidarietà formale dell'oggetto in esame, non solo moltiplicando i codici di lettura, ma addirittura, e soprattutto, assumendo come tratti pertinenti proprio quelli convenzionalmente privi di significato (le "forme" letterarie), a partire dall'ipotesi di una istituzionale conflittualità tra la contingenza dei significati (storici) e la inesauribile autonoma produttività del testo (che non cessa di significare). Come se insomma il codice fosse di volta in volta da inventare.
Se ci preme dunque di stabilire che cosa effettivamente un testo significhi (o, il che è lo stesso, che cosa possa ragionevolmente significare, anche a prescindere dalle intenzioni dell'autore) per i suoi destinatari possibili (Barthes), e attraverso quali meccanismi produca i suoi eventuali effetti, sarà da perseguire proprio un'interpretazione di tipo psicanalitico, che recuperi l'integrità oggettuale e la resistenza del testo e riesca a coglierne i tratti significativi in (e prima di) qualsiasi decodifica.

 


Tornando per un attimo all'aspetto terapeutico della questione, direi che anche il paziente che subisce il trattamento psicanalitico si trova nella stessa situazione del destinatario anonimo dell'opera d'arte (l'analista in questo senso guida il paziente in quanto ne prefigura l'analisi). Neanche il paziente infatti dispone (altrimenti si guarderebbe bene dall'affidarsi alle costose cure di altri) degli strumenti per verificare la validità e la pertinenza delle interpretazioni che gli vengono fornite, che lo riguardano, o che viene indotto a elaborare, in quanto esse vertono su una realtà rispetto alla quale la malattia (sia pure del tipo che si diceva) rende il soggetto solo uno spettatore che cerca di comprendere, estraniandolo insomma dalla sua stessa produzione di sogni e discorsi. Al paziente questa produzione viene restituita, come al suo naturale destinatario, sotto forma di interpretazione capace di spiegargli il perché della sua "partecipazione" alla malattia, così come l'interprete della letteratura spiega al rispettivo destinatario quell'altra sua partecipazione e coinvolgimento, mentre ne precorre le mosse, fino al punto di precorrere praticamente se stesso (come partecipe allo stesso titolo dell'universo della ricezione).
In questa prospettiva la guarigione offerta dalla psicanalisi mi sembra
consistere nell'accesso alla considerazione intellettuale della propria esi
stenza e nell'acquisizione di quell'ottica distaccata dei propri casi (lo
'sguardo dell'Altro' è di tipo estetico) che costituisce il surrogato borghese
più efficace dell'immaginazione sociologica, o, meglio, dell'intelligenza
materialistica del sociale.
Tutto diventa suscettibile di interpretazione, e quindi controllabile sul piano astratto delle produzioni fantastiche, nella misura in cui è effettivamente estraneo e sfuggente. Interpretare se stessi significa fruire anche di se stessi come di testi sui quali, e a prescindere dai quali, realizzarsi in quanto individui sociali.

 

(1) Questi appunti valgono soltanto come anticipazione di un lavoro di critica letteraria sull'interpretazione dei testi, in corso di elaborazione, cui si rimanda per i riferimenti bibliografici e lo scioglimento di qualche stenogramma concettuale.
(2) v. Psychoanalysis, Scientific Method and Philosophy. A symposium edited by Sidney Hook. 1959, New York University (trad. it. Psicoanalisi e metodo scientifico, Einaudi, Torino, 1967).
(3) Cito il riferimento fatto da Timpanaro:
*Un giovane ebreo austriaco, col quale Freud attacca conversazione in viaggio, si lagna della condizione di inferiorità in cui sono tenuti gli ebrei in Austria-Ungheria: la sua generazione, egli dice, è "destinata ad atrofizzarsi, non potendo sviluppare i suoi talenti né soddisfare i suoi bisogni". Si accalora nel parlare di questo problema, e vuoi concludere il suo "discorso appassionato" (così, con una punta di bonaria ironia, lo chiama Freud) col verso che Virgilio fa pronunziare a Didone abbandonata da Enea e prossima al suicidio: Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor (Eneide, IV 625) Ma la memoria gli fa difetto, ed egli riesce soltanto a dire Exoriare ex nostris ossibus ultor: cioè omette aliquis e inverte le parole nostris ex. '
(Sebastiano Timpanaro, II lapsus freudiano. La Nuova Italia, Firenze, 1974, p. 19).


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RIASSUNTO - SUMMARY - RESUMÉ

L'A. riprende, con criteri da critico letterario e non da psicologo la conclusione fondamentale de "II lapsus freudiano" di Sebastiano Timpanaro, secondo il quale le spiegazioni di un lapsus testale date da un filologo riescono più economiche, convincenti ed epistemologicamente accettabili di quelle date dallo psicanalista. Se ne deduce più che la confutazione del metodo freudiano, la non coincidenza del sistema concettuale di riferimento psicologico con la pratica dell'interpretazione. L'interpretazione resta valida proprio in quanto individua una struttura significante nel regno dell'involontarietà e dell'inconsapevolezza. Il problema di sociologia della cultura costituito dall'eccezionale fortuna della psicanalisi si spiegherebbe considerando fondate le interpretazioni freudiane per quanto riguarda le produzioni culturali. La natura di una produzione culturale impedisce infatti spiegazioni che prescindano dalla loro considerazione in quanto forme.

With the standards of literary criticism and not of psychology, the author takes up again the fundamental conclusion of the "Freudian slip" of Sebastiano Timpanaro, according to which the explanations of a textual slip given by a philologist turn out to be more economic, convincing and epistemologically acceptable than those given by the psychoanalyst. More is deduced from it than the confutation of the Freudian method, the lack of correspondence of the conceptual System of psychological reference with the practice of the interpretation. The interpretation remains valid just in so far as it singles out a significant structure in the realm of involontariness and unconsciousness. The problem of sociology of culture formed by the exceptional fortune of psychoanalysis would be explained by considering as founded the Freudian interpre-tations regarding cultural productions. The nature of a cultural production in fact prevents explanations that do not take them into consideration as regards models.

L'auteur reprend, avec des critères de critique littéraire et non de psychologue la conclusion fondamentale du "Lapsus freudiano" de Sebastiano Timpanaro selon lequel les explications d'un lapsus de texte données par un philologue sont plus explicatives, plus convaincantes et épistologiquement acceptables que celles données par le psychanalyste. Il en ressort plus que la réfutation de la méthode freudienne, la non cofncidence du système conceptuel de reference psychologique avec la pratique de l'interprétation. L'interprétation reste valable précisement en tant qu'elle individualise une structure signifiante dans le domaine de la non-volontà et de lanon-connaissance. Le problème de la sociologie de la culture constitué par la fortune exceptionnelle de la psychanalyse s'expliquerait en considérant fondées les interprétations freudiennes en ce qui concerne les productions culturelles. La nature d'une production culturelle empéche en effet des explications qui font abstraction de leur consideration en tant que formes.

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