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LO PSICODRAMMA E L'ATTORE di Mario Prosperi

Questo mio intervento è più un riferire un'esperienza che non la sua teorizzazione. La sua teorizzazione sarebbe molto difficile anche perché non è stata un'esperienza lunga. Non ha avuto modo di protrarsi, avendo trovato nelle istituzioni più ostacoli che aiuti.

Cioè tutte e due le volte che ho tentato di introdurre lo psicodramma come metodo di educazione dell'attore mi sono trovato automaticamente quasi al di fuori dell'istituzione. Tutti e due i laboratori li ho terminati privatamente con gli stessi allievi del corso iniziato una prima volta al Teatro di Roma, cioè qui, e una seconda volta all'Accademia Nazionale di Arte drammatica. Evidentemente questa parola psicodramma suscitava una diffidenza di fondo, uno sconcerto. Perché usare lo psicodramma per preparare degli attori? Beh, mi concedo una piccola parentesi teorica (mi riallacciavo un pochino a Stanislawskij): l'attore deve dar vita a dei personaggi e a dei ruoli, quindi impegna la propria personalità intera e la deve conoscere. Deve essere in grado di ripescare nella propria memoria le emozioni che appartengono a un determinato personaggio per poter animarne la vita sulla scena, dunque deve essere in grado di trarre da sé le emozioni. Questa è una cosa molto difficile. Tra l'altro la contestazione in cui mi sono trovato non è priva di fondamenti ideologici e culturali. Il teatro italiano era, come è ancora, in parte dominato da una concezione ideologica e filologica della recitazione che assegna all'emozione addirittura un ruolo negativo. Cioè dall'attore ci si aspetta una resa vocale mimica del personaggio, anzi della testualità e non del personaggio; addirittura molti registi negano l'esistenza del personaggio. Esiste un solo "personaggio", l'autore e questo consiste nella testualità della sua opera. All'attore si chiede di diventare una specie di strumento di lettura di questa testualità attraverso sistemi di amplificazione e di messa in forma, per la lettura più che per il coinvolgimento emozionale dello spettatore. Questo è visto come cosa negativa. La parola che regge questo edificio teatrale è "regia critica", che ha avuto interpretazioni diverse nel tempo, da quella storicista di Strehler a quella strutturalista di Ronconi e di una fila di seguaci. Quindi è chiaro che un'attenzione all'interiorità dell'attore veniva vista dagli stessi studenti, almeno da una parte di loro, come una provocazione. Dicevano: "Ma che Prosperi voglia introdurre di nuovo il teatro borghese? il teatro psicologico?". Io non avevo affatto questa intenzione. Volevo però indubbiamente riportare l'attore ad un concetto per me basilare, primario, del teatro, un ruolo in cui l'attore si trova ad essere contemporaneo all'autore. Esiste un momento primario del teatro in cui l'attore e l'autore coincidono, sono la stessa cosa. C'è proprio un livello primario, che possiamo chiamare livello psicodrammatico, e qui chiarisco subito un fatto: lo psicodramma per me, uomo di teatro, è pre-teatro, non è teatro; cioè avviene in una fase che precede la scrittura teatrale. A questo proposito volevo fare una piccola nota a Questa sera si recita a soggetto, visto che siamo in tema.
La differenza tra Questa sera si recita a soggetto ed altri drammi dello stesso Pirandello e di altri autori è che lo psicodramma originario, che l'autore ha fatto con se stesso prima di scrivere il testo, in altre occasioni viene poi dallo scrittore fissato in una struttura narrativa che lo sottende ma che in qualche modo lo usa. Nel caso di Pirandello invece è stato registrato il processo stesso di questo psicodramma, sono state registrate addirittura le fasi di avvicinamento alla scena centrale e rivelatrice. Pirandello in qualche modo ha registrato le fasi di pre-teatro. Anche nei Sei personaggi in cerca d'autore non a caso si toglie di mezzo (naturalmente è un paradosso) ma si toglie di mezzo come autore.


Pirandello confessa di aver rifiutato le storie che questi attori, che questi "personaggi" gli volevano raccontare. Cosa sono i personaggi? Sono attori perfettamente nel ruolo, tanto che Pirandello rifiuta il fatto che altri attori cerchino di interpretare i ruoli così completamente vissuti dai personaggi e mette nei Sei personaggi a confronto sulla scena il ruolo perfettamente vissuto, interamente riempito dal personaggio e quello che l'attore fa a questo ruolo. Cioè lo mette in bella copia, dice Pirandello, lo testualizza, lo stampa, lo mette per stampatello, lo rende bello; ma non si sente più, non è vita, diventa un'altra cosa, diventa forma. Su questa distinzione tra vita e forma però non voglio avventurarmi... Allora passiamo alle fasi di questa esperienza. Io dicevo all'attore: "Ecco, guarda, tu devi essere l'autore dei tuoi ruoli. Che cosa ci si aspetta, cosa il teatro si aspetta da un attore oggi?".
Si aspetta che sia autonomo nella creazione dei suoi ruoli, che possa dare qualcosa di sé ai personaggi di una drammaturgia in fieri. Parliamo di una drammaturgia in fieri in cui l'attore è il portatore di qualcosa. Sappiamo non solo da Pirandello, ma anche analizzando tutti i grandi corpi drammaturgici, vediamo quante cose, che sono state poi registrate da uno scrittore, sono state inventate da attori. E non parliamo della commedia dell'arte. Quindi noi abbiamo bisogno dell'attore, noi che scriviamo per il teatro, come il nostro massimo collaboratore, come addirittura una sorgente di vita teatrale. Lo psicodramma serve ad individuarlo, a fare in modo che egli si conosca, si veda agire, che egli sappia appunto come sta il suo corpo mentre dice una battuta (la cosa che ci ha fatto vedere prima Zerka Moreno rispondendo a Magli è di un'eloquenza che non ha bisogno di commento). Infatti, noi partivamo dal fatto che ogni attore nel seminario assumeva a turno il ruolo di protagonista quando lui lo voleva. Non si può forzare nessuno a essere protagonista, bisogna desiderarlo intensamente e bisogna desiderare vedersi in azione in una determinata situazione o scena. In un certo senso quindi l'attore portava con sé la descrizione degli altri personaggi di questa scena. Naturalmente si analizzano delle scene chiave e quindi dei rapporti "strutturali", non una scena accidentale, se non eccezionalmente. E che cosa notavo io? Notavo che nel ruolo di se stesso ognuno era terribilmente goffo e impacciato e inespressivo; ma quando con il cambiamento dei ruoli che è tipico dello psicodramma il soggetto, cioè il protagonista, interpretava il ruolo da lui stesso evocato, per esempio della madre o del padre, un ruolo importante nella propria vita, un ruolo strutturale, questa persona, che prima sembrava poco portato al mestiere di attore, diventava subito un grande attore. Nella parte dell'altro, cioè nella parte che impersona la parte rifiutata di sé, immediatamente si animava, il corpo diventava espressivo, cambiava voce, cambiava aspetto, diventava autorevole e il suo fantasma diventava molto più vivo di lui stesso.
Siccome invece il processo mirava a rendere vivo lui stesso io procedevo per gradi; cioè procedevo come si procede in uno psicodramma. Il soggetto tornava nel ruolo di se stesso, ci tornava essendosi visto con gli occhi dell'altro da lui stesso impersonato. Poco a poco anche l'alter ego che scambiava il ruolo con lui cominciava ad animarsi, cioè poco a poco lui stesso, il soggetto, assisteva a questo fenomeno di diventare un personaggio. Più diventava un personaggio interpretato anche da un altro, un personaggio che lui poteva vedere agire a un certo punto, quasi oggettivamente davanti ai propri occhi, e meno il vedersi agire


diventava inibitorio. E questa per me è una cosa molto importante per educare un attore, ed è una cosa che riporta anche a Pirandello, a colui che dice: una parte di me agisce ma c'è un altro che mi vede agire e per questo che mi vede agire io sono quasi un estraneo a volte.
Ecco, bisogna che colui che vede agire e colui che agisce si conoscano, si percepiscano a vicenda e questo per dare all'attore l'unità della sua personalità. Così nello psicodramma, più il soggetto si vedeva agire più realizzava (a volte con orrore) certe cose che non vedeva di se stesso mentre agiva, e più diventava bravo ad essere se stesso, più il suo ruolo si veniva definendo. Ognuno poi vedeva le affinità tra questo suo ruolo e i ruoli della letteratura teatrale che più gli somigliavano, ai quali desiderava da quel momento in poi dare vita. Io credo che un attore che sia andato attraverso questo processo non darà una vita convenzionale, una vita precostituita a questi ruoli, ma qualcosa di suo e li rinnoverà.
Per quello che riguarda un teatro da scrivere è da questi attori che ci si può aspettare un contributo creativo, perché si tratta in effetti di liberare la creatività, la spontaneità. Diceva ieri uno dei relatori, Mario Ardizzone, che la creatività è un reinvestimento della spontaneità. E questo ha anche una rilevanza politica, cosa che io facevo notare ai miei detrattori di sinistra, che mi dicevano: lo psicodramma serve a convincere un soggetto ad adattarsi alla situazione sociale data (questa è una delle accuse più comuni che si fanno), lo psicodramma serve a fare in modo che una persona non soffra più nella situazione ingiusta in cui si trova a vivere perché lui diventa capace di adattarsi, diventa capace di produrre in se stesso la modificazione per sopportare la società. E invece è il contrario secondo me. Cioè recuperare spontaneità, recuperare creatività porta ad una insopportazione ancora più acuta della situazione esterna. Contrariamente alla persona bloccata, chi ha recuperato la sua creatività è capace di agire sulla situazione esterna. E questo è esattamente il contrario secondo me dell'accusa che veniva rivolta.
Finisco con un paragone che mi interessa molto anche teoricamente. L'itinerario dell'attore da quando è allievo e si presenta per la prima volta a una scuola o ad un maestro, fino a quando, diciamo, è maestro di se stesso, quando è l'autore dei suoi ruoli, mi sembra che sia parallelo a quello che è l'itinerario di un paziente che diventi terapeuta. È la stessa progressione di conoscenza di sé che la psicoanalisi impone ai propri allievi candidati, perché si sa che per avere in analisi gli altri uno deve aver avuto, e molto severamente, in analisi se stesso. La conclusione di questo processo è che sono diventato io stesso attore.

SUMMARY

Psychodrama and The Actor
The Author is a young playwright, director and performer of his theatrical works. He recalls the hostility he met in academic structures when using psychodrama as a method of actors' education and describes the ideological and cultural reasons for this hostility. The Author shows how psychodrama allows the actor to enliven the character he impersonate^, and converge with the creative work of the playwright. In particular he comments on the genesis of Pirandello's Six Characters in Search of an Author.

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